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venerdì 2 novembre 2018

NAZARIO P. "PREFAZIONE ANTOLOGIA PREMIO MIMESIS 2018"


PREFAZIONE ANTOLOGIA “MIMESIS” 2018

Il poeta naviga su una barca (poesia) verso un’isola che non c’è

Poesia. Fare poesia. Scrivere versi. Dare sfogo ai sentimenti più cocenti, più pulsanti, più invadenti, senza dilungarsi in stesure prosastiche lungo le quali uno può anche smarrire il senso ispirativo. Essere brevi, concisi, definitivi pur lasciando al lettore gli spazi interpretativi. Fare melodia, armonia; legare tra loro parole che aiutino a concretizzare, a definire gli input emotivi. Melologo: fusione fra verbo e ritmo; ricerca continua di un qualcosa che appaghi; che significhi il nostro mondo interiore. Fondere in unità sintagmatiche il dire e il sentire. Cercare allunghi fonico-sinestetici, o iperbolico-allusivi per andare oltre, dacché è all’oltre che l’animo tende; alla sua origine. E questa crestomazia ne è lo specchio: tanti modi di raccontarsi, tante vie verbali, sonore; tanti sistemi per fissare iuncturae, per inanellare note in uno spartito che sia consono ai dettami del pensiero. Tante strade a dare l’idea delle tendenze poetiche della letteratura d’oggi: minimalismo, esistenzialismo, poesia civile, materialismo naturalistico, misticismo spiritualistico, lirica, antilirica, classicismo, modernismo, post-modernismo… Ma io darei un botto all’aria a tutte queste definizioni. Sì, spazzerei via tutto. E allora?  Allora andare al cuore del canto, alla sua provocazione; alla sua penetrazione. La poesia è quella combinazione che ti entra dentro e ti dice che c’è; che ti fa vibrare le corde del sentire; che ti manda in estasi; ti confonde; ti abbraccia e ti trascina in un mondo nuovo, mai calpestato; in un mondo al quale hai sempre sognato di accedere; e non è detto che non sia uno straccio di nube, o un brandello di mare, o un incendio di papaveri a indicarti la strada per quel pianeta. E i poeti? I poeti sono una specie umana particolare. Sono continuamente in volo, verso dove neppure loro lo sanno. Simili agli albatri baudelairiani non si trovano a loro agio sulle terra ferma, brancolano, zoppicano, vanno a tentoni; non stanno in equilibrio. Sì, sono nati per volare verso un’isola lontana, che nemmeno la si vede col cannocchiale. E intraprendono viaggi su zattere fragili e precarie, avventurandosi su rotte di difficile navigazione. Si impigliano in secche, sbattono su scogli irti e aguzzi, trovano bonacce, venti che scompigliano le vele; e spesso, con quello che resta dell’imbarcazione, mirano all’isola dei loro appagamenti. Il fatto sta che non vedono fari, non scorgono stelle, e, continuando nel buiore degli abissi, cadono in depressione, nel malum vitae, nello spleen, rendendosi conto dell’impossibilità di ultimare il loro percorso; dell’improbabilità  dell’impresa. D’altronde il viaggio è un po’ nelle corde degli umani. Forse perché l’uomo in generale ambisce a qualcosa di più; a superare i limiti della sua precarietà, della sua incompletezza, del suo essere mortale fra i mortali. Ed allunga lo sguardo verso orizzonti impossibili per la sua miopia; ne deriva un pascaliano conflitto tra rien e tout, cosicché la sua posizione fra la caducità del terreno e l’infinitezza a cui ambisce crea in lui una inquietudine perenne che è anche il focus del canto. Questa è un po’ la poesia, la sua anima: sentimento, memoriale, fuga dall’essere, immersione nella vita, rivisitazione del vissuto, cristallizzazione delle immagini, osservazione, descrizione, simbolismo, armonia; e parola. Quest’ultima è ciò che determina la potenza del poièin, cercando con tutti i mezzi a disposizione di farsi effettiva, significante, concreta: si spezza, si arrotonda, si sfuma, si contrae, si metaforizza, per rendere visivo e corposo il messaggio dell’anima. L’arte ha sempre avuto bisogno di qualcosa di più della semplice parola; di andare al di là della canonica morfosintassi con voli etimo-fonici o sinestetico-allusivi. Tante sono le vertigini emotive accumulatesi e altrettante quelle figurative determinate da paesaggi naturistici che hanno inciso sul vivere. Avvicinarsi alla poesia vuol dire amare, vedere, osservare, descrivere, sentire; vuol dire offrire armonia e senso alla nostra vita, ai nostri incontri, ai nostri patemi; vuol dire conoscere, imparare, e saper tradurre le nostre conoscenze in qualcosa che superi il personale per rendersi patrimonio di tutti: questo fanno i nostri poeti. Leggerli è una ricchezza.

