lunedì 1 aprile 2019

M. GRAZIA FERRARIS LEGGE: "I DINTORNI DELLA SOLITUDINE" DI N. PARDINI


Nazario Pardini- I dintorni della solitudine. 2019, Guido Miano Editore.


 
Maria Grazia Ferraris,
collaboratrice di Lèucade

N. Pardini è noto e prolifico autore di poesia: il passar del tempo non ha scalfito la sua vena generosa e la sua fedelissima Musa che pur hanno trovato strade di diversa tensione ed ispirazioni nel tempo. Seguo da discreto tempo la pubblicazione delle sue sillogi: i suoi temi privilegiati sono quelli della natura, il tema autobiografico, l’amore, il ripensamento della grande poesia classica anche in dimensione storica, il mito e la sua attualità  e la accurata ricerca stilistica.
Mi colpiscono  sempre i titoli che unificano e offrono la chiave di lettura delle varie poesie e in particolare quelli delle sue ultime raccolte, che indicano l’approdo della sua ricerca:  l’itinerario percorso, gli ultimi punti di riferimento e di riflessione, le malinconie personali e umanamente collettive di cui è ben consapevole, come ad esempio I canti dell’assenza del 2015,  una raccolta poetica dal titolo emblematico, in cui  è chiamata in causa la parola poetica: difficile, sfuggente e impegnativa, e  parimenti Memoria, Malinconia, Solitudine, Poesia. Questo è il viaggio in estensione circolare e profondità interiore di N. Pardini.
 Segue  Cronaca di un soggiorno, del 2018, una raccolta dal titolo un po’ inquietante nella precarietà diminutiva di significato esistenziale  che il termine “soggiorno” porta con sé e della dimessa volontà narrativa “cronaca”, appunto: -CRONACA DI UN SOGGIORNO- sottolineando la volontà limitante e diminutiva di significato esistenziale  che il termine “soggiorno” porta con sé  nella dimessa volontà narrativa.
Apre al mondo geografico (toscano) dell’autore, misterioso, che colora le dune spaurite e risponde timido  all’azzurro del mare, dove il maestrale intona le sue sinfonie morbide nella luce, e    corpo e significato all’inespresso sentimento che parla col suo linguaggio primitivo nella luce…
 Già scrivevo commentando la silloge che ci troviamo nondimeno a confrontarci con  una “evasione” poetica ed esistenziale, quella  dell’uscita delle colonne d’Ercole della realtà quotidiana, verso l’isola della poesia, l’invocata Léucade, un eden, una frontiera sconosciuta e inesplorata ai più, una porta che si apre verso l’armonia e il mistero …, immerso nel coro a bocca chiusa di Puccini, nell’unico mondo di verità di certezza  che il poeta conosce dopo un percorso “sopra una barca effimera e precaria/contro venti nemici che la spinsero/ su scogli crudi e aguzzi”: un mondo di Melanconia, di  sentimento, passioni, memorie che si disfano, in una “ natura fresca d’immagini procaci”, quasi dimentico e reso insensibile alla follia del mondo che ha rinunciato a capire, in un totale abbandono ai misteri del Bello, e al fascino della musicalità. Una ricerca di quiete -totale-  che ha lasciato dietro di sé anche il sogno dentro il sogno- il mondo delle inquietanti riflessioni filosofiche e  della conoscenza mitologica.
Nella sua ultima opera-I dintorni della solitudine- Pardini riprende con maggiore consapevolezza di controllo emotivo il tema, filosofico e storico,  che è quello della riflessione sulla (sua )vita poetica ed umana.
Un poemetto che caratterizza la seconda parte, dal titolo “Verso la luce”,  (che ho commentato separatamente sul blog di Léucade ed a cui rimando), ci offre quasi una lettura psicanalitica del suo percorso, una immersione nel lago dell’ anima, “nella profondità di un bilancio emotivo, di un redde rationem partorito con sofferenza e riflessione”.  Ci ha offerto in questo lungo parto poetico  quasi “la parafrasi della sua vita; di un cammino rivissuto sintetizzando le tappe del percorso interiore”.
La lirica ci propone una biografia tutta interiore, una lunga strada percorsa con fatica con la tentazione nostalgica di girarsi indietro, nondimeno ripercorsa a livello psicologico con consapevolezza, seguendo tutto il sentiero che si è delineato nel proseguo della vita. È un itinerario, mentale e psicologico, una storia coinvolgente e piena di sospensioni  visive e suspense emotive, raccontata con un ritmo a tratti drammatico, con pregnanti antitesi, in un climax di crescente coinvolgimento doloroso e poetico.
Ci accompagna a capire come  l’opera del poeta sia sempre, anche involontariamente, uno specchio della sua vita, delle sue emozioni, dei suoi pensieri, dei colori delle stagioni, dei fremiti del cielo…, della personalità che pur si trasforma nel tempo e che rimane nondimeno luce dubitante, provvisoria e precaria di fronte a una realtà concreta, quotidiana, che è sempre deludente ed ha bisogno di essere ricordata, quindi elaborata, per ritornare a commuoverci.
Così è per la nostra STORIA.
Nella solitudine meditativa della plaquette compare uno strano impossibile dialogo, la rievocazione di un fatto storico celeberrimo, quello di Leonida e dei suoi trecento spartani morti alle Termopili nell’estremo sacrificio di bloccare l’avanzata dell’esercito persiano  di Serse: Leonida, l’eroe di una estrema  resistenza, strenua ed eroica, fino al totale sacrificio.
Il Nostro immagina un dialogo con questa dea potente e sostanzialmente indifferente che è la STORIA e che vive equamente sulla morte dei grandi e dei piccoli, accettando la giustizia come l’ingiustizia, le rivoluzioni e i momenti di pace e civiltà. È un dialogo che vuole umanizzare la curiosità indifferente della storia.  Il  sacrificio di Leonida– per Sparta e la libertà, la pace e la dignità- infatti fu tutt'altro che vano, perché lo stuolo che con lui "morendo si sottrasse da morte" tenne alto con l'esempio il morale dei Greci, su cui la fuga degli altri soldati non poteva non avere effetto deprimente.  Fu un simbolo eterno.
Ma  -Alla morte portasti i tuoi soldati-, sottolinea critica la storia: ne valeva la pena?
Se potesse riflettersi in uno specchio che anticipa il futuro Leonida vedrebbe questa drammatica storia greca del 2000. Per questa patria alla deriva ha sacrificato la sua vita? Forse solo arte e cultura, pensiero e saggezza sono da salvare e da misurare con l’inesorabilità del tempo e della storia….

