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mercoledì 17 ottobre 2018

N. PARDINI LEGGE: "VERSO UN FORSE" DI STEFANO DI UBALDO




Stefano Di Ubaldo: Verso un forse. Casa Editrice Antipodes. Palermo. 2018

Verso un forse, il titolo di questa silloge, che già ci dà l’input per un discorso esegetico di puntualità analitica: l’umano, la ricerca, il dilemma, l’inquietudine, il mistero, le cose, e forse, forse, forse. Cioè l’assenza di soluzioni in questa nostra navigazione per mari costellati di trabucchi.

CREPUSCOLO

Si parte
(si riparte)
e una caduta
(la ricaduta)
sarà quel sorso
che berrò amaro
per avanzare
da quel rimorso
alla risorsa
rimasta in me.
E se avverrà
di sentirmi vuoto,
sarà la volta
che mi sovrasta
a ricordarmi
quant'è normale
essere nulla
di fronte al nulla,
che mi separa
da ciò che c'è:
sono le stelle
del nuovo giorno
le indicazioni
per dove andare.

Poesia duttile, fluente, apodittica, dove il verso con la sua magrezza è vòlto a concretizzare gli abbrivi di un animo carico di patemi esistenziali. Iniziare dalla poesia testuale dal significato altamente simbolico significa andare a fondo nella ricerca poematica e umana di Stefano di Ubaldo. La vita come viaggio, come nostos, come odeporico allungo verso mete che tengono il mistero del nostro esser/ci. Si parte, e l’importante avere in noi la voglia di andare, ingollare il rospo amaro e proseguire verso un’isola che forse non c’è. Durante il tragitto più di una volta proviamo il senso di vuoto; è proprio dell’uomo questo senso di precarietà nei confronti del tutto. Qui la terra, le nostre orme, il nostro stare, là il cielo immensamente grande per le nostre forze. È questa dualità, questa dicotomica sensazione che sentiamo per il fatto di essere umani. È il motivo della nostra inquietudine, del nostro spleen,  ma un motivo che dà sostanza e vivacità alla poesia:

Da una parte all’altra
del mio essere uno,
sono sempre imperfetto
detentore di un centro
che proietto nel cielo
per progetti spaziali;
le follie del navigatore
per condurmi alla meta
per la strada più breve
sono geni di un codice
che tramanda il sapere
per la storia di un viaggio (In cammino).

Forse ammirando le stelle, la loro flebile lucentezza, possiamo scoprire la meta verso cui dirigersi. Ma quante volte ci siamo spersi nell’immensità dei cieli nel tentativo di scoprire una verità che è al di sopra e al di fuori della nostra portata. “Ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est” afferma Seneca. A colui che ignora il porto a cui è diretto nessun vento è favorevole. Ma il fatto sta che è umano, fortemente umano brancolare nel buio senza orizzonti ben definiti. Qui la silloge di Stefano: un’opera plurale, polivalente, proteiforme per i messaggi e gli abbandoni ai misteri del vivere. I versi sono di alternanze variabili, ma soprattutto brevi, incisivi, come immagini scolpite nella pietra di una grotta. Secchi, che denunciano i  tanti perché irrisolti e irrisolvibili in cui si imbatte la mente umana. E tanti i motivi ispiratori oggettivi, che denotano voglia di andare oltre la parola e il suo sintagma. Poesia, comunque, fresca, originale, dove le sinestesie e le metafore o altre figure stilistiche  si fanno corpo di una vocazione intenta a risolvere le problematiche di epigrammatica natura:

L’amore:

Ci amavamo
con le sorprese del dolore;
lo serbavamo
nei meandri inestricabili
della nostra unione
e aspettavamo
che d'un tratto esplodesse,
per incantarci
e redimerci
dalla tortura solitaria
di cercare una ragione;

la coscienza della nostra precarietà

Ci siamo impietositi
di fronte al nulla,
all'inconsistenza
di avere due occhi
e soltanto una bocca:
troppo per vederci
e poco per raccontarci
ciò che vediamo


la ricerca ontologica dell’ego, della sua entità etica, esistenziale:

Vorrei spogliare
il manichino che sono
dalle ambizioni che non ho
e che occorre esibisca in vetrina
come sperassi
le avessero tutti.


Il  senso dell’ignoto in un soliloquio assillante:

Setaccio dell’anima quel varco nel velo,
menzogne trattiene al di qua del suo cielo;
al di là c'è l'ignoto che detiene il presente,
verità di un incontro che rimane latente.