Nazario Pardini
 29/07/2018


4 commenti:

  1. Anche leggere le parole della sua poetica è un arricchimento. Grazie professore, mi sono un po' ritrovato nel viaggio verso "L'isola che non c'è". Emanuele Aloisi.

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  2. Finalmente, dopo decenni di ricerca, ho avuto, dal caro Prof. Pardini, una esaustiva definizione di cosa è la poesia e di conseguenza chi è il vero poeta. E tutto con una chiarezza espositiva encomiabile che mi ha lasciato positivamente attonito pur conoscendone oramai la Sua bravura di Scrittore. Ritengo di essere in totale sintonia con quanto ho letto specie quando scrive che: "La poesia è quella combinazione che ti entra dentro" che è armonia, musicalita verbale, melologo, canto e come tale non può fare a meno di questi elementi fontanti perchè un testo possa definirsi poesia. Pasqualino Cinnirella

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  3. Fortunati i partecipanti all’antologica “Mimesis” 2018: una prefazione di tale calibro non può che gratificare e far pensare chi pensa o spera di essere un poeta …La panoramica dei tanti modi di far poesia oggi (minimalismo, esistenzialismo, poesia civile, materialismo naturalistico, misticismo spiritualistico, lirica, antilirica, classicismo, modernismo, post-modernismo…) viene messa tra parentesi dal nostro critico, con l’invito ad andare al cuore del canto, alla sua provocazione, alla sua penetrazione. Un invito a “navigare”.
    “Avvicinarsi alla poesia vuol dire amare, vedere, osservare, descrivere, sentire; vuol dire offrire armonia e senso alla nostra vita, ai nostri incontri, ai nostri patemi; vuol dire conoscere, imparare, e saper tradurre le nostre conoscenze in qualcosa che superi il personale per rendersi patrimonio di tutti: questo fanno i nostri poeti”: la poesia come studio, ricerca, come conoscenza- necessari per non confonderla- con lo sfogo privato, personale e transeunte, il gioco con le parole, l’emozione che disconosce la profondità del sentimento, il decorativo che non sa cogliere l’autenticità del Bello.

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  4. Ho apprezzato molto, fin dalla prima lettura quella sera a Itri, le riflessioni e le considerazioni racchiuse nella prefazione del nostro Nazario all’Antologia che raccoglie le poesie dei vincitori e dei giurati del Premio Mimesis 2018.
    Condivido ogni parola detta con il cuore da una persona che sa perfettamente qual è il senso vero della poesia: “La poesia è quella combinazione che ti entra dentro e ti dice che c’è; che ti fa vibrare le corde del sentire; che ti manda in estasi; ti confonde; ti abbraccia e ti trascina in un mondo nuovo, mai calpestato” ed è una dedizione irreversibile, un amore che illumina e nello stesso tempo conosce il dolore dell’abbandono -quando l’ispirazione non c’è- della solitudine da mancanza - di cui poco si parla-.
    Perché è vero “I poeti sono una specie umana particolare (…) sono nati per volare” e il viaggio è il senso stesso dell’impresa, fatto nella fedeltà al credo del canto fatto nella consapevolezza del valore altissimo della parola poetica, della sua incisività e della sua necessità.

    Annalisa Rodeghiero

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