L’esplicitazione del  tema-la solitudine - che caratterizza la raccolta è espresso con una attenuazione nel titolo: quasi volesse mitigarne l’allarme: i DINTORNI della solitudine. Ed ecco allora alcune poesie  come L’ultimo autunno, La solitudine del mare, Non chiedermi, L’incendio dei papaveri, Verso la foce…. che ci conducono a respirare questa atmosfera.
Parla il mare, nell’ultimo autunno di vita, con le sue inquietudini che sa riportare  sogni e ricordi a mo’ di consolazione, ironico a sua volta: vuol vedere  lui pure lanciando in alto le sue onde, gli addobbi natalizi , che piacciono agli uomini, vuol ricordare l’estate, la vita giovanile impetuosa ed immemore, di cui ha pur goduto, ricordare con tristezza, ma senza coinvolta partecipazione,  la disgrazia che colpisce coloro che restano ad aspettare chi non  riesce più ad emergere dalle sue acque… e sono pur tanti…., parla col suo respiro denso, aggressivo, forte  che fa scudo alla burrasca e frusta violentemente  le onde. Nel paesaggio solitario e desolato la luna gioca fingendo amori colorati benché scagliosi e poco invitanti. In questo sonno apparente, colorato algidamente,  in questo tramonto, il gioco si confonde, risponde, si raddoppia e le cose guardano, forse si chiedono…: chissà se giochi, fatiche, ire pensieri hanno un senso. La solitudine non dà risposte.
Le domande assillano il pensiero,-Non chiedermi- , il senso  delle cose sfugge, rimane l’inquietudine insoddisfatta della mancanza di risposte, dell’inappagamento delle realtà concrete non  più rassicuranti, del mistero indecifrabile del mare, delle notti senza fine, dell’amore che è stata una certezza forse sopravalutata, dell’inquietudine di un mondo “immenso e estraneo”. Rimangono solo bordi, margini, confini: le parole dell’esclusione. Solitudine.
Le parole emblematiche del vuoto, sono contrapposte al pieno che configurava la vitalità della gioventù.
 Traspare la malinconia di una vita che si dipana nel tempo e che è stata ricca ed immaginosa quanto solo assaggiata nelle sue ondivaghe dolcezze (L’infanzia spensierata, innocente, la vita tutta da vivere, la paura del bambino di perdersi nei “grovigli dell’azzurro”. L’adolescenza saputa:  immaginando “il cielo/ e i sogni con voli fittizi senza esito/rischiavano sconfini”…).  Un “eroe troppo umano” che non sa sconfiggere le distanze. L’adulto nostalgico torna a ripetere fra sé la “favola bella”: sperde lo sguardo tra le stelle, annusa gli odori di sempre, le luci sbiancano il paesaggio ricco, ubertoso, maturo: è un brivido…sul vuoto.
E Nell’incendio dei papaveri ecco emergere consapevolmente  la differenza che intercorre tra l’immagine e la realtà. “Anche quando il pittore dipinge un quadro naturale non dipinge quello che vede ma l'immagine che ha dentro di sé di avere amato te ne accorgi dopo. Non è l'amore immediato a darti l'input del canto ma l'amore che dentro detta, in tutta la sua olistica metamorfosi temporale...”, dice lo stesso Pardini commentando le mie riflessioni di lettura che tendevano a sottolineare come  il poeta, “solo e diverso”, cerca luogo e  tempo non provvisori, ed oggettiva il fuoco della parola. Trova la sua spiegazione in se stessa e mai fuori di essa, pur spingendosi oltre tra gli incantamenti effimeri. La parola esce dai confini, si spinge nel passato- eco di altri echi che si rinnovano- e anela al futuro- altri sconosciuti fuochi- rabbrividenti,  cercando, fronteggiando, arricchendo la sua visione e motivazione.  Eppure … “di avere amato te ne accorgi dopo” .
 Ah triste allarmante malinconia che non consola! È solo la ricchezza della solitudine che rispecchia e vanta con pacatezza  il dubbio forse salutare che spinge al canto, “da dedicare a chi non ha più il mare”.
Ed allora ecco l’ultimo invito a non perdere la ricchezza dell’ultimo pur fascinoso viaggio  a Delia, la donna, la compagna di sempre: ANDIAMO LENTI, Delia,…

