Nazario Pardini- I dintorni della solitudine. 2019, Guido
Miano Editore.
Maria Grazia Ferraris,
collaboratrice di Lèucade
Maria Grazia Ferraris, collaboratrice di Lèucade |
N.
Pardini è noto e prolifico autore di poesia: il passar del tempo non ha
scalfito la sua vena generosa e la sua fedelissima Musa che pur hanno trovato
strade di diversa tensione ed ispirazioni nel tempo. Seguo da discreto tempo la
pubblicazione delle sue sillogi: i suoi temi privilegiati sono quelli della
natura, il tema autobiografico, l’amore, il ripensamento della grande poesia
classica anche in dimensione storica, il mito e la sua attualità e la accurata ricerca stilistica.
Mi
colpiscono sempre i titoli che unificano
e offrono la chiave di lettura delle varie poesie e in particolare quelli delle
sue ultime raccolte, che indicano l’approdo della sua ricerca: l’itinerario percorso, gli ultimi punti di
riferimento e di riflessione, le malinconie personali e umanamente collettive
di cui è ben consapevole, come ad esempio I canti dell’assenza del
2015, una raccolta poetica dal titolo
emblematico, in cui è chiamata in causa
la parola poetica: difficile, sfuggente e impegnativa, e parimenti Memoria, Malinconia, Solitudine,
Poesia. Questo è il viaggio in estensione circolare e profondità interiore di
N. Pardini.
Segue Cronaca
di un soggiorno, del 2018, una raccolta dal titolo un po’ inquietante nella
precarietà diminutiva di significato esistenziale che il termine “soggiorno” porta con sé e
della dimessa volontà narrativa “cronaca”, appunto: -CRONACA DI UN SOGGIORNO-
sottolineando la volontà limitante e diminutiva di significato esistenziale che il termine “soggiorno” porta con sé nella dimessa volontà narrativa.
Apre
al mondo geografico (toscano) dell’autore, misterioso, che colora le dune
spaurite e risponde timido all’azzurro
del mare, dove il maestrale intona le sue sinfonie morbide nella luce, e dà
corpo e significato all’inespresso sentimento che parla col suo
linguaggio primitivo nella luce…
Già scrivevo commentando la silloge che ci
troviamo nondimeno a confrontarci con
una “evasione” poetica ed esistenziale, quella dell’uscita delle colonne d’Ercole della
realtà quotidiana, verso l’isola della poesia, l’invocata Léucade, un eden, una
frontiera sconosciuta e inesplorata ai più, una porta che si apre verso
l’armonia e il mistero …, immerso nel coro a bocca chiusa di Puccini,
nell’unico mondo di verità di certezza
che il poeta conosce dopo un percorso “sopra una barca effimera e
precaria/contro venti nemici che la spinsero/ su scogli crudi e aguzzi”: un
mondo di Melanconia, di sentimento,
passioni, memorie che si disfano, in una “ natura fresca d’immagini procaci”,
quasi dimentico e reso insensibile alla follia del mondo che ha rinunciato a
capire, in un totale abbandono ai misteri del Bello, e al fascino della
musicalità. Una ricerca di quiete -totale-
che ha lasciato dietro di sé anche il sogno dentro il sogno- il mondo
delle inquietanti riflessioni filosofiche e
della conoscenza mitologica.
Nella
sua ultima opera-I dintorni della solitudine- Pardini riprende con
maggiore consapevolezza di controllo emotivo il tema, filosofico e
storico, che è quello della riflessione
sulla (sua )vita poetica ed umana.
Un
poemetto che caratterizza la seconda parte, dal titolo “Verso la luce”, (che ho commentato separatamente sul blog di
Léucade ed a cui rimando), ci offre quasi una lettura psicanalitica del suo
percorso, una immersione nel lago dell’ anima, “nella profondità di un bilancio
emotivo, di un redde rationem partorito con sofferenza e riflessione”. Ci ha offerto in questo lungo parto
poetico quasi “la parafrasi della sua vita;
di un cammino rivissuto sintetizzando le tappe del percorso interiore”.
La
lirica ci propone una biografia tutta interiore, una lunga strada percorsa con
fatica con la tentazione nostalgica di girarsi indietro, nondimeno ripercorsa a
livello psicologico con consapevolezza, seguendo tutto il sentiero che si è
delineato nel proseguo della vita. È un itinerario, mentale e psicologico, una
storia coinvolgente e piena di sospensioni
visive e suspense emotive, raccontata con un ritmo a tratti drammatico, con
pregnanti antitesi, in un climax di crescente coinvolgimento doloroso e
poetico.
