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martedì 1 gennaio 2019

N. PARDINI: PREFAZIONE A "DI OMBRA E DI LUCE" DI M. COSSU



Marisa Cossu,
collaboratrice di Lèucade


QUARTA DI COPERTINA




Marisa Cossu. Di ombra e di luce. Blu di Prussia. Monte Castello di Vibio. 2018

Chiarori e notturni nella musica del verso

Questo il titolo della silloge: Di ombra e di luce. Chiarori e notturni, lucentezza e oscurità, albe e tramonti, primavere e autunni: tanti polemos eraclitei che caratterizzano il corso della vita; come d’altronde ogni strada che si percorre. Ogni cammino è costellato di ombre e di luci, di montagne e di pianure, di  muraglie e di orizzonti: una simbiotica fusione di contrari che dà  il senso, nella sua diacronica successione, della complessità del vivere:

Qualcosa già mi chiama nella sera,
muta, velata dal groviglio stretto
delle passioni che per questa vita
camminamenti  scavano nel vuoto
del lungo viaggio tra l’abisso e il sole.
Appare all’improvviso  il mio ristoro,
quell’amore che solo
giustifica la vita:
solo alla fine lieve spicca il volo
il cigno che nel fango s’è smarrito
ed è Bellezza, adesso, che intravedo (Attesa).

Raggiungere una meta dopo un lungo viaggio è quello che si propone la poetessa; se poi intravede il volto della Bellezza, di tutto ciò che è ristoro, alcova, quietezza, la sera assume un colore diverso: quello dell’amore che giustifica la vita. Partire da qui, dal significato risolutivo e indicativo con cui l’Autrice ha intitolato l’opera, significa già andare a fondo, al cuore degli intendimenti che Ella stessa nutre sul fatto di esistere; sul fatto, appunto, che noi siamo stati  destinati a questa avventura di proteiforme valenza. E la Nostra la scandaglia in tutte le parti, in tutti i più nascosti anfratti la sua storia, traendone linfa per un poetare espanso, euritmicamente avvincente, e articolato. Tanti i tasti toccati sullo strumento di cui è in possesso; sì, sullo strumento a cui la Cossu si affida per dare armonia alla voce delle sue meditazioni; dei suoi patemi esistenziali; delle sue modulazioni. Ed il “poema” si dipana su uno spartito di intensa forza connotativa, dove appaiono visivi gli stati d’animo che contornano con ontologica intensità lo scorrere del canto. Tutto è melanconicamente fluente; tutto è oggettivamente rappresentato; tutto è estendibile alla vicissitudine di noi mortali: il memoriale, la realtà contingente, l’oracolare, il senso del limite, del confine tra noi e il nostro ambire, l’aspirazione ad un alcova di riposo edenico, di amore oblativo, o a una simbolica isola prescelta dalla Dea: “tra le rocciose grotte presso il mare”:

Ma il grido è ancora qui:
rifrange l’eco il pianto di un amore
immemore e consunto
e l’isola prescelta dalla Dea
verdeggia ancora intorno alla dimora
che s’affaccia silente e misteriosa
tra le rocciose grotte presso il mare.
A te perla Aethalia il dolce canto,
 a te il Tirreno guidi i suoi delfini.
Ti sia propizia l’onda
e lieve il Maestrale (All’Elba).

Gli intrecci dei maestosi endecasillabi danno energia e sonorità al mitopoietico abbraccio della Cossu.
 Ed il verso, mansueto e collaborativo, si fa concretezza di un sentire ampio e profondo; di una interiorità esperita di fatti e vicende a volte gioiosi, altre tristi per i loro risvolti esistenziali; pur sempre nella coscienza della esiguità di fronte al tutto:

Io, minima particola di eterno,
polvere di una stella che s’invola,
vorrei tornare a quel seno materno
che tutto abbraccia in una volta sola (Ecco il mio cielo).

 Ma è la parola, il verbo che da subito ci colpisce per la sua capacità espressiva; per il suo forte senso ultrasintagmatico: dacché il topos viene pensato, elaborato, vissuto, e dato alla pagina con intenzioni di superare, sì, di oltrepassare il significato della canonica morfosintassi; di allungare il tiro ad ambiti di poetica ascensione. “La poesia vuole di più della semplice parola” mi sembra di avere scritto in altra occasione. Un insieme di iuncturae che fanno delle sinestetiche intrusioni il piedistallo da cui partire per slanci ultraverbali. La vita è l’alimento primo del poièin; il suo dimenarsi tra colli e mari, tra albe e tramonti, o tra giornate di pioggia e piane lucide di sole. Il saper fare di queste visioni il corpo e l’anima dei ritmi cardiaci è mestiere della Cossu. Nulla è lasciato al caso. Tutto è inglobato in un discorso di ampio respiro, dove il cuore si aggrappa a scogli scivolosi per ascoltare il rumore del mare:

Vivo tra i resti delle cose amate
all’ombra delle rose reclinate
nella calura estiva;
e tu, vita, mi sfuggi,
 ritorni come il sole e come il mare,
ti ripeti, m’illudi
né rechi le risposte
al mio vano sentire (Conosco solo il mare),

di quel vasto piano che simboleggia con le sue lucenti scaglie l’aspirazione ad un infinito fuori dalla portata umana. Forse proprio da qui lo splennetico tormento che inquieta l’esistere, dacché Ella è cosciente della precarietà del tempo; tutto ci sfugge a ritmi vertiginosi per poter vedere in faccia il presente e chiedergli qualcosa sulla verità:

