Ester Cecere, poetessa, narratrice, critico letterario |
“…e ci indossiamo stropicciati” di Luigi Paraboschi, Terra d’ulivi edizioni, 2018
Ha un titolo emblematico la splendida e
significativa raccolta di versi di Luigi Paraboschi, titolo efficace, di
immediata comprensione. A un certo momento della nostra vita, ci accorgiamo che
non siamo quelli che credevamo di essere, ci scopriamo fantocci, semplici abiti
che, ammassati in un armadio, quasi per negligenza, si spiegazzano, si
stropicciano
Sempre
chiusi rimaniamo dentro quegli spazi
che
sono privatamente nostri e che non vogliamo aprire,
come
un armadio in cui si accumula la biancheria
lavata
ma non stirata e solo all’occorrenza
si
prende a caso ciò che serve e poi s’indossa
quello
che richiede l’occasione ma
la
nostra scorta di chiusure è così grande
che
non basta buona volontà per fare di noi
esseri
nuovi e alla fine ci indossiamo stropicciati. (Da “Il ghiaccio della gronda”).
La lirica che apre la raccolta
introduce subito uno degli argomenti portanti del sentire dell’Autore, tema che
verrà ripreso più volte e sviscerato esaustivamente, quello della “chiusura”,
la chiusura agli altri, al nostro prossimo sensu
lato, la chiusura dovuta a silenzi egoistici che non abbiamo il coraggio di
interrompere
Alla
fine resta il bisogno di bisbigliare
dentro
un orecchio sillabe
che
non si ha il coraggio di pronunciare
…
Si
rimane come oggetti abbandonati
sopra
una sedia, simili a una camicia
ancora
non stirata o un paio di pantaloni (Da
“Scavi”).
Ritorna la calzante metafora degli
abiti non indossati, che quindi non vestono un corpo, “vuoti” anche di
un’anima. Non è forse chi indossa un abito a conferire a esso vita? E non si
anima forse l’abito stesso della personalità di chi lo indossa? Ché lo stesso
abito appare diverso se indossato da persone con portamento e carattere differenti.
Il Poeta ci esorta, quindi, ad aprirci,
a non vivere chiusi nelle “parentesi”, dato che persino
…
l’algebra insegna
che
prima o poi tutte le parentesi
devono
essere sciolte
per
ottenere
la
risposta all’equazione, (Da
“Vivere tra parentesi”).
Altro pilastro tematico di questa
raccolta è la “ricerca” o meglio “l’assenza della ricerca”. La vita, quella
vera, consiste nel porsi delle domande, cercare risposte, spiegazioni, consiste
nel tentare di comprendere, nel cercare il senso della nostra esistenza, del
nostro essere presenti sul pianeta Terra. La mancanza di ricerca è un’assenza senza la firma dei genitori
(da “Non è vita il tuo attendere”), un’assenza ingiustificata, quindi! Cercare,
comprendere, guardare verso la luce con l’intento di accostarsi alla verità pur
col rischio di accecarsi è meglio che dibattersi in poca acqua stagnante
No,
non è vita l’annaspare
dei
piedi dentro l’acqua. Per stare
a
galla è meglio fare il morto
ad
occhi aperti verso un cielo
che
sfarfalla di bagliori sopra
le
nostre ciglia secche per il sale.
(Da “Non è vita il tuo attendere”).
E continuamente l’Autore ci mette in
guardia dal non cadere nelle sabbie mobili di una “non vita”, di una vita solo
all’apparenza vissuta
Dici
che temi la vita virtuale,
lega
le mani e non ha confini, ma
quella
che trascorriamo è più reale?
(da “Raccontami l’acqua che è già corsa”).
Domanda diretta e spiazzante. E’ vera
vita quella che viviamo? Ce lo saremo chiesto forse qualche volta, ma senza
soffermarci più di tanto su questo interrogativo scomodo, eludendo la domanda,
evitando la risposta e rientrando rapidamente nell’ingranaggio che ci
disumanizza.
Raccontami
l’acqua che è già corsa
…
prima
che la vita ti accorciasse la cavezza,
(da “Raccontami l’acqua che è già corsa”).
Non dobbiamo permettere che le pastoie
della quotidianità nella quale ci muoviamo come automi telecomandati limitino i
nostri movimenti, anche quelli interiori! Insiste il Poeta, ci avvisa! La vita è
galoppo, è libertà interiore, è slancio genuino dell’essere!
E risuona come un mantra il tema della
“chiusura” e delle sue nefaste conseguenze
e
lasciami cambiare le mura che cerchi
di
costruirti attorno – fortezza
senza
ponte levatoio – con semplici mattoni
o
sassi uno sopra l’altro e con una
porta
dove chi entra resta… (da
“Raccontami l’acqua che è già corsa”)
ché la vera vita è apertura,
comunicazione, condivisione, comunione, accoglienza, solidarietà
…di
veramente nostro, unico
ed
irripetibile sono le impronte digitali
il
resto di noi è tutto umano e universale,
è
vita, amore, sofferenza, attesa, morte,
niente
che non sia uguale a ciò che possiede
pure
quel mio vicino che mi siede accanto
al
quale non rivolgo l’occhio per indifferenza. (Da “Solo le impronte digitali”).
