Giorgio Linguaglossa, Una poesia da Il tedio di Dio (2018), con una Premessa
di Donatella Costantina Giancaspero e la risposta dell'autore
Premessa di Donatella Costantina
Giancaspero
Propongo
la lettura di questa poesia di Giorgio Linguaglossa, tratta dall’ultima sua
raccolta, Il Tedio di Dio (Edizioni
Progetto Cultura, Roma, 2018).
È un
testo che rispecchia a pieno titolo tutte le caratteristiche della Nuova
Ontologia Estetica, eppure è stato composto almeno 12 anni fa, molto prima,
dunque, che maturasse il nuovo indirizzo poetico della NOE.
Questo
dato importante sta a significare che, già all’inizio del nostro secolo, la
necessità di un cambiamento del linguaggio poetico, delle figure retoriche e
del modo di esposizione del «plot» era fortemente sentita dall’autore ed era al
centro della sua ricerca espressiva.
Giorgio Linguaglossa da Il tedio di Dio, Progetto Cultura, 2018,
pp.160 € 12
Il pegno degli dèi
Un
grande cavallo di legno era sulla spiaggia,
appena
fuori le mura della città.
Noi
tutti pensammo ad un prodigio, ad un pegno
inestricabile
degli dèi,
e
uscimmo dalle porte Scee a guardare
quel
museo interiore…
Una
meraviglia in attesa di qualcosa di inesplicabile.
Un
segnale degli dèi irrazionali, forse.
Un
dono di Athena.
Il
gigantesco cavallo di legno.
Il
museo della nostra innocenza.
Ricordai
la spiaggia di quel mattino,
illibata
e algebrica, abitata da ninfe e conchiglie,
le
grida di Lacoonte
[…]
Un
troiano disse: «gli Achei sono fuggiti.
Sono
andati via.
Sono
rimaste le tracce dei sandali
dei
soldati, sulla sabbia,
innumerevoli
come le onde del mare…».
[…]
Infatti,
le navi erano scomparse dalla rada…
come
non fossero mai esistite, inghiottite dalla nebbia
e
dalla sabbia.
Pensai
ai dieci anni, dieci lunghi anni di assedio.
Di
lutti, indicibili lutti.
[…]
Un
altro compagno disse:
«Priamo
ha vinto ed Ettore non è morto invano,
questo
ci conforta e ci solleva dall’angoscia.
Ed
Elena, la bellissima Elena…
È
ancora qui tra noi…».
*
[Il
cavallo di Troia dal film Troy di Wolfgang Petersen (Germania, 2004)
con
Brad Pitt, Diane Kruger, Orlando Bloom, Eric Bana, Rose Byrne.]
https://youtu.be/Td1uPq9K--E
cara
Donatella Costantina,
il
primo abbozzo della poesia risale almeno al 2006, era appena uno schizzo,
conteneva meno di un 1/3 del testo attuale. A quei tempi pensavo alla riforma
del linguaggio poetico in auge nella poesia italiana dagli anni settanta ad
oggi. La poesia non mi soddisfaceva, si limitava a ripetere lo schema del
racconto del «cavallo» introdotto in città come da tradizione, mediante una
voce fuori scena che faceva da regista etc. La voce fuori campo e fuori scena
che racconta era un espediente che rigettavo, era troppo scontato, prevedibile.
Il testo che ne veniva era un testo razionalizzato, centralizzato, logico,
prevedibile… volevo introdurre delle complicazioni, volevo far intendere come
in ogni situazione storica ed esistenziale ci siano sempre delle soluzioni
alternative che dobbiamo, che possiamo esperire… come del resto avviene nella
vita reale e nelle vicende storiche: le complicazioni sono il sale degli
avvenimenti, e senza di esse il «racconto» risulta semplicizzato e quindi
addomesticato al pensiero normalizzato e al modo di raccontare normale. Volevo
introdurre quelle medesime complicazioni che, con altri mezzi e altri intenti,
Mario Gabriele, Steven Grieco Rathgeb e tu stessa introducevate e introducete
nelle vostre poesie.
Con
l’espressione «museo della nostra innocenza» volevo alludere alla condizione di
ingenuità (critica) che colpisce le persone e i popoli, e quindi i troiani,
quando si consegnano, senza previa adozione di un pensiero critico, mani e
piedi legati, al nemico. Il ricordo della «spiaggia illibata e algebrica» (ben
due aggettivi, rarissimi in una mia composizione) allude ai nostri ricordi più
belli, quelli dell’infanzia e dell’infanzia storica di un popolo quando rivanga
la bellezza di una visione del passato e se la racconta come più gli piace.