Tu, divina presenza,
all'apparire ti mostravi vera,
l'essere nell'assenza nascondevi.
Nel divenire incerto della vita,
anche l’ombra svaniva con la sera
e ti inseguivo invano,
mentre l’essere altrove ti spiegava (Verità),

su quei perché irrisolti e irrisolvibili che tanto ci rendono mortali. “La musica è amore in cerca di una parola” afferma Sidney Lanier. “Cos'è un uomo nella Natura?/  Un nulla davanti all'infinito,/  un tutto davanti al nulla,/  qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto.”, scrive Pascal. Perché queste citazioni? Perché io credo che condensino nel loro significato quelli che sono gli aspetti fondanti della poetica della Mussu:

vita e amore:

Se tu ci fossi, amore,
ti chiederei perché tagli quei rami,
perché sorridi quando grida il mare,
quale ossimoro strano
sul terrazzo del sole ti commuove (Il terrazzo),

musica e classicismo:

Se vuoi, vieni con me,
 indossa la tua veste profumata,
 la trasparenza vaga come il tempo,
 ti sia leggiadro il vento.
 Sono già qui dove l’Antico batte
 sulle rive sabbiose la sua forza;
 passano stormi sulla rupe bianca.
 Oh Lefkas, ferma il volo in una rete! (Saffo),

quale messaggio più lirico di un riferimento alla Poesia nella veste di Saffo o alla rupe della dimenticanza della mia Lèucade?

rien e tout; il niente e il tutto nelle mani del tempo:

E così passa il tempo.
L’Eternità trascorre
in labili ritorni; indugia a volte
sulla retta infinita,
ma poi si curva in concentrici cerchi
dove ogni inizio tocca la sua fine; (E così passa il tempo),

l’impiego di un significante epigrammatico nei volti della natura:

Si accese per incanto una mattina
Il rosa intenso dei ciliegi in fiore
immerso nel mio tenero stupore
e in quel ricordo ritornai bambina.
C’erano rose e viole nel giardino: (Canzone di Primavera),

o quel senso di malum vitae che s’insinua nel sottofondo dell’opera dandole corpo e organicità con la misura dei nostri passi incerti:

E navighiamo in oscuri silenzi.
Il canto è la risposta, la poesia
che origina dal cuore
e reca impronta d’amorose braccia.
Il ritrovarsi stanchi e senza vita,
nel dubbio avvolti da un nemico male,
è illusione evocata,
è  misura dei nostri passi incerti
nell’infinita logica del tempo (Ma non si vede).

D’altronde non si può di certo includere la poetica dell’Autrice fra quelle attinenti alla riforma prosastica, alla maniera del correlativo oggettivo di stampo eliotiano per intenderci, che ha contagiato alcuni scrittori dell’altro e di questo secolo, quanto piuttosto fra quelle di stampo realistico-lirico alla Capasso, dove a dominare sul tutto c’è il sentimento, la musicalità, la misura ritmica del verso, il memoriale, la cultura, e l’abbandono ad un naturismo che tanto dica delle nostre inquietudini. Un classicismo, dunque, rivisitato, attualizzato, reificato in un endecasillabo fluente e generoso, capace di contenere nelle sue vaste espansioni il cuore di un mondo che ci vuole presenti; magari con un canto che, sapido d’autunno, tanto si avvicini al madrigale della vita:

Sulla battigia il mare si riversa
mentre l’autunno adombra le sue sponde
di schiuma bianca subito dispersa

e incanta ancora quella antica voce
di sciabordio ansimante delle onde,
che si discioglie in ritmo più veloce;

ma questo mare genera il pensiero
di un distaccato tempo terminale
dove l’autunno riconduce al vero
il tempo e le stagioni e in alto sale (Mare autunnale).

E il tutto si dipana in una versificazione cólta di studi prosodici attenti e disciplinati: odi pindariche, strofi saffiche, canzoni in ABBC ABBC CDDCEE, doppi settenari – endecasillabi, strofi alcaiche, stanze di canzoni...: un mix di strutture metriche che offre una chiara visione della valenza polimetrica della Cossu; il suo dedicarsi alla Poesia con anima e corpo, in un abbraccio di vitale generosità.

Nazario Pardini

2 commenti:

  1. Eccomi ancora su Lèucade ad aprire questo nuovo anno con il mio libro "Di ombra e di luce" impreziosito dalla prefazione di Nazario Pardini, un grande onore concessomi con generosità e non comune accoglienza.
    Questo libro è frutto di ricerca creativa e di studio delle forme metriche; allo stesso tempo rappresenta un mio tentativo di gettare un ponte tra la tradizione culturale e il "sentire" contemporaneo, sia per lo scavo dei contenuti, sia per il linguaggio semplice e piano.
    Sono grata a Nazario Pardini per aver seguito ed apprezzato il mio lavoro regalandomi tempo, impegno, incoraggiamento ed accendendo motivazioni intrinseche. Devo scusarmi con Nazario Pardini per una omissione non voluta all'inizio della prefazione del testo imputabile ad errore di editazione. Mi dispiace che, proprio nella bellissima prefazione, ci sia stato questo errore: avevo inviato all'editore la copia perfetta della prefazione. Ora mi auguro che il grande Nazario sia indulgente. Anche questa è una lezione di vita che mi sarà utile nei prossimi impegni di scrittura. Grazie, carissimo Professore e felice Anno Nuovo. Auguri agli amici di Lèucade.

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  2. Carissima Marisa Cossu,
    sono cose che possono accadere a chi scrive e pubblica. Mi meraviglio di Eugenio Rebecchi che continuo a considerare, comunque, un professionista nell'editoria, anche se questa volta ha commesso una svista abbastanza infantile...
    Questo banale incidente non sminuisce la grande considerazione che nutro per le poesie di questa plaquette né l'emozione che ancora provo nel rileggermele....
    Nazario

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