Poesia di grande cultura e grandi emozioni... Ha alle spalle studio, letture, conoscenze, riflessioni, approfondimenti storico-linguistici ed estetici.  Matura ascolti, intuizioni, sentimenti, silenzi, attese…Deve nondimeno tradurre grandi coinvolgimenti  personali e originali in parole, condivisioni, coltivando un equilibrio difficile, in alcuni passaggi vertiginoso, che, abbandonando la routine quotidiana, vista con occhi nuovi, esprime uno sguardo conoscitivo alternativo, che rasenta il sublime, svelandone la sua natura “paradossale”.
Ma la poesia, anche la più colta, anche quando raggiunge livelli di intuizione ed astrazione sublimi, ha bisogno nondimeno dell’esperienza sensibile, ha bisogno delle situazioni, della quotidianità e dell’eccezionalità soggettiva ed irripetibile della vita per capire che il limite in cui è scaturita deve superare l’immediatezza della banale routine, la ripetitività consueta, e quello della razionalità assecondando slanci e misteri, per  giungere alla conoscenza.
 Anche per comprendere l’immediatezza occorre sempre essere disposti a un viaggio personale, interiore, ed intellettuale, attraversarla,  cercarne il senso, nel silenzio e poi ricrearla con le parole, quelle della poesia, per  mettersi in contatto con una zona del nostro essere che si apre –alto- allo sconosciuto e all’ineffabile, verso un oltre, dove si spalancano spazi di una diversa, forse privilegiata illuminazione, conoscenza alternativa.
Bisogna inventarsi un lavoro per trovar pace: ripulire le acque da detriti, tronchi abbandonati, individuare oggetti inutili, ciocchi vari che uomini e fiume hanno portato in modo distratto con nuova vita da inventare… Bisogna dar senso  alle cose conservate, gli oggetti  nudi – solo cose- che i visitatori distratti hanno lasciato e li si deve restituire nel tempo lento eppur  velocissimo della solitudine, ed ecco allora  comparire come protagonisti poetici gli oggetti consueti carichi di senso: il falcione abbandonato, triste tra le ferraglie in cantina,il vecchio malandato aratro, che vive di ricordi, la giacca antica del padre e del fratello ancora profumata del loro lavoro e della quotidianità, le vecchie case, cariche di storie e resistenti ad ogni intemperia…
Il possesso degli oggetti garantisce una continuità del proprio sé lungo la vita; se si disperdono,  gli oggetti diventano i testimoni della rottura dell’integrità della nostra persona, e la vita stessa si assopisce nel silenzio o si spegne nel propagarsi dei suoni. Le cose si disfano, si sfanno….Anche nei reperti si  intuisce il silenzio raccolto e la  nuova solitudine che il tempo ha saputo regalare loro.

Maria Grazia Ferraris (30 marzo 2019)

1 commento:

  1. Complimenti a Maria Grazia Ferraris per questo eccellente viaggio nella profondità poetica di Nazario Pardini e molti complimenti al poeta per questa ultima opera che ho il piacere di festeggiare con autentico interesse e desiderio di lettura. Dice bene la Ferraris la sua è "Poesia di grande cultura e grandi emozioni... Ha alle spalle studio, letture, conoscenze, riflessioni, approfondimenti storico-linguistici ed estetici..".
    Sonia Giovannetti

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