Ci
accompagna a capire come l’opera del
poeta sia sempre, anche involontariamente, uno specchio della sua vita, delle
sue emozioni, dei suoi pensieri, dei colori delle stagioni, dei fremiti del
cielo…, della personalità che pur si trasforma nel tempo e che rimane nondimeno
luce dubitante, provvisoria e precaria di fronte a una realtà concreta,
quotidiana, che è sempre deludente ed ha bisogno di essere ricordata, quindi elaborata,
per ritornare a commuoverci.
Così è
per la nostra STORIA.
Nella
solitudine meditativa della plaquette compare uno strano impossibile dialogo,
la rievocazione di un fatto storico celeberrimo, quello di Leonida e dei suoi
trecento spartani morti alle Termopili nell’estremo sacrificio di bloccare
l’avanzata dell’esercito persiano di
Serse: Leonida, l’eroe di una estrema resistenza, strenua ed eroica, fino al totale
sacrificio.
Il Nostro immagina un dialogo con questa dea potente e
sostanzialmente indifferente che è la STORIA e che vive equamente sulla morte
dei grandi e dei piccoli, accettando la giustizia come l’ingiustizia, le
rivoluzioni e i momenti di pace e civiltà. È un dialogo che vuole umanizzare la
curiosità indifferente della storia. Il sacrificio
di Leonida– per Sparta e la libertà, la pace e la dignità- infatti fu
tutt'altro che vano, perché lo stuolo che con lui "morendo si sottrasse da
morte" tenne alto con l'esempio il morale dei Greci, su cui la fuga degli
altri soldati non poteva non avere effetto deprimente. Fu un simbolo eterno.
Ma
-Alla morte portasti i tuoi soldati-, sottolinea critica la storia: ne
valeva la pena?
Se potesse riflettersi in uno specchio che
anticipa il futuro Leonida vedrebbe questa drammatica storia greca del 2000.
Per questa patria alla deriva ha sacrificato la sua vita? Forse solo arte e
cultura, pensiero e saggezza sono da salvare e da misurare con l’inesorabilità
del tempo e della storia….
L’esplicitazione
del tema-la solitudine - che
caratterizza la raccolta è espresso con una attenuazione nel titolo: quasi
volesse mitigarne l’allarme: i DINTORNI della solitudine. Ed ecco allora alcune
poesie come L’ultimo autunno, La
solitudine del mare, Non chiedermi, L’incendio dei papaveri, Verso
la foce…. che ci conducono a respirare questa atmosfera.
Parla
il mare, nell’ultimo autunno di vita, con le sue inquietudini che sa
riportare sogni e ricordi a mo’ di
consolazione, ironico a sua volta: vuol vedere
lui pure lanciando in alto le sue onde, gli addobbi natalizi , che
piacciono agli uomini, vuol ricordare l’estate, la vita giovanile impetuosa ed
immemore, di cui ha pur goduto, ricordare con tristezza, ma senza coinvolta
partecipazione, la disgrazia che
colpisce coloro che restano ad aspettare chi non riesce più ad emergere dalle sue acque… e
sono pur tanti…., parla col suo respiro denso, aggressivo, forte che fa scudo alla burrasca e frusta
violentemente le onde. Nel paesaggio
solitario e desolato la luna gioca fingendo amori colorati benché scagliosi e
poco invitanti. In questo sonno apparente, colorato algidamente, in questo tramonto, il gioco si confonde,
risponde, si raddoppia e le cose guardano, forse si chiedono…: chissà se
giochi, fatiche, ire pensieri hanno un senso. La solitudine non dà risposte.
Le
domande assillano il pensiero,-Non chiedermi- , il senso delle cose sfugge, rimane l’inquietudine
insoddisfatta della mancanza di risposte, dell’inappagamento delle realtà
concrete non più rassicuranti, del
mistero indecifrabile del mare, delle notti senza fine, dell’amore che è stata
una certezza forse sopravalutata, dell’inquietudine di un mondo “immenso e
estraneo”. Rimangono solo bordi, margini, confini: le parole dell’esclusione.
Solitudine.
Le
parole emblematiche del vuoto, sono contrapposte al pieno che configurava la
vitalità della gioventù.
Traspare la malinconia di una vita che si
dipana nel tempo e che è stata ricca ed immaginosa quanto solo assaggiata nelle
sue ondivaghe dolcezze (L’infanzia spensierata, innocente, la vita tutta da
vivere, la paura del bambino di perdersi nei “grovigli dell’azzurro”.
L’adolescenza saputa: immaginando “il
cielo/ e i sogni con voli fittizi senza esito/rischiavano sconfini”…). Un “eroe troppo umano” che non sa sconfiggere
le distanze. L’adulto nostalgico torna a ripetere fra sé la “favola bella”:
sperde lo sguardo tra le stelle, annusa gli odori di sempre, le luci sbiancano
il paesaggio ricco, ubertoso, maturo: è un brivido…sul vuoto.
