Maria Grazia Ferraris, collaboratrice di Lèucade |
Lo “scapigliato” Igino Ugo Tarchetti a Varese.
Igino Ugo Tarchetti |
“L’amore
è la fusione e la conciliazione di due egoismi
che si soddisfano a vicenda”(Fosca,
I.U. Tarchetti)
La
seconda metà dell’Ottocento vide in visita a Varese alcuni letterati famosi
come Giovanni Verga, il massimo esponente del Verismo italiano, che nell’estate
del 1880 passò più giorni a Varese, riposando sulle colline del Sacro
Monte scrivendo e revisionando il suo
capolavoro presso l’Hotel Riposo alla Prima Cappella del Sacro Monte. Anche la
giornalista ormai famosa Matilde Serao fu
a Varese. Leggiamo sul giornale locale un suo articolo pieno di
entusiasmo: “…Varese è un paese d’incanto, poiché in nessun angolo di questa
nostra magnifica Italia vi è, come qui, questo trionfo così ammirevole di una
vegetazione profonda e ricca negli
alberi, nelle piante, nei fiori, nelle erbe dei prati... Ma credete voi per questo che Varese sia un ritrovo di malinconia e monotonia? è
perfettamente il contrario! questo paese leggiadro, nelle sue antiche vie, sotto
i suoi antichi portici, è civilissimo,
di una civiltà perfetta. Tre alberghi…corse di cavalli il suo golf nella
Valganna è delizia degli inglesi… quest’anno, in agosto, Varese ha visto e vede
una folla italiana, ma anche americana e inglese, riempire i suoi alberghi e
vivere qui dei momenti di benessere schietto..”
Non
meno significativa la presenza di Igino Tarchetti, uno dei massimi esponenti
della Scapigliatura, quel movimento milanese di avanguardia degli anni
Sessanta-Settanta dell’Ottocento che si
affermò a imitazione della francese bohème, volgendosi a modelli stranieri e
dando vita a numerose riviste, come Il
Pungolo, Emporio pittoresco, Rivista minima, Cronaca grigia, Il gazzettino rosa…
Ugo
Tarchetti fu a Varese nel 1863, in
qualità di addetto al commissariato militare;
intorno alla sua permanenza in città
si vocifera di un episodio
“erotico- giallo”, quasi simile a quelli
narrati da Piero Chiara…. Il
Tarchetti fu uno spirito inquieto, morto
di tisi a 28 anni, autore di racconti e di liriche che contengono un tessuto
ispido e poco elaborato di
aspirazioni vivaci ma fugaci e mutevoli,
ma anche di interessanti tentativi sperimentali e d'impressioni che continuamente volgono verso la
confessione sentimentale e l'introspezione. Va ricordata la sua ricca attività
letteraria che spazia dai romanzi antimilitaristi che mettevano in discussione
il Risorgimento nazionale appena conclusosi, al saggio critico sul romanzo,
passando attraverso le liriche e ai romanzi fantastici. (Una nobile follia, Racconti umoristici, Storia
di una gamba, Racconti fantastici…)
L’amico
Salvatore Farina, scrittore oggi dimenticato, ma che a suo tempo godette di
larghissima popolarità, amico di
personaggi come Verga, De Amicis, Giacosa, che fu giornalista, romanziere di grande successo
popolare ed editoriale, autore teatrale, collaboratore della rivista
"Nuova antologia", e direttore della "Gazzetta musicale" e
della "Rivista minima", e nel 1876 fu tra i promotori della
fondazione del "Corriere della
Sera", lo descrive così:
“ Era alto, di complessione forte e gentile,
aveva faccia di Nazareno, talvolta sdegnosa, per lo più mite; guardava
superbamente gli uomini ignoti per paura che gli fossero avversari, ma con gli
amici il suo sorriso buono si apriva alla confidenza, e sempre, sempre, io lo
vidi ricercare il cielo mormorando versi di Heine, o di Shakespeare, o di
Byron. ..
Le
donne egli le amava soltanto; troppo le amava, e perciò non poteva trovarsi
bene nella compagnia di molte insieme. Una gli bastava, e a quell'una
imprestava per un'ora, per un giorno o per un anno, tutta la sua tenerezza,
tutta la sua idealità d'artista.”
Di
Varese, suo soggiorno provvisorio dopo aver trascorso alcuni anni nell’Italia
meridionale da poco annessa al Piemonte, Tarchetti scrive: “Varese mi piace. A chi non
piacerebbe? La natura mi commuove, mi rende triste; la bellezza delle donne,
del cielo, delle campagne, mi fanno sospirare le mie speranze passate, e
quell’ideale che non troveremo mai nella vita”
A
Varese fu protagonista di una storia d’amore importante che durò oltre un anno.
