Nazario
Pardini
I
Dintorni della solitudine
Dopo
la
sua
ultima
impresa
letteraria
dal
titolo
“Cronaca
di
un
soggiorno”
Nazario
Pardini
torna
a
deliziare
gli
innumerevoli amanti
della
sua
grande
poesia
(
tra
i
quali
il
sottoscritto)
con
una
nuova
e
ricca
silloge
dal
titolo
“ I
dintorni
della
solitudine”.
Un
volume
che
già
nella
propria
titolazione
annuncia
orizzonti in cui
si
insinuano
luoghi
di
intensa
riflessione e
canti
di
un
elegiaco
distacco
dall'umana
esperienza,
dove il dolce approccio ai ricordi e
i ritorni al fiato caldo degli amori vissuti acquietano e allentano,
ammorbidendola di
una
fine luce
dorata,
una
eclatante
e
carnale
esperienza
espressa
nelle
sue
molteplici
opere
in
particolare
quelle
che
vanno
dal
periodo
1997-
2013.
Nazario
Pardini
maestro
indiscusso
del
canto
magico
della
natura
e
del
richiamo
alla
classicità
della
parola
poetica
scopre
così sempre
più
la sottile
e
straziante
vena
dell'amarezza, peraltro
già
presente
in
“ Cantici”,
quella
del
doloroso
avvertimento
della
fragilità
umana
e
quasi
cala
un velo soffuso
di malinconia che si
stende
su
quel
tempo
che
fu
di
estasi
e
godimento
ma al tempo stesso ponendosi in cammino verso
una
luce
futura.
Ed
allora dai suoi versi, in cui ritroviamo il già noto fascino magico del
linguaggio e la sua splendida musicalità, viene fuori un canto che mette in
scena la caducità delle cose e il mistero della vita sospesa nella brevità
del tempo, legata al miracolo della
grazia della parola , delle forme vitali e che si fa solitudine nell'atto della
presa di coscienza della vicinanza di un distacco vitale.
La
solitudine nella poesia di Pardini è magnificamente descritta nelle sue
multiforni espressioni e tutto viene traguardato con il suo filtro sia che si
tratti di luoghi, cose o persone dandoci
la sensazione che questa sua ulteriore opera contenga per ogni singola lirica
un'addio malinconico ai luoghi e ai tempi di un vivere edenico.
Ma
non è così in quanto, la sua, non è mai una condizione di decadimento
psicofisico, una sorta di deluso distacco dalla vita, bensì un forte
arricchimento interiore, una fase esistenziale preparatoria a quell'incontro di
luce che dovrà avvenire e che si materializza
sin dalla prima poesia “L'ultimo autunno”.
La
poetica pardiana è stata sempre animata da un grande afflato di amori e
speranze, una esistenza da vivere con gioia ed entusiasmo ma anche nel pensiero umile del transuente, del viaggio travagliato
attraverso i mari tempestosi del tempo mortale.
Ma
in questo suo ultimo volume più che mai
si riscontarno densità di concetti e meditazioni sull'uomo e sul suo moderno
travaglio ed è il suo ragionare sul tempo che resta, su quello stare sul filo
appunto della solitudine finale a
vincere, dove la bellezza della
creazione si fonde con il grande volo verso l'Oltre e il poeta con la solita
grande maestria tenta recuperi esistenziali, visioni idilliache, tutta la gamma
delle sue armonie d'anima vissute da cui alla fine traspare la sua inqiuetudine
ed amarezza per il venir meno, attraverso la morte, di tutte quelle bellezze
creative di cui l'uomo è attore e spettatore.
Ed
ecco che ritornano negli originari smaglianti arcobaleni l'amato fiume, (
splendida la lirica “ Verso la foce),
e tanti particolari che si rianimano come una giacca, un aratro, uno
stradone, tutto lucidamente rivisitato, come pure immensità d'orizzonti e
visioni splendide di un paese dimora e rifugio d'amore riappaiono.
Tutto
quindi diviene memorabile flash-back dalle case, ai fiori, alle campane.
Tutto
si fa vera poesia come afferma nella lirica :”L'incendio dei papaveri (II)”-
/Solo se/ davanti a quell'incendio o
a quel mare,/ scoprimmo un sentimento parallelo/ai colori in questione, o
vivemmo/un incontro emotivo di stagione,/ tale stato d'animo ritorna/ in scene
tanto vive; solo allora/l'immagine si fa cotta a puntino/ per tramutare il
fuoco in poesia..../”
Il
messaggio finale che chiaramente lancia Nazario Pardini va verso la sua ricerca
della luce, ne fa proprio un poemetto che pone al termine della sua opera ( Verso
la luce), ed è un cammino in stile dantesco verso una sorta di immortalità
della vita nelle sue compenti di
bellezza e di grazia vissute.
Un
viaggio in sogno verso un'edenica terra dove le care figure familiari, i luoghi
, le solarità e soprattutto l'incontro con Silva la dea della purezza diventano
strumenti di chiarificazione e riappropio di quella vera luce che è stato il
suo vissuto, non dunque si tratta di una luminosità di un Oltre sconosciuto, ma
di quella reale, carnale della sua vita, come scrive: “ / ma pur sempre la
luce, quella chiara,/ quella di casa mia.../” che rimarrà in eterno
attraverso le vecchie ma sempre nuove strade da percorrere.
Carmelo
Consoli
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