Con metafore efficaci e catturanti, l’Autore quasi ci supplica: non permettiamo che
la nostra vita diventi un bivacco, abbandoniamo
l’illusione
d’essere
gli anelli forti di una catena
quando
…la
secchia che gettiamo in fondo
al
pozzo non porta su che fanghiglia e sassi. (Da “La non appartenenza”).
Dobbiamo assolutamente evitare che il giorno sia un peso senza ragione / un
foglio bianco con tracce di parole (da “Di prima mattina”). La vita va “bevuta”, a grandi sorsi, con sorsate
dissetanti, che ci liberino dall’arsura di un calore insopportabile
Sento
allora uno strappo all’anima
se
m’accosto all’orlo d’ogni bicchiere
che
non porto al labbro
perché
so già che resterà la sete,
(da “Quella sottile voglia”).
E ancora, non mettiamoci nella
condizione di rimpiangere di non aver vissuto, addirittura di dover dimenticare di non aver vissuto per
sopravvivere a noi stessi (da “Le vecchie litanie”).
Ci ricorda, il Poeta, che viviamo
costatemente nel pericolo di una vita senza un senso, infinita notte invernale,
al termine della quale
…rammentarci
che
la razionalità è un lago di abbandono
nel
quale siamo andati a fondo. (Da
“Le notti lunghe dell’inverno”).
Viene introdotta, con questa lirica,
un’altra parola-chiave della raccolta: razionalità. La razionalità è nemica
dell’uomo, sottolinea l’Autore (ciò che
avresti voluto / se avessi smesso di
pensare da “Persone come libri”). Razionalizzare tutto e troppo uccide lo
spirito, ne blocca gli slanci e i voli, ci rende mongolfiere senza lo spirito… / condannati a ripiegare su terre
desolate (da “Tutto il respiro”).
A questo punto il lettore potrebbe
scoprirsi confuso. Siamo invitati a comprendere il senso della nostra vita, a
cercare risposte alla domanda: perché esistiamo? Ad avvicinarci alla verità. Ma
come fare tutto ciò senza l’aiuto del ragionamento? E già, ci invita a
riflettere, Luigi Paraboschi. Dobbiamo comprendere col cuore, non con la
ragione. Questo è il segreto. E lo afferma esplicitamente
e
non avvelenare il sangue per celebrare
l’esaltazione
dell’intelligenza, e
lascio
scorrere lo spirito dove vuole
certo
che la risposta è chiusa dentro
il
mistero d’accettarsi per divenire uomo.
(Da “Basta il mistero”).
Si, é così. Dobbiamo accettarci esseri
finiti con dentro l’infinito, ché l’uomo ha in sé l’infinito, e l’infinito è
mistero e come tale non può essere razionalizzato.
Come comprendere quindi il mistero? Potrebbe
chiedersi il lettore. Il mistero non si comprende, si intuisce col cuore. Del
resto Pascal non affermava forse che “Il cuore ha le sue ragioni, che la
ragione non conosce”, per sottolineare che noi conosciamo la Verità non
soltanto con la ragione, ma anche con il cuore? E tuttavia l’intuizione del
mistero può avvenire solo nelle condizioni opportune
Quando
avrai girato l’interruttore tra te e il mondo
…
E
non ti lascerai più condurre in giro dal rumore.
…
E
quando scoprirai che nell’accettarsi
figlio
d’un Padre silenzioso ma non assente
sta
l’inizio e la fine di ogni ricercare
la
tua storia diventerà un libro chiaro.
(Da “Il silenzio è da catturare”, titolo emblematico che ci ammonisce, che ci
ricorda quello che dovrebbe essere un must
della nostra vita).
Ecco, solo spegnendo in noi il rumore
del mondo, ora brusio costante in sottofondo, ora chiasso assordante, rumore
che ci stordisce, ci confonde, ci paralizza, ci impedisce di pensare, possiamo
avvicinarci al trascendente, possiamo scoprirci figli di Dio. Potremmo
intravvedere nel rumore del mondo una sorta di “divertissement “ di pascaliana memoria, da Pascal inteso nel senso
etimologico del termine di deviazione e allontanamento (dal latino devertere, cioè deviare, allontanarsi).
Il “rumore del mondo” va inteso sensu
lato, non solo propriamente come suono confuso, sgradevole, ma anche come
qualsiasi manifestazione e/o attività che monopolizzi la nostra attenzione e ci
impedisca di pensare, di riflettere.
Intuendo il trascendente, diventa
chiaro quindi il cammino dell’uomo, cammino che solo apparentemente è unidirezionale,
cioè verso l’alto, verso Dio, poiché esso é anche orizzontale, verso il
prossimo, col quale tutto condividiamo del nostro percorso terrestre. Tuttavia,
non dobbiamo aspettare troppo per avvicinarci al Padre e ai nostri compagni di
viaggio perché
Non
servirà il rammarico o il disappunto
per
le scelte troppo a lungo rimandate.