Ne
abbiamo testimonianza dalle lettere che ci sono pervenute, un epistolario che
manca però della scansione cronologica, eppure
molto interessante e significativo.( Le lettere sono state pubblicate da
E. Ghidetti, ed. Cappelli) Fu a Varese
che Ugo Tarchetti conobbe Carlotta Ponti ed iniziò con lei una relazione
sentimentale, molto tempestosa.
Tranquillo
Cremona
Un
articolo di D. Isella, comparso su La
Rotonda del 1982, dal titolo Luino,
1864: un suicidio mancato, ce ne dà notizia con la precisione e l’umorismo
di cui il critico è maestro.
Carlotta
diventerà suo malgrado una protagonista letteraria, infatti Tarchetti prenderà
spunto dalla sua figura e dalla vicenda amorosa autobiografica per scrivere il
romanzo che è considerato il suo capolavoro: Fosca.
Nel
romanzo in realtà sono presenti due protagoniste: Clara e Fosca, due donne che
riprendono i tratti fisici e di carattere di due amori dell’Autore vissuti
nello stesso periodo. Nella figura di Clara infatti sono presenti gli elementi
descrittivi che compaiono nell’epistolario.
“E’
una bella bruna [è Tarchetti che parla] che non oltrepassa i ventitré anni. La
volevano, anni addietro, costringere a sposare un maggiore austriaco; ma venne
il 1859, e il matrimonio andò in aria con grande soddisfazione di Carlotta, che
non voleva per marito un soldato tedesco, e molto meno uno che in confronto a
lei diciottenne era già vecchio… Egli fu quindi mandato a quel paese ed oggi
Carlotta, malgrado i sospetti e le ire furibonde di suo padre, non vuol bene
che a me, a me solo, ed io sono felice…
Ti ho già detto che il padre di Carlotta non
può tollerarmi… avuto sentore de’ miei affetti per sua figlia, questa
perseguita con ogni maniera di vessazioni, fino a toglierle qualunque libertà,
fino a sorvegliarla minuto per minuto… Eh! Ci vuol altro! Tutte le sere alle
nove, io e Carlotta ci troviamo al di fuori del raggio della luna…”
Fosca
avrà invece i tratti di un successivo amore milanese, ambiguo, malato,
inquietante, in opposizione al personaggio di Clara, quello di Fosca, che proverà per lui un’attrazione fatale.
L’opposizione
paterna esaspera Carlotta che progetta
in piena stagione tardo romantica di confuso amore e morte di incontrarsi
un’ultima volta con l’amato a Luino e silenziosamente e nascostamente entrare
in Svizzera e maturare quindi il doppio suicidio. Carlotta però il giorno convenuto decise di anticipare
i tempi e tenta di darsi la morte col veleno: verrà salvata in extremis.. e
parve, “benché disperata, di non volersi più uccidere…”
Rimarrà
a ricordo della vicenda l’epistolario. Un esempio tipicamente sentimentale e
fatalistico di cui l’Autore si compiace : “…perdona non a me, ma a una dolorosa
fatalità, l’attuale impossibilità divederci ”…Io incomincio a circondarmi di
fiori perché so che morirò presto, e dopo morto nessuno verrà a coltivarne
sulla mia tomba. Sono molto sentimentale stassera, è questo tempo che mi
istupidisce e mi rende malinconico. Se tu fossi qui! Ah che dolorosa
separazione! Come sarebbe bello questo medesimo tempo che ora ci sembra così
triste!”
Tarchetti
esprime nell’immagine di morte un desiderio, forse inconscio, di sfuggire ad
una situazione che può generare sensi di colpa. È, in un certo senso, il
“dualismo” di C. Boito, il caposcuola, che enuncia programmaticamente la
contraddizione degli aspetti sentiti, sofferti o goduti, tipico della realtà
scapigliata.
(E noi
viviam, famelci/ di fede o d'altri inganni,/ rigirando il rosario/ monotono
degli anni,
dove
ogni gemma brilla/ di pianto, acerba stilla/ fatta d'acerbo duol.
.. tal
è l'uman, librato /fra un sogno di peccato/e un sogno di virtù.)
Lo
scapigliato Tarchetti può nondimeno realisticamente concludere: “Da cinquemila
anni l’umanità piange sulla caducità dell’amore”: una conclusione opaca,
grigia, tra ricordi vagamente romantici e primi timidi annunci decadenti,
caratteristiche che attraversano tutta l’opera di Tarchetti.
Maria Grazia
Ferraris
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