NAZARIO PARDINI: CANTICI
(The Writer Edizioni, CS, gennaio
2017, € 10,00)
Cantici è il titolo che Nazario Pardini ha dato a un suo nuovo
libro di versi apparso nel gennaio 2017, presso The Writer edizioni Ass.,
Marano Principato (CS), contenente 28 poesie e diviso in due parti: La barca (con 13 testi) e Anatomia della sera (con 15 testi). Il
titolo della prima parte è tratto dal Cantico
della barca, che così inizia: “Ho navigato incerto in queste acque” e
seguita “sono una barca che s’inarca al mare, / una barca disfatta che non
tiene / i suoi legni compatti”: una metafora, questa, che bene esprime lo stato
d’animo dell’autore, come d’altra parte avviene in molte altre poesie della
raccolta. Le poesie contenute ne La barca
costituiscono infatti, come bene osserva Luciano Domenighini nella sua Prefazione al libro, “un’evocazione
mitizzante degli anni di giovinezza”, mentre quelle raccolte in Anatomia della sera rappresentano “una
rivisitazione” dei luoghi nei quali il poeta è vissuto e contemporaneamente “una
meditazione sul tempo che trascorre e tutto travolge e muta”.
Il verso di cui Pardini fa uso in questi Cantici è essenzialmente l’endecasillabo
(a lui particolarmente congeniale), variamente articolato e con delle eccezioni
ipertrofiche o ipotrofiche. L’andamento è limpido e schietto, come può
constatarsi sin dalla prima poesia, Il
cantico dell’aia, che ci viene incontro con immediatezza ed essenzialità,
ma anche con la sua gaia festosità per l’abbondante raccolto ottenuto a premio
delle fatiche: “È già festa sull’aia. Stamattina / ecco i canti di giovani
fanciulle/ ai raggi luminosi sulle stoppie / dalle finestre aperte alle
speranze”. Non manca qui la presenza degli antichi dèi e di fronte al loro indecifrato
mistero la vita sobbalza e tutta s’illumina: “Venite dee dell’abbondanza, dèi /
delle cantine, dei granai, dei / forni! Venite ad immolare le fascine / al pane
sacro delle antiche mense / … / Di già fa capolino sopra i tetti / il fumo del
camino”.
Il
cantico del sole, quello successivo, ci
offre un esempio di endecasillabo rallentato (“Ci si desta con in mente la
luce”) ed anche quello di un verso ipermetro (“Si ritorna / la sera quando il
sole rapina l’occidente”). Immediato anche qui è l’incipit della poesia, che
coglie il sole nell’istante del suo primo apparire dietro il monte: “Eccolo il
sole. Sbuca dal Pisano / con in mano una fresca serenata / per l’anima dei
campi”. Una natura, quella di Pardini, sempre animata e partecipe; sempre in
sintonia con l’uomo.
Un’altra felice immagine naturalistica s’affaccia nel Cantico della campagna (“Tutti quanti /
bevono primavera e la lucertola / verdeggia sopra il muro soleggiato”); così
come un intenso profumo di bosco esala da Il
cantico dei pini (“Si respira / aria di mare, odore di pinolo, / quando di
ragia il fremito si aggrappa / alla ginestra in fiore se il maestrale / irrita
la battigia luccicante di cielo. / Io cammino / sul viale fecondo di sospiri”);
nel Cantico del mare sono invece i
corimbi dell’elicriso, “fiorito al dir di maggio”, a creare “un tappeto giallo”
e ad avvertirci che l’estate è ormai prossima (“Le dune incoronate / mi parlano
di estate”). Appare evidente dalle tre poesie appena citate come la natura
susciti nell’animo del poeta una miriade di sensazioni differenti: da quelle
olfattive del respirare “aria di mare” e “odore di pinolo”, a quelle visive con
“la battigia luccicante”, con il colore “verde” della lucertola e con il
“tappeto giallo” dell’elicriso ed ancora a quelle cenestesiche[1] con il tepore del “muro”
scaldato dal sole.
Si tratta, come con evidenza si deduce sin anche da una
prima lettura, di Cantici nei quali
pulsa la vita vissuta con i suoi ricordi, che ovunque s’incontrano. Si vedano
in particolare versi quali: “Ho ritrovato i semi ed i sapori, / ho ritrovato i
voli, e i solchi aperti, / … / … È là che splende / con frustate di sole la mia
casa” (Cantico della campagna); oppure: “Dammi pineta i giorni trafugati /
dei tremiti di pini. È là che il vento, / … / … mi ingannava / col simulare
cieli inesistenti” (Cantico dei pini);
oppure ancora: “A te, lembo di terra, che contieni / tutti quanti i miei sforzi
disperati / per restarti aggrappato / … / Sopra te, / lembo di terra, crebbero
i miei anni, / scontai la vita mia…” (Il cantico della vita).
