Premessa
Ecco il
melodramma, che sarà messo in musica quanto prima, di Antonio Bologna. L’Autore
qui usa la metrica e il linguaggio dei librettisti dell'Ottocento, volutamente.
Tutta opera di fantasia. Bologna ha scritto un importante saggio
intitolato Manfrdedi di Svevia. Impero e Papato nella concezione di
Dante. Fu pubblicato nel 2013 dall'Università Salesiana
dove insegnava Composizione Latina e Metrica Latina e Greca. Ad Ariano
Irpino ha tenuto diverse conferenze su Manfredi. Per cui è stato pregato di
scrivere un libretto.
Titolo e trama:
ORAZIO
ANTONIO BOLOGNA
L
A D I S T R U Z I O N E D I A R I A N O
MELODRAMMA
IN TRE ATTI
Il dramma si svolge nel 1255. Manfredi di
Svevia, figlio di Federico II, si prepara a cingere di assedio Ariano Irpino,
che, di orientamento guelfo, costituiva un serio pericolo nel cuore del Regno.
L’importante centro, che occupa una posizione strategica di primissimo piano,
non si arrende alle proposte di Manfedi e viene distrutta dalle truppe saracene
al comando di Federico Lancia.
Dopo la lettura
La
trama è ben condotta ed equilibrata, presuppone conoscenza, studio, ricerca, ma
soprattutto creatività. I personaggi emergono ben distinti con le loro
caratteristiche comportamentali e il loro apporto allo sviluppo dell’azione.
L’opera è congegnata per un eventuale progetto musicale, dacché il linguaggio,
estremamente docile e armonico, strutturato in prevalenza su una base di
sonorità settenaria, si presta a tale funzione in quanto risultato di un acuto
lavoro di scavo storico e di adattamento alle esigenze culturali del periodo basilare
del melodramma in questione.
1255,
Manfredi, l’assedio, le truppe saracene al comando di Federico Lancia. Tutto si amalgama in una visione di elastica
trasposizione scenografica. Mi sembra già di assistere alla trama sulle note di
un grande compositore che dà il meglio di sé in romanze centrali dal sapore austero
verdiano, o lirico pucciniano, tipo Coro a boca cerrada, o morbido chopiniano,
tipo Tristezza e Notturno, ad accompagnare, ora, l’avanzata verso la chiesa di
un fitto coro di donne, che, vestite a lutto, invocano l’aiuto della Vergine, cantando
in direzione del centro della piazza; ora, quando quasi all’alba, da un angolo
esce Angelica.
Angelica
Deserto è questo luogo,
cupo deserto regna.
Spero che qui vegna
l’amore mio diletto.
Goffredo
Vedo nel dolce aspetto
la fiamma che il cor m’arde,
l’ore, sebben sien tarde,
rallegrino il mio spirto.
I
momenti di passione si alternano a quelli di epica levatura in un mélange di
forte connotazione umana; di forte soluzione storico-ambientale: dal trambusto
di folla (donne, ragazze, anziani e, in prima fila, qualche soldato armato fino
a un silenzio cupo, dove immagini contrastanti danno senso e movimento
all’insieme), fino al lamento di Angelica che tanto sa di Tosca pucciniana a
Castel Sant’Amgelo:
Angelica
Hanno Goffredo preso.
Breve processo tenne
il Capitan crudele.
Ora a la trave appeso
pende senz’alma il corpo.
Or l’amor mio fedele
perduto piango e gemo.
Venia per questi calli;
insieme queste valli
scrutar m’era concesso.
Rapìa d’amore i sensi,
il suo de la sua voce,
vedeva i cieli immensi,
lontan sì morte atroce.
Per
giungere, infine, alla tragica soluzione come ben si addice al melodramma: si
odono rumori sinistri, voci concitate, grida di aiuto. C’è molta confusione. Il
popolo nella piazza si divide in due cori, con le mani alzate. Angelica con il Capitano sono davanti a tutti:
Primo
coro
Preda siamo dell’ira nemica,
che le torri ne abbatte e le mura,
salva tutti: con anima amica
sopportiamo la trista sventura.
Manda l’angel dal cielo e ci dica
là nel cielo la sorte futura.
Se ribelle il mio core ha peccato,
da Te, Padre, ne sia perdonato.
Secondo
coro
Nostri pargoli in lacrime vedi,
queste vergini forte proteggi
Da evidenziare la funzione del
coro che dà energia e vitalità all’azione con pensieri, commenti, suggestioni,
che si fanno linfa e fil rouge dell’opera; cori che sanno tanto di tragedia
greca con i loro apporto attivo, carico di pathos. Insomma un dramma di non
facile realizzazione espressiva e contenutistica che fa dell’autore un generoso
scrittore, dotato di particolari doti creative, alla base delle quali
necessitano potenza culturale, verbale, poetica, storica e umana.
Nazario Pardini
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