E Nell’incendio
dei papaveri ecco emergere consapevolmente
la differenza che intercorre tra l’immagine e la realtà. “Anche quando
il pittore dipinge un quadro naturale non dipinge quello che vede ma l'immagine
che ha dentro di sé di avere amato te ne accorgi dopo. Non è l'amore immediato
a darti l'input del canto ma l'amore che dentro detta, in tutta la sua olistica
metamorfosi temporale...”, dice lo stesso Pardini commentando le mie
riflessioni di lettura che tendevano a sottolineare come il poeta, “solo e diverso”, cerca luogo e tempo non provvisori, ed oggettiva il fuoco
della parola. Trova la sua spiegazione in se stessa e mai fuori di essa, pur
spingendosi oltre tra gli incantamenti effimeri. La parola esce dai confini, si
spinge nel passato- eco di altri echi che si rinnovano- e anela al futuro-
altri sconosciuti fuochi- rabbrividenti,
cercando, fronteggiando, arricchendo la sua visione e motivazione. Eppure … “di avere amato te ne accorgi dopo”
.
Ah triste allarmante malinconia che non
consola! È solo la ricchezza della solitudine che rispecchia e vanta con
pacatezza il dubbio forse salutare che
spinge al canto, “da dedicare a chi non ha più il mare”.
Ed
allora ecco l’ultimo invito a non perdere la ricchezza dell’ultimo pur
fascinoso viaggio a Delia, la donna, la
compagna di sempre: ANDIAMO LENTI, Delia,…
Poesia
di grande cultura e grandi emozioni... Ha alle spalle studio, letture,
conoscenze, riflessioni, approfondimenti storico-linguistici ed estetici. Matura ascolti, intuizioni, sentimenti,
silenzi, attese…Deve nondimeno tradurre grandi coinvolgimenti personali e originali in parole,
condivisioni, coltivando un equilibrio difficile, in alcuni passaggi
vertiginoso, che, abbandonando la routine quotidiana, vista con occhi nuovi,
esprime uno sguardo conoscitivo alternativo, che rasenta il sublime, svelandone
la sua natura “paradossale”.
Ma la
poesia, anche la più colta, anche quando raggiunge livelli di intuizione ed
astrazione sublimi, ha bisogno nondimeno dell’esperienza sensibile, ha bisogno
delle situazioni, della quotidianità e dell’eccezionalità soggettiva ed irripetibile
della vita per capire che il limite in cui è scaturita deve superare
l’immediatezza della banale routine, la ripetitività consueta, e quello della
razionalità assecondando slanci e misteri, per
giungere alla conoscenza.
Anche per comprendere l’immediatezza occorre
sempre essere disposti a un viaggio personale, interiore, ed intellettuale,
attraversarla, cercarne il senso, nel
silenzio e poi ricrearla con le parole, quelle della poesia, per mettersi in contatto con una zona del nostro
essere che si apre –alto- allo sconosciuto e all’ineffabile, verso un oltre,
dove si spalancano spazi di una diversa, forse privilegiata illuminazione,
conoscenza alternativa.
Bisogna
inventarsi un lavoro per trovar pace: ripulire le acque da detriti, tronchi
abbandonati, individuare oggetti inutili, ciocchi vari che uomini e fiume hanno
portato in modo distratto con nuova vita da inventare… Bisogna dar senso alle cose conservate, gli oggetti nudi – solo cose- che i visitatori distratti
hanno lasciato e li si deve restituire nel tempo lento eppur velocissimo della solitudine, ed ecco
allora comparire come protagonisti
poetici gli oggetti consueti carichi di senso: il falcione abbandonato, triste
tra le ferraglie in cantina,il vecchio malandato aratro, che vive di ricordi,
la giacca antica del padre e del fratello ancora profumata del loro lavoro e
della quotidianità, le vecchie case, cariche di storie e resistenti ad ogni
intemperia…
Il
possesso degli oggetti garantisce una continuità del proprio sé lungo la vita; se
si disperdono, gli oggetti diventano i
testimoni della rottura dell’integrità della nostra persona, e la vita stessa
si assopisce nel silenzio o si spegne nel propagarsi dei suoni. Le cose si
disfano, si sfanno….Anche nei reperti si
intuisce il silenzio raccolto e la
nuova solitudine che il tempo ha saputo regalare loro.
Maria
Grazia Ferraris (30 marzo 2019)
Complimenti a Maria Grazia Ferraris per questo eccellente viaggio nella profondità poetica di Nazario Pardini e molti complimenti al poeta per questa ultima opera che ho il piacere di festeggiare con autentico interesse e desiderio di lettura. Dice bene la Ferraris la sua è "Poesia di grande cultura e grandi emozioni... Ha alle spalle studio, letture, conoscenze, riflessioni, approfondimenti storico-linguistici ed estetici..".
RispondiEliminaSonia Giovannetti