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sabato 14 luglio 2018

N. PARDINI: "PAROLE NON DETTE"


Parole non dette


Quanti di noi non hanno fatto a tempo
a  dire al padre, alla madre o al fratello
frasi rimaste dentro, non uscite:
“Ti voglio bene, scusami, perdono….
Andiamo insieme oggi a passeggiare.
Quella via che un giorno ci portò
alle mura di una casa stretta
è sempre là che aspetta il nostro sguardo.
Andiamo, andiamo, padre, ne ho bisogno…”. 
Torneranno improvvise quelle frasi
prima che il sonno giunga; e come un’eco
rimbomberanno da una stanza all’altra,
per non darti riposo: proveranno
a ritrovare il volto di chi c’era
per giungere alla fine nell’alcova.
Costruiranno scale per toccare
sguardi rimasti in ansia ad aspettare
parole non finite, scolorite
che girano ancora in mezzo alle intemperie
senza trovare il posto; senza posa.
E noi gridiamo al vuoto il nostro male,
lo spleenetico  ingombro che ci assale.
È inutile gridare! O sperare
nei sogni  per poterci riprovare.
Facciamolo da vivi, quando loro
ti guardano con ansia nell’attesa
di un qualcosa che tu e solo tu
potrai donare. Tornassero in vita
quei padri, quelle madri o quei fratelli
che cosa pagheresti! O non faresti
per poterti liberare del fagotto
che non ti fa dormire.
“Volesse il cielo che…”, se l’hai presenti
fissali intensamente, dagli il cuore,
parlagli di tutto; non lasciare
che quelle tre parole non uscite
restino senza tempo, a navigare
perdutamente in mezzo a un grande mare
sperdute, spaesate, sbatacchiate
dai venti e dai salmastri; e impaurite
senza mittente senza compagnia
tornino a casa stanche a farti male.

N. Pardini

16/03/2018



3 commenti:

  1. Lirica scritta e proveniente dalle parole del cuore. E da una analoga sorgente provo a esprimere le mie, come con acqua trasparente, non ombreggiata ancora dall’ombra di una stessa fronda: la sapienza di un vissuto, nel salmastro della vita. Ma non a tutti, il lento scorrere degli anni e della vita, regala analoga purezza. Sono certo di aver avuto, io, la voglia, la gioia, la gratitudine di essermi immerso nell’agrodolce di questo fiume, nella saggezza di un consiglio. Perché si tratta di questo, e prima ancora di una lirica, la meraviglia di parole. A che serve scrivere, scrivere poesia, se non ci si regala come un calice agli altri, senza presunzione, voglia di traboccare, ma solo, umile, voglia di dissetare. Sono certo di aver avuto, io, un bel sorso da mandare giù, in un momento di acalasia, o emozionale disfagia. Io, che ancora faccio parte di una schiera fortunata: sono tra quelli che può “fissare intensamente” avendoli presenti, distanti ma davanti agli occhi, quelli che, io, e tanti altri ancora, mettiamo dietro, dietro alle spalle, come se fossero ritratti, incorniciati nelle mura di una casa stretta. Grazie Professore. Emanuele Aloisi.

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  2. Volesse il cielo, oggi diciamo… ma nulla si può fare. Oppure no, si può si deve, si impone la necessità di dire a chi viene dopo quello che per altri è rimasto nel silenzio, perché quel silenzio non sia rimprovero implicito nei versi di chi scriverà poesie dopo di noi…
    Claudio Fiorentini

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  3. Grazie Nazario di questo poetico promemoria...un esempio lampante della universalità dei tuoi versi. Una luce nelle tenebre dell'incomunicabilita' per risvegliare i sentimenti diretti ma in che modo artistico lo dici!
    Giusy Frisina

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