Stefano Di Ubaldo: Verso un
forse. Casa Editrice Antipodes. Palermo. 2018
Verso un forse, il titolo di questa
silloge, che già ci dà l’input per un discorso esegetico di puntualità
analitica: l’umano, la ricerca, il dilemma, l’inquietudine, il mistero, le
cose, e forse, forse, forse. Cioè l’assenza di soluzioni in questa nostra
navigazione per mari costellati di trabucchi.
CREPUSCOLO
Si parte
(si riparte)
e una caduta
(la ricaduta)
sarà quel sorso
che berrò amaro
per avanzare
da quel rimorso
alla risorsa
rimasta in me.
E se avverrà
di sentirmi vuoto,
sarà la volta
che mi sovrasta
a ricordarmi
quant'è normale
essere nulla
di fronte al nulla,
che mi separa
da ciò che c'è:
sono le stelle
del nuovo giorno
le indicazioni
per dove andare.
Poesia
duttile, fluente, apodittica, dove il verso con la sua magrezza è vòlto a
concretizzare gli abbrivi di un animo carico di patemi esistenziali. Iniziare
dalla poesia testuale dal significato altamente simbolico significa andare a
fondo nella ricerca poematica e umana di Stefano di Ubaldo. La vita come
viaggio, come nostos, come odeporico allungo verso mete che tengono il mistero
del nostro esser/ci. Si parte, e l’importante avere in noi la voglia di andare,
ingollare il rospo amaro e proseguire verso un’isola che forse non c’è. Durante
il tragitto più di una volta proviamo il senso di vuoto; è proprio dell’uomo
questo senso di precarietà nei confronti del tutto. Qui la terra, le nostre
orme, il nostro stare, là il cielo immensamente grande per le nostre forze. È
questa dualità, questa dicotomica sensazione che sentiamo per il fatto di
essere umani. È il motivo della nostra inquietudine, del nostro spleen, ma un motivo che dà sostanza e vivacità alla
poesia:
Da una parte all’altra
del mio essere uno,
sono sempre imperfetto
detentore di un centro
che proietto nel cielo
per progetti spaziali;
le follie del navigatore
per condurmi alla meta
per la strada più breve
sono geni di un codice
che tramanda il sapere
per la storia di un viaggio (In cammino).
Forse
ammirando le stelle, la loro flebile lucentezza, possiamo scoprire la meta
verso cui dirigersi. Ma quante volte ci siamo spersi nell’immensità dei cieli nel
tentativo di scoprire una verità che è al di sopra e al di fuori della nostra
portata.
“Ignoranti quem portum petat nullus suus
ventus est” afferma Seneca. A colui
che ignora il porto a cui è diretto nessun vento è favorevole. Ma il fatto
sta che è umano, fortemente umano brancolare nel buio senza orizzonti ben
definiti. Qui la silloge di Stefano: un’opera plurale, polivalente, proteiforme
per i messaggi e gli abbandoni ai misteri del vivere. I versi sono di
alternanze variabili, ma soprattutto brevi, incisivi, come immagini scolpite
nella pietra di una grotta. Secchi, che denunciano i tanti perché irrisolti e irrisolvibili in cui
si imbatte la mente umana. E tanti i motivi ispiratori oggettivi, che denotano
voglia di andare oltre la parola e il suo sintagma. Poesia, comunque, fresca,
originale, dove le sinestesie e le metafore o altre figure stilistiche si fanno corpo di una vocazione intenta a
risolvere le problematiche di epigrammatica natura:
L’amore:
Ci amavamo
con le sorprese del dolore;
lo serbavamo
nei meandri inestricabili
della nostra unione
e aspettavamo
che d'un tratto esplodesse,
per incantarci
e redimerci
dalla tortura solitaria
di cercare una ragione;
la coscienza della
nostra precarietà
Ci siamo impietositi
di fronte al nulla,
all'inconsistenza
di avere due occhi
e soltanto una bocca:
troppo per vederci
e poco per raccontarci
ciò che
vediamo
la ricerca ontologica dell’ego, della sua entità etica,
esistenziale:
Vorrei spogliare
il manichino che sono
dalle ambizioni che non ho
e che occorre esibisca in vetrina
come sperassi
le avessero tutti.
Il senso dell’ignoto in un soliloquio
assillante:
Setaccio dell’anima quel varco nel velo,
menzogne trattiene al di qua del suo cielo;
al di là c'è l'ignoto che detiene il presente,
verità di un incontro che rimane latente.
Gli
oracolari pensieri di parole da scrivere
Racchiuso tra le pagine
bianche di un quaderno,
vorrei provare ad aprire
nuvole e specchi,
così che viaggi il pensiero
e la mente, pozzanghera,
rifletta la pioggia
non ancora in caduta,
non ancora formata,
non ancora riflessa,
ma già trasformata
nella mia previsione,
quale oracolo delle parole
che credo di scrivere...,
o
le meditazioni sulle grinfie di un tempo che inghiotte al banchetto del
possibile
In certe circostanze,
di fronte al mondo
o a pochi intimi
o nel segreto di se stessi,
c'è solo l'imbarazzo della certezza
di aver fatto una scelta discutibile;
e una tensione insostenibile
getta silenzio sull'opzione
(sulle opzioni)
che il Tempo ha inghiottito
al banchetto del possibile,
in avanzo tra le pietanze
Insomma una
silloge di polisemica significanza in cui tutti gli scomparti dell’umana
vicenda sono analizzati con perspicacia esplorativa condita da un certo
sarcasmo, che fa della poetica del Nostro un quadro dove verbo e sentimento,
parola e pensiero si integrano coralmente.