Le
nostre non azioni, l’indifferenza,
quell’accidia
sottile che accompagna sempre
la
mancanza di carità saranno lì…
(da “Allora, non prima”, lirica coinvolgente, vera e propria sinossi della
raccolta poetica).
E torna ancora la parola “carità”
spesso contapposta a “indifferenza”. Il Poeta ci esorta a non farci bloccare da
…i
nostriplacebo, bugiardini
per
le nostre coscienze – civili
ma
prive di carità –
a causa dei quali
non
sapevamo
allora
la pena d’osservare chi
allatta
con la miseria accovacciata
al
seno… (da “Una
generazione”).
Versi altamente significanti. Di
grandissima potenza immaginifica, l’espressione allatta con la miseria
accovacciata al seno… Pare di vederla questa madre che allatta al
seno vizzo il figlio scheletrico dalla testa troppo grande! E’ una pugnalata
che ci colpisce improvvisa, quando meno ce lo aspettiamo.
E’ pervasa da una grande fede la
raccolta poetica di Luigi Paraboschi, una fede acquisita ormai definitivamente,
intimamente posseduta, che sia stata cercata o che sia stata ricevuta in dono,
una fede che consente di amare il prossimo attraverso l’amore per Dio. E
tuttavia i suoi versi suggeriscono molte riflessioni anche al non credente ché
sui principi dell’etica dovrebbe basarsi il vivere civile.
Le liriche sono significanti, catturanti,
i versi liberi, lunghi, interrotti dopo parole sulle quali il Poeta vuole che il
lettore si soffermi. Un tale verseggiare conferisce ai componimenti poetici un
andamento lento, ché probabilmente l’Autore desidera che esse vengano lette con
calma, per comprenderne appieno il significato, meditarlo e farlo proprio.
Andiamo e amiamo, quindi, senza la paura di slogarsi l’anima (da
“Solo le impronte digitali”). Che potente resa fisionomica questa espressione! E’
sotto i nostri occhi questa anima claudicante a causa di una buona azione!
E
adesso, vi prego, facciamo silenzio.
(Da “La verità, vi prego, sull’amore”).
Leggiamo e rileggiamo questa raccolta di
resa poematica che è un manuale di vita, un prezioso viatico. E lanciamoci al
galoppo verso il prossimo nella vita vera, sicuri che
Dio
ci ascolta anche quando
lo
pensiamo con la “d” minuscola.
(Da “La verità, vi prego, sull’amore”).
Quella che Ester Cecere ci presenta in questa nota di lettura, è una raccolta di poesie del poeta Luigi Tiraboschi. Poesie che possono essere strumenti per interrogare la società e per interrogare noi stessi. Già il titolo è un verso di ampia interpretazione ...e ci indossiamo stropicciati.
RispondiEliminaUn senso di inadeguatezza, di provvisorietà, di incapacità ad interpretare la vita, la nostra vita con gli elementi che amiamo. Il poeta ci esorta ad aprirci a vivere pienamente e ad accettarsi e leggere nel silenzio la presenza dell'amore. I commenti a questi versi immediati per forza espressiva, ci permettono di assaporare il valore autentico della poetica dell'autore.
Attraverso questa nota di lettura scopro un aspetto critico di Ester, capace di scavare tra i versi e di dare respiro al impeto poetico dell'autore.
E'stata una piacevole lettura, complimenti a Ester, un bravo a Luigi per la sua raccolta e un grazie a Nazario per aver pubblicato l'articolo.
Un caro saluto
E' un ottimo lavoro questo di Ester Cecere sulla poesia di L. Paraboschi.
RispondiEliminaUna presentazione esauriente dove il senso dell'opera procede disteso, analizzato e commentato punto per punto con estrema chiarezza. Si potrebbe dire una piccola dissertazione filosofica sopra un testo poetico già di per sé alimentato da concezioni filosofiche esistenziali, che toccano il campo dell'etica e infine della fede.
Molto interessante il dettato poetico che dalla riflessione iniziale- apertamente amara- del "vuoto di noi, abiti stropicciati , senza alcuna identità" porta alla considerazione conclusiva che la vita " è vita, amore, sofferenza, attesa..."
Il commento di Ester Cecere segue il sofferto percorso del pensiero del Poeta con evidente appassionata condivisione; ne risulta una pagina critica che , nonostante la lunghezza, scorre senza fatica, per la chiarezza espositiva e la puntualizzazione consequenziale dei versi.
La poesia dell'Autore ne esce in tutto il suo valore, e si fa apprezzare in ogni sfumatura.
Al poeta Paraboschi e alla scrittrice e poetessa Ester Cecere i miei più vivi complimenti.
Edda Conte.
Ester, non so che dire oltre a ciò che già sai: la tua lettura mi ha riempito di gioia perché dimostra che hai catturato perfettamente il senso delle mia poesia. Non ho parole per dirti il mio grazie, ti abbraccio. Luigi Paraboschi
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