Relazione su
“Stanze
quotidiane”
di Maria Pia Brunelleso
Paolo Buzzacconi, collaboratore di Lèucade |
I luoghi dove la poetessa
Maria Pia Brunelleso ci accompagna in questo libro si trovano nelle profondità
dell’animo umano, ma non sono asettici paradisi di felicità virtuale e
dispongono di centinaia di finestre spalancate sul mondo. L’autrice osserva
la vita con gli occhi del
cuore, in un’ottica che pur essendo estremamente intima non rimane mai fine a
se stessa, ma si fa prezioso dono di esperienza da offrire ai lettori.
A fronte di un punto
d’osservazione tanto particolare la percezione della realtà è incredibilmente
nitida, senza filtri e senza false prospettive ingannevoli. Ci troviamo di
fronte ad un silloge in cui ogni verso è colmo di poesia, dunque di essenza di
vita, ad un’opera che riesce ad andare al di là delle parole, pur nell’estremo
rispetto delle stesse. Si percepisce una sorta di osmosi di emozioni che
dall’anima si affacciano al mondo, lo scrutano e ne colgono il fascino e le
contraddizioni per poi tornare indietro ad aiutarci a comprendere, ad accettare
e talvolta perfino ad amare la quotidianetà che
il destino ci riserva.
Colpisce il contrasto tra una realtà fatta di silenzi e assenze e la magia di
ciò che di meraviglioso è stato e soprattutto la sincerità con cui si ammette
quanto sia difficile accettare il confine “tra il prima e il dopo”. Padrone
della scena è
spesso il silenzio, che
aleggia in un contesto popolato da ombre e da oggetti che sembrano sfidarci
dalla certezza della loro l’immobilità. Silenzio che non sospende il vivere, ma
lo costringe in una condizione di spietato bilancio delle cose che a poco a
poco consuma il filo della speranza e riapre ferite mai chiuse. Silenzio che
tuttavia non riesce ad intaccare il senso profondo dell’esistenza, ovvero
l’amore. Ed è proprio all’amore che l’autrice dedica la prima sezione, dove non
lo chiama mai per nome, ma lo evoca vivo e pulsante in un appassionato dialogo
con la persona amata: “E lascio oltre la soglia, quel frastuono di tempesta, di
cose estranee e indifferenti, senza tracce, ne interesse. Ricade il mondo, fra
il paltò e la borsa in ogni gesto tuo che da calore, il lume acceso sul divano,
i fiori sparsi nella stanza, le note di Piovani e i tuoi occhi così vicini, a
far distante e opaco tutto il resto”. L’autrice ci accompagna in una dimensione
che sorvola il logorio del tempo e la superficialità del vivere, in quelle “stanze
quotidiane” segrete dove l’anima ritrova la gioia di accogliersi in uno sguardo
per poi condivire il medesimo ideale o lo stesso desiderio, l’unico spazio dove
ci è concesso esprimere serenamente il nostro volerci fare dono e tornare così
a quel ruolo di testimoni d’infinito per cui siamo stati creati.
“E in te io mi raccolgo,
nella deriva della sera, quando i pensieri del giorno
accartocciato si
scompongono e migrano arresi, dove noi non siamo ed
ogni estranea forma,
lentamente, depone ogni sua arma e si fa altare.” Assai toccante il capitolo
che l’autrice dedica in seguito al figlio, una sezione che lascia intravedere
pareti ripidissime da scalare, ma è comunque una splendida celebrazione
dell’amore materno, il più grande, il più tenace che esiste. Si rimane travolti
dalla purezza e dalla dolcezza dei suoi
versi, proiettati a colmare ciò che la vita ha negato, a farsi ponte tra il
presente e ciò che il destino impedisce. Versi in cui non manca mai la luce,
ora soffusa complice di magici istanti, ora forte e accecante, quasi spietata
nel definire i contorni di una realtà che non è quella che speravamo. “Sei in
me, come luce sparsa, sotto un cielo diverso, con memoria d’azzurro, converso
nell’universo dei tuoi occhi immensi, in vocaboli d’attesa e segreti idiomi di
carezze, nel muro corsivo del tempo”
Molto coinvolgenti anche i
successivi capitoli – “Versi sparsi” e “Ontologici”. Nel primo la nostra
raccoglie frammenti di tempi e di luoghi visitati o fatti propri nel profondo e
ce li fa vivere attraverso delle liriche di ottima fattura (straordinaria, in
tal senso “Shoah”). Nel secondo affronta con piglio poetico il metafisico
dilemma dell’esistenza vista come reale proprietà degli oggetti e dunque il
complesso rapporto tra la mente e l’Immenso, con delle liriche in cui ricerca
l’equilibrio tra due correnti filosofiche – realismo e nominalismo – che riesce
a far convivere sullo stesso foglio.
“Siamo soli, nelle galassie dei luoghi comuni, ad arrotondare per difetto
le giustificazioni dell’apparire. E intanto, ci aggiriamo sorridenti nelle
vetrine delle felicità imperfette ove un vizio di usura, conforta abbracci
convenzionali e baci, senza memoria d’anime.” L’autrice si avvale di un lessico
chiaro, ma al contempo molto raffinato, in cui la scelta dei lemmi va oltre il
loro stretto significato cogliendo la musicalità intrinseca di ogni parola e
amplificando la loro capacità di evocare un’emozione o uno stato d’animo. Si
rimane affascinati da alcuni termini in apparenza simili ad altri di uso
frequente, ma dal suono più armonico e poetico quali “ converso”, o “compendia”
, o “ resilienza” o “finitudine”. Il tutto a confezionare una silloge che non è
solo un ottimo esempio di poesia, ma intende sottolineare l’importanza di
quelle “stanze quotidiane” dove è riposta la nostra identità. Quelle stanze
dove troppo spesso, o per paura o per l’incontrollabile frenesia del vivere, ci
dimentichiamo di entrare.
Paolo Buzzacconi
Serata di altissima intensità quella con Maria Pia Brunelleso. Le relazioni di Paolo Buzzacconi e Roberto De Luca sulla sua Silloge hanno coinvolto tutti e le parole dell'Autrice ci hanno donato il senso puro del termine 'felicità'. Stanze quotidiane più che una Raccolta di poesie è un manuale di vita. Un ringraziameno particolare a Loredana D'Alfonso che ha reso vive le liriche!
RispondiEliminaAbbraccio grata tutti e stringo in modo speciale il nostro Nazario dall'anima di luce!
Maria Rizzi