Nazario Pardini
DAL TESTO
CREPUSCOLO
Si parte
(si riparte)
e una caduta
(la ricaduta)
sarà quel sorso
che berrò amaro
per avanzare
da quel rimorso
alla risorsa
rimasta in me.
E se avverrà
di sentirmi vuoto,
sarà la volta
che mi sovrasta
a ricordarmi
quant'è normale
essere nulla
di fronte al
nulla,
che mi separa
da ciò che c'è:
sono le stelle
del nuovo giorno
le indicazioni
per dove andare.
PRONTO (?),
PARTENZA (!), VIA (...)
Riparto da un
porto,
da un alba che,
forcipe,
mi chiama per
nome.
Eccomi pronto,
la veste di
scarto,
per mari ricicli
e muri cornici
di nuove finestre.
Alzo la testa,
prendo la mira
e fiondo lo
sguardo
fuori dagli occhi,
dentro il silenzio
di corpi di
spalle.
Prima credevo
fosse normale
attendere un volto
per prendere il
via.
Ora comprendo
che è strano
aspettare
e che una partenza
riguarda anche me.
Da una parte
all'altra
del mio essere
uno,
sono sempre
imperfetto
detentore di un
centro
che proietto nel
cielo
per progetti
spaziali;
le follie del
navigatore
per condurmi alla
meta
per la strada più
breve
sono geni di un
codice
che tramanda il
sapere
per la storia di
un viaggio.
UNO SGUARDO NON
BASTA
Ci siamo
impietositi
di fronte al
nulla,
all'inconsistenza
di avere due occhi
e soltanto una
bocca:
troppo per vederci
e poco per
raccontarci
ciò che vediamo.
Qualcuno dice
che, a chi si ama,
basti uno sguardo
per capirsi;
ma, chi lo dice,
non considera
che uno sguardo
non basta
per amarsi.
Così, ridicoli,
siamo rimasti in
silenzio,
come quando per
strada
si passa a fianco
a un senzatetto
assopito:
lo vediamo,
non sappiamo che
dire
e abbiamo pietà di
lui;
e forse, poi,
un po' anche di
noi.
DI NUOVO
Di nuovo
niente
di nuovo
le solite vuote
parole
di nuovo
comincio a
stancarmi
di nuovo
riprendi a parlare
di nuovo
tu non capisci
di nuovo
io ci ho provato
di nuovo
non ho altro da
dire
di nuovo
vorrei tanto
volare
di nuovo
siamo caduti in
basso
di nuovo
ci guardiamo
dall'alto
di nuovo
sembriamo ridicoli
di nuovo
siamo ridicoli
di nuovo
non più di altri
di nuovo
ridicoli quanto
basta
di nuovo
a girare intorno
alle parole
di nuovo
a fare il giro più
veloce
di nuovo
ho vinto al
fotofinish
di nuovo
non accetti la
sconfitta
di nuovo
sarà per un'altra
volta
di nuovo
comunque
complimenti
di nuovo
ci vediamo tra
poco
di nuovo
saremo gli stessi
di nuovo
mai più come prima
di nuovo
mai più come ora
di nuovo
mai più come mai
di nuovo
“mai più”? Come
mai?
di nuovo
basta con questi
giochetti
di nuovo
va bene, ma almeno
è qualcosa
di nuovo
va bene, ma ci
accontentiamo
di nuovo
nemmeno noi
di nuovo
soltanto noi
di nuovo
niente è cambiato
di nuovo
niente di nuovo
di nuovo
niente
di nuovo.
E ora?
Daccapo.
LACRIME APOCRIFE
Gli ematomi più
intimi
sono lacrime
apocrife
e rifiutano
traffici
di espressioni
fugaci
o esegesi
ufficiali,
per marcire in un
angolo
di una stanza
affollata.
Si soffre tanto
sotto gli occhi di
tutti,
ma,
soprappensiero,
stiamo tutti meglio.
SICUREZZE DI IERI
Sono cambiate in
fretta
e non c'è stato
allarme
e poco importa
adesso
che si concili il
dramma
con la
sopravvivenza,
perché non è lo
stesso
prefigurare un salto
e accarezzare il
vuoto.
Sono cambiate in
fretta
e si è discusso
molto
su chi sia il vero
leader
tra tradizioni e
sogni,
ma ciò che ne è
rimasto
è polline nel
vento,
che mentre va a
attecchire
fomenta
intolleranze.
Sono cambiate in
fretta
e non c'è stato
scampo
per esitanti in
fila
e coppie di una
volta,
pazienti ad
aspettare
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