Più agili ritmi sono contenuti in poesie quali Il cantico del fiume (“Nascono le tue
acque / dove rampolla il gorgo, / o pura fonte”), mentre il verso tende
nuovamente ad allungarsi, assumendo la sua naturale dimensione endecasillabica,
in poesie quali Il cantico dell’alba
(“Scialo di luce in albe traforate / da rondini irrequiete. Ed è già giorno.”)
e Il cantico dell’amore (“La ricordi
la neve; il suo brillare / di cui non c’è confine. Quello è amore”).
È presente in queste poesie la costante ricerca della
perfezione formale, raggiunta attraverso la felice novità delle invenzioni
verbali e il giro sapiente del movimento ritmico, che sale o si placa a seconda
dell’andamento veloce o lento del periodare: “Eterna meraviglia, Bella immagine
/ che il tempo non trasforma. Tu fanciullo / dai riccioli increspati e dalle
labbra / tumide e aperte, leste al desiderio, / resterai sempre vago e
inappagato”. Sono questi i versi iniziali del Cantico della Bellezza (ecfrasi), con il quale si chiude la prima
parte del libro.
La stessa misura endecasillabica la ritroviamo nella
seconda parte della raccolta, Anatomia
della sera, dove si possono leggere versi quali: “Era d’estate quando della
vita / riflessero i bagliori. Allora vissi / la fantasia che esplose lucentezza”
(Ottobre); “Dagli azzurri capelli è
la mia sera” (Dagli azzurri capelli);
“Di me voglio teniate nella mente” (Di me);
ecc.
Da un punto di vista tematico poi, le poesie contenute in
questa seconda sezione costituiscono una rivisitazione dei luoghi amati durante
l’infanzia e danno luogo a scatti evocativi di notevole efficacia, quali:
“Portami sera, quando i gridi neri / delle rondini in croce vanno a radere /
l’acqua arrossata dai ricordi a sera / una memoria buona” (Portami sera) oppure: “Ritornato / sono per rivedere il primo verde
/ … / … degli aprili / voglio vedere il volto e respirare / l’aria buona di
casa” (Sera di casa mia). E sempre
più numerosi i ricordi s’affacciano alla sua mente: “L’autunno mio trabocca di
ricordi / che evadono invecchiati all’imbrunire” (Ottobre); “Ed è un profumo caldo che trasale / d’arrostite che
torna a farmi male. / Porta con sé il ricordo di mia madre” (Anatomia della sera);
La casa, il prato, il maggese: sono questi i luoghi delle
prime età della vita, nei quali il poeta è stato felice e nei quali il mondo gli
ha spalancato i suoi teneri albori. Si vedano versi come: “Appena ieri / udivo
giovinezza” […] “Eppure ieri / era d’estate ed oggi è già d’autunno” (Sera d’autunno); oppure come: “E una
scintilla sola / ti chiederò nel tuo serale gelo; / sempre in ricordo il volto
di colei / ch’io amai ventenne e sempre fino a sera” (Sera mia sera). Si vedano inoltre i versi in cui il suo ricordo
risale a persone a lui molto care: “E i passi di mio padre ammorbiditi / dai
tappeti terragni ormai sbocciati / alla vita novella”; “una casa / attendeva
alla sera il mio ritorno / con guance affaticate”; oppure ancora “ed io
gridavo/ litigioso con te fratello mio / paziente per la luce che spegnevo” (Sera di casa mia).
Una sottile malinconia s’insinua così nell’animo del
poeta, che va ricercando le tracce del suo passato e di esso al contempo tutto
s’illumina; e si tratta di una malinconia alla quale egli tenta di reagire
talvolta con un leggero sorriso: “Di me voglio teniate nella mente / solo il
ragazzo che si divertiva / a bussare alle porte. O nella via / a rincorrere il
cane del paese / che ci abbaiava dietro” (Di
me).
Ora la sera si arrossa (Anatomia di una sera) e si ode la campana del vespro (È vesperale il suono). S’inazzurra il
cielo sui campi (Ormai di sera) ed è
tempo di tirare i remi in barca e di far cessare la piena dei ricordi. Gli
ultimi canti si spengono con una musica sommessa. Ma nel cuore del poeta la
loro eco ancora perdura.
Liliana Porro Andriuoli
Liliana Porro Andriuoli
[1] Cenestesiche in quanto il termine deriva dal greco koinos (comune). La cenestesia si occupa infatti di quelle
sensazioni non riferibili a percezioni sensoriali ordinarie (come vista, udito,
tatto), ma a quelle che traducono in sensazione cosciente il funzionamento
vegetativo dell'organismo (quali le sensazioni di caldo, freddo, ecc.). È un
termine usato in psicologia, soprattutto nella Programmazione Neuro Linguistica
(PNL).
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