Relazione
su “La verità pe ride…e pe penzà” di Luciano Gentiletti
“La
verità, pe ride… e pe penzà” è il titolo dell’ultima raccolta poetica di Luciano
Gentiletti, un titolo da cui già si evincono le intenzioni dell’autore, che nel
rispetto della migliore tradizione romanesca si propone di coniugare il sorriso
alla riflessione profonda. Dunque si può fare poesia in romanesco senza
cavalcare i falsi stereotipi del romano superficiale, ingordo e scansafatiche?
E addirittura è possibile testimoniare la propria identità popolare senza
urlare, senza cadere nella banalità o peggio ancora nella volgarità e soprattutto
senza rimanere nel cerchio ristretto degli appassionati del genere comunicando
con il proprio dialetto la preziosità di valori e sentimenti universali? Ebbene
si. In questa nuova silloge poetica di Luciano Gentiletti c’è la risposta a
tali domande e di conseguenza la spiegazione del clamoroso successo delle sue
liriche nei tanti concorsi in ogni angolo d’Italia, dalla Val d’Aosta alla
Sicilia. Quali sono, dunque, gli ingredienti “segreti” della poesia di Luciano?
Pochi, ma buoni.
Inizierei con la tecnica, che l’autore
padroneggia con capacità e rigore, ma che al contempo riesce quasi a nascondere
al lettore sfruttando la naturale musicalità dei lemmi del dialetto romanesco e
avvalendosi di schemi metrici quali il sonetto, che se adeguatamente utilizzato
da “gabbia” si trasforma in armonica intelaiatura. Vorrei inoltre sottolineare
come l’autore faccia uso dell’endecasillabo rispettando rigorosamente sia la
struttura di undici sillabe che la posizione degli accenti, che oltre a quello
principale in decima cadono correttamente ora sulla quarta sillaba (a minore)
evocando un quinario ora sulla sesta (a maiore) realizzando un settenario,
contribuendo così all’armonia dell’insieme. C’è poi una perfetta esecuzione dei
tempi poetici (descrizione dell’argomento, approfondimento dello stesso,
riflessioni finali e pensiero poetico) che unitamente all’accurata scelta dei
termini atti a descrivere le sfumature del pensiero accompagnano il lettore in
un percorso solido e lineare, in cui si può godere senza fatica sia della forma
che della sostanza del narrato.
Un
altro aspetto importante della poetica di Luciano Gentiletti è nella sua
capacità di trasferirere le emozioni dal passato al presente e proiettarle poi
nel futuro, onorando così il bello che è stato senza limitare però la visione
della realtà e senza precludere lo sguardo verso nuovi orizzonti. Nelle sue
liriche il pensiero si rivolge spesso con affetto ad un passato che nella sua
apparente semplicità era ricco di saggezza, ma l’autore non lo vive
esclusivamente come parentesi nostalgica, bensì come riscontro di quelle
qualità che nel contesto odierno, troppo concentrato su denaro e potere,
dimentichiamo di avere e non utilizziamo. Il famoso detto “Era meglio quando
era peggio” viene così ricondotto alla responsabilità dell’uomo, spesso incapace di far
tesoro delle opportunità che il progresso gli offre. In altre parole la causa
della nostra infelicità non è da ricercare nelle nuove opportunità che ci si
presentano o nella tecnologia delle cose che abbiamo, ma nell’uso che
egoisticamente ne facciamo.
L’autore,
con attente riflessioni, mette in risalto le debolezze e i difetti tipici dell’animo
umano, ma al contempo ci ricorda anche quei valori e quelle potenzialità su cui
è possibile costruire una società civile degna di tale nome. Emblematica, in
tal senso, la considerazione che anima la chiusa della lirica “ La nostargia”,
ove il Nostro sottolinea come “ L’omo ce nasce, co ’sta malatia che lo condanna
a nun godesse gnente: sogna er futuro e fa scappà er presente, poi lo
rimpiagne… quanno è annato via.”
Non
mancano poi l’ironia e la satira sul costume e sulla società tipiche del
pensiero romanesco, con cui Luciano ci
strappa più di un sorriso. Liriche che raccontano gli eccessi e le contraddizioni
dei nostri tempi con versi schietti e graffianti in cui nessuno viene
risparmiato. Dalla politica nazionale a quella delle alleanze mondiali l’ipocrisia
e la falsità di chi esercita il potere vengono smascherate con versi dal sapore
dolce amaro in perfetto stile alla “Pasquino”, senza escludere quello che
avviene nelle alte sfere e nelle piccole realtà della comunità ecclesiastica.
Si ride, ma intanto si riflette sulle tante, troppe pseudo verità a cui per
pigrizia o convenienza facciamo finta di credere e si comprende l’importanza di
avere un’opinione libera da schemi e preconcetti, basata sui dettami della
propria coscienza. Arguta attenzione, poi, è dedicata alle piccole schermaglie coniugali quotidiane dando vita a
deliziose sitcom in cui la donna finisce inevitabilmente per avere la meglio
già dai tempi di Adamo ed Eva.
Ed
eccoci arrivati all’ultimo, preziosissimo ingrediente presente in questa raccolta,
quello con cui l’autore riesce a dare il tocco del maestro a tutte le sue
produzioni: l’umanità. Umanità intesa come capacità di far proprie le gioie e i
dolori altrui al punto di sentirli parte del proprio bagaglio e riuscire ad
evocarne la forza nella totalità delle coscienze. Umanità che trasmette la
felicità per le piccole meraviglie di ogni giorno, per quelle ricchezze che
nella frenesia del quotidiano non ci accorgiamo di avere fino a quando non
vengono meno. Nel leggere queste poesie ci si ritrova a vivere in prima persona
le vicende narrate e si torna a ragionare con il cuore, liberi da schieramenti
politici e sociali, sino a ritrovare la consapevolezza delle cose che ci
uniscono, infinitamente più numerose di quelle che ci dividono. I drammatici
fatti di cronaca che l’autore ci racconta con emozione e calore ci appaiono
diversi dai resoconti senz’anima che riportano i giornali e la televisione. Non
ci sono alibi o giustificazioni ai soprusi e alla violenza e la verità emerge
invitando tutti a fare di più, a non girare la testa. La poesia di Luciano,
complice la splendida cornice del dialetto romanesco, si fa dunque comune
denominatore di speranza e di armonia invitando il lettore a riprendere il
dialogo con la sua parte più profonda, quella con cui è possibile condividere,
accogliere e lavorare insieme per un futuro migliore. È questo, a mio parere,
il valore aggiunto della poetica di Luciano Gentiletti, che permette ad un
opera dialettale di superare i confini della propria identità rendendola poesia
universale, musica per il cuore senza ne limiti ne confini.
Paolo Buzzacconi
Ringrazio caldamente Nazario per aver postato la relazione di Paolo Buzzacconi relativa all'evento del 26 gennaio. Luciano Gentiletti è un Autore di liriche prevalentemente vernacolari, che spaziano dalla poesia civile, a quella ironica a quella sui sentimenti. Non a caso vince Premi Letterari in tutta la penisola e, come ha detto con incisività l'altra splendida relatrice, Fiorella Cappelli, riesce a introdurre nei Concorsi la realtà dialettale, che a causa delle tante contaminazioni, rischierebbe di scomparire. Si è trattato di un evento ricco di sonetti in romaneschi e molto partecipato. Il pubblico non ci tradisce e gliene siano profondamente grati.
RispondiEliminaI relatori iplac sono stati apprezzati da tutti e non poteva essere altrimenti...
Maria Rizzi