Gli oracolari pensieri di parole da scrivere

Racchiuso tra le pagine
bianche di un quaderno,
vorrei provare ad aprire
nuvole e specchi,
così che viaggi il pensiero
e la mente, pozzanghera,
rifletta la pioggia
non ancora in caduta,
non ancora formata,
non ancora riflessa,
ma già trasformata
nella mia previsione,
quale oracolo delle parole
che credo di scrivere...,

o le meditazioni sulle grinfie di un tempo che inghiotte al banchetto del possibile


In certe circostanze,
di fronte al mondo
o a pochi intimi
o nel segreto di se stessi,
c'è solo l'imbarazzo della certezza
di aver fatto una scelta discutibile;
e una tensione insostenibile
getta silenzio sull'opzione
(sulle opzioni)
che il Tempo ha inghiottito
al banchetto del possibile,
in avanzo tra le pietanze

Insomma una silloge di polisemica significanza in cui tutti gli scomparti dell’umana vicenda sono analizzati con perspicacia esplorativa condita da un certo sarcasmo, che fa della poetica del Nostro un quadro dove verbo e sentimento, parola e pensiero si integrano coralmente.

Nazario Pardini


DAL TESTO

  
CREPUSCOLO

Si parte
(si riparte)
e una caduta
(la ricaduta)
sarà quel sorso
che berrò amaro
per avanzare
da quel rimorso
alla risorsa
rimasta in me.
E se avverrà
di sentirmi vuoto,
sarà la volta
che mi sovrasta
a ricordarmi
quant'è normale
essere nulla
di fronte al nulla,
che mi separa
da ciò che c'è:
sono le stelle
del nuovo giorno
le indicazioni
per dove andare.


PRONTO (?), PARTENZA (!), VIA (...)

Riparto da un porto,
da un alba che, forcipe,
mi chiama per nome.
Eccomi pronto,
la veste di scarto,
per mari ricicli
e muri cornici
di nuove finestre.
Alzo la testa,
prendo la mira
e fiondo lo sguardo
fuori dagli occhi,
dentro il silenzio
di corpi di spalle.
Prima credevo
fosse normale
attendere un volto
per prendere il via.
Ora comprendo
che è strano aspettare
e che una partenza
riguarda anche me.



Da una parte all'altra
del mio essere uno,
sono sempre imperfetto
detentore di un centro
che proietto nel cielo
per progetti spaziali;
le follie del navigatore
per condurmi alla meta
per la strada più breve
sono geni di un codice
che tramanda il sapere
per la storia di un viaggio.



UNO SGUARDO NON BASTA

Ci siamo impietositi
di fronte al nulla,
all'inconsistenza
di avere due occhi
e soltanto una bocca:
troppo per vederci
e poco per raccontarci
ciò che vediamo.
Qualcuno dice
che, a chi si ama,
basti uno sguardo
per capirsi;
ma, chi lo dice,
non considera
che uno sguardo
non basta
per amarsi.
Così, ridicoli,
siamo rimasti in silenzio,
come quando per strada
si passa a fianco
a un senzatetto assopito:
lo vediamo,
non sappiamo che dire
e abbiamo pietà di lui;
e forse, poi,
un po' anche di noi.




DI NUOVO

Di nuovo
niente
di nuovo
le solite vuote parole
di nuovo
comincio a stancarmi
di nuovo
riprendi a parlare
di nuovo
tu non capisci
di nuovo
io ci ho provato
di nuovo
non ho altro da dire
di nuovo
vorrei tanto volare
di nuovo
siamo caduti in basso
di nuovo
ci guardiamo dall'alto
di nuovo
sembriamo ridicoli
di nuovo
siamo ridicoli
di nuovo
non più di altri
di nuovo
ridicoli quanto basta
di nuovo
a girare intorno alle parole
di nuovo
a fare il giro più veloce
di nuovo
ho vinto al fotofinish
di nuovo
non accetti la sconfitta
di nuovo
sarà per un'altra volta
di nuovo
comunque complimenti
di nuovo
ci vediamo tra poco
di nuovo
saremo gli stessi
di nuovo
mai più come prima
di nuovo
mai più come ora
di nuovo
mai più come mai
di nuovo
“mai più”? Come mai?
di nuovo
basta con questi giochetti
di nuovo
va bene, ma almeno è qualcosa
di nuovo
va bene, ma ci accontentiamo
di nuovo
nemmeno noi
di nuovo
soltanto noi
di nuovo
niente è cambiato
di nuovo
niente di nuovo
di nuovo
niente
di nuovo.

E ora?
Daccapo.



LACRIME APOCRIFE

Gli ematomi più intimi
sono lacrime apocrife
e rifiutano traffici
di espressioni fugaci
o esegesi ufficiali,
per marcire in un angolo
di una stanza affollata.
Si soffre tanto
sotto gli occhi di tutti,
ma, soprappensiero,
stiamo tutti meglio.



SICUREZZE DI IERI

Sono cambiate in fretta
e non c'è stato allarme
e poco importa adesso
che si concili il dramma
con la sopravvivenza,
perché non è lo stesso
prefigurare un salto
e accarezzare il vuoto.

Sono cambiate in fretta
e si è discusso molto
su chi sia il vero leader
tra tradizioni e sogni,
ma ciò che ne è rimasto
è polline nel vento,
che mentre va a attecchire
fomenta intolleranze.

Sono cambiate in fretta
e non c'è stato scampo
per esitanti in fila
e coppie di una volta,
pazienti ad aspettare


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