Ebbene, la poesia è percorsa da questo sotterraneo pensiero: mettere all’erta
il lettore che quanto sta per avvenire non avviene per caso, che se si accetta
un pensiero unidirezionale e lineare si finisce dritti all’inferno, nella
semplicizzazione, che bisogna invece sempre accompagnare il pensiero con un
pensiero diverso, il pensiero dell’impensato (per usare la felice formula che
Enrico Castelli Gattinara impiega nel suo libro Pensare l’impensato (Mimesis, 2018).
Mi ero
già reso conto da molto tempo che la ricerca di un nuovo linguaggio era
insufficiente, che un nuovo linguaggio lo si trova soltanto quando cerchi in
tutte le direzioni, non soltanto nella direzione del linguaggio. Il nuovo
linguaggio lo trovi soltanto quando cerchi altre cose che, apparentemente, non
hanno nulla in comune con le questioni del linguaggio. Ed ecco che siamo
arrivati al progetto di riforma del modo di esposizione del «racconto», cioè
delle figure retoriche, delle categorie retoriche ed ermeneutiche che ci
consentono di adire ad un nuovo linguaggio. Siamo arrivati alla «nuova
ontologia estetica» che abbiamo messo in campo, che è un modo di pensare
l’impensato del linguaggio poetico, pensare «cose» che apparentemente non hanno
nulla in comune con il linguaggio nudo e crudo, con il linguaggio in sé, con il
linguaggio poetico.
Se
sono giunto, se siamo arrivati, a questo punto tutti insieme possiamo segnare
un punto a favore della consapevolezza che una poesia giunge ad un nuovo linguaggio
per mezzo di altre vie, vie impensate, che non avevamo previsto…
L’ultimo
ritocco della poesia l’ho fatto ieri, ho suddiviso il testo in distici.
Giorgio
Linguaglossa
Una poesia, questa di di Giorgio Linguaglossa, che trovo molto intrigante in quanto possiede il fascino del mistero. Ovvero di ciò che è "innocente" e "semplice", ma niente affatto "ingenuo" come si potrebbe pensare. La semplicità è l'esatto opposto della semplificazione. "Semplificare" è in realtà "complicare", ridurre arbitrariamente la realtà entro schemi di comodo astratti e per questo razionali. La realtà non è razionale proprio perché è "semplice" e "innocente". Di quella semplicità e di quella innocenza che il pensiero ingenuo e monocorde, assolutamente non problematico (e per questo impoetico) della dea Ragione non riuscirà mai ad afferrare. Rinnovare il linguaggio poetico è possibile a mio avviso in un modo soltanto: immergendolo nel silenzio. Facendo ossia quel vuoto mentale che consente al mistero di rivelarsi e di fare ingresso nell'intelletto dell'uomo.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Nel tentare un commento a questa lirica superba e all'esegesi compiuta sulla NOE da Giorgio Linguaglossa, confesso di aver nutrito alcuni dubbi sulla Nuova Ontologia Estetica. E di fronte a tanta suggestione comprendo, una volta di più, i miei limiti. Oltretutto l'Autore termina la sua disamina asserendo di aver diviso il testo in distici. Al contrario di troppi sperimentatori, quindi, è padrone del metro classico e nel suo lungo percorso di artista ha operato delle scelte al fine di innovare e di raggiungere 'vie nuove tramite l'impensato'. In effetti la sua lirica non ha toni epici, narra una storia nota con accenti che stupiscono e rendono il mondo omerico un universo presente, attuale. Basta pensare alla chiusa:
RispondiElimina"Ed Elena, la bellissima Elena…
È ancora qui tra noi…».
Si coglie la volontà di essere figlio del tempo in cui viviamo. Senza togliere l'ancora del verso puro, nel quale eccelle. Gli elementi di questo tempo, che tra l'altro Giorgio ha previsto, visto che il caro Nazario precisa che i testi della Silloge risalgono a dodici anni fa, coglie l'esigenza degli innesti, del trapianto nei versi di termini di uso comune. Sembra scegliere con coraggio e competenza, di fare l'amore con la poesia e con il filo spinato. Il linguaggio, a tratti, sembra parlato, attinge dal gergo quotidiano, ma la vita non soffoca la letteratura, la esalta. La sua NOE va intesa come desiderio di legare le storie alle cose connaturate e indispensabili all'uomo, ai suoi sentimenti primordiali e, al tempo stesso, modernissimi. Come commentare versi di simile levatura?
"Un dono di Athena.
Il gigantesco cavallo di legno.
Il museo della nostra innocenza."
"Il museo della nostra innocenza" credo sia l'espressione che arriva al centro dell'anima. Passato e presente si fondono; mito e realtà divengono strumenti della stessa ricerca, e si assiste alla valorizzazione della loro umiltà, quasi a un religioso rispetto.
Non sono certa di aver compiuto un esame rigoroso e corretto. Ho proceduto a fil di cuore, come sempre. Vorrei che a Giorgio arrivasse la mia ammirazione per il lavoro che compie e per la nobiltà e il rispetto che si evince da ogni suo verso. Non v'è traccia di approssimazione. Mi inchino davanti all'uomo e al Poeta.
Maria Rizzi
Ringrazio innanzitutto Nazario Pardini che ha pubblicato il post e i due commentatori che hanno avuto la gentilezza di tentare dei commenti alla mia poesia. Quella che va sotto il nome di nuova ontologia estetica è nata in realtà nel 1993 quando fondai la rivista di poesie e critica "Poiesis" che portai avanti fino al 2005, quando ritenni che non c'erano più le condizioni per sviluppare la ricerca di una nuova poesia che fuoriuscisse dalle secche delle poetiche epigoniche di fine novecento. Pensavo allora che il manierismo, il minimalismo e il piccolo cabotaggio fossero prevalsi e che gli spazi per una nuova poetica si erano tutti ostruiti. Adesso, con la nascita della rivista telematica lombradelleparole.wordpress.com fondata nel 2014, ho tentato di rilanciare con forza l'idea di una nuova poesia che ambisse ad un ruolo europeo. Sto ancora perseguendo questo obiettivo. Non cerco applausi né condivisioni, la strada della rivista è in salita, lo so, ma sono accompagnato da una pattuglia di poeti di ottima qualità e questo è il mio miglior vanto, un risultato tangibile. In tanti hanno provato ad osteggiare e ostacolare la nuova poetica. Questo è comprensibile, tutto ciò che è nuovo va a sbattere inevitabilmente contro il principio di conservazione delle forme estetiche, ma il risultato è stato esattamente l'opposto: più l'animosità e il silenzio si sono stretti intorno alla nostra operazione, più la nostra convinzione si è fatta più radicata e radicale.
RispondiEliminaA questo lavoro affianco ogni giorno un lavoro di approfondimento critico, come era doveroso, anzi inevitabile. Molti mi hanno chiesto quali siano le peculiarità della mia impostazione di critico della poesia. Ecco qui una risposta che ho dato di recente:
A proposito della lettura della poesia di oggi e di ieri, molti mi hanno chiesto quali siano i miei riferimenti critici, i binari entro i quali instradare la mia personale ermeneutica di un’opera letteraria. Dirò che ai fini di una problematica nomologia dell’interpretazione dell’opera d’arte, io mi arrischio ad indicare il mio «modello» in una sorta di dialettica ermeneutica negativa, cioè oppositiva al pensiero dominante, non tanto come una adaequatio tra intelletto ed ente ma come una sorta di dialettica tra intelletto ed ente, incidentale, legata all’evento, quindi evenemenziale, legata alla situazione storica contingente dell’interpretante. Al di là della condizione storico-soggettiva dell’interprete posto nel suo mondo e nella sua catena temporalmente determinata, quindi un determinato, non è possibile andare a sindacare che cosa sia o cosa non sia un’opera esteticamente valida… la catena ermeneutica può aver luogo soltanto all’interno di un mondo linguistico e all’interno di una condizione storica concreta. Tutto quello che posso dire è che personalmente propendo per un nichilismo ermeneutico e dialettico, se liberiamo queste parole dalla loro valenza orrifica, o meglio, se diamo alla semantica negativa una accezione positivamente orientata verso una direzione infinita di senso, un senso che dovrà, per essere valido, contraddire e divergere dal senso precedentemente acquisito. Ogni interpretazione essendo una interpretazione dell’interpretazione, presuppone una catena di interpretazioni che la precedono e ne fondano la legittimità…
Ci tengo a sottolineare che non è "per gentilezza" che ho posto il mio commento, anche se ho più che validi motivi per essere gentile nei riguardi di Giorgio. Come ho avuto modo di esprimermi, seppure con altri termini, anche su "L'ombra delle parole", sono sinceramente attratto da quella che lui definisce "direzione infinita di senso" cercata da lui e dai poeti della NOE. Sta qui - a mio avviso da sempre - l'essenza più pura della poesia. Le "soluzioni alternative" che in essa appaiono non sono in realtà "complicazioni" intellettualistiche, ma qualità imprescindibili del discorso poetico legato alla oscura semplicità del mistero.
EliminaFranco Campegiani
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RispondiEliminaIl commento è stato tolto perché anonimo. Ognuno si deve assumere la responsabilità di quello che scrive
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