Sandro Angelucci, collaboratote di Lèucade |
TITIWAI
Maria Rizzi, collaboratrice di Lèucade |
Poesia
eletta, di scavo, di recupero, quella di Sandro Angelucci nella sua ultima
Silloge “Titiwai” di Giuliano Landolfi Editore.
L’uomo
che ha avuto le cose dalla vita sa di non possedere nulla che possa
arricchirlo, che resta Nessuno - Ulisse -, in cerca della propria Itaca
interiore. – tratto da “Itaca il luogo. Nessuno il mio nome”.
Tanti
simbolismi in questa silloge volta alla sacralità dell’attimo che ci viene
concesso in un mondo avvelenato, che
rischia di tirare le cuoia. Questo stesso universo, al tramonto, dona cieli da
vertigini, che per macabra ironia, hanno il colore del petrolio… incredibile lo
scialo di immagini infilzate in serie evocative…
Il
tripudio panico di colori è l’abito di molte liriche, in quanto Sandro
Angelucci tende a cogliere il tempo nel suo scorrere caratterizzato dalla
magia
atmosferica e animale. Vi è qualcosa di nuovo nel modo di porgersi del Poeta,
la sua prospettiva delle parole sembra mutata, ha assunto toni caldi di rabbia e di dolore. D’altronde quando
il mondo è sconvolto da tragedie non si può scrivere poesia che passi sotto
silenzio.
L’Autore,
talvolta, sottolinea il carattere solitario ed endosomatico della morte, catastrofe che in apparenza si riversa all’esterno,
ma fa supporre un naufragio nel nostro
stesso sangue. E in effetti se si immagina l’esistenza come affacciata, tramite
i sensi, a fior di pelle, verso l’esterno, la morte può essere immaginata come
una caduta all’indietro, verso le profondità nascoste dell’anima. Ed è
naufragio catartico, genesi della rinascita, la stessa rinascita dei fiori,
degli astri, delle stagioni.
Come
ha scritto in modo ineccepibile Franca Alaimo nella prefazione la Silloge non
presenta tracce di nichilismo. Pur analizzando la storia nella
quale
siamo calati è un succedersi di redenzioni, di spiegarsi di ali, di volontà di
sogni.
A mio
umile avviso, la si può e la si deve definire anche poesia civile, perché
persegue l’impegno dell’uomo nuovo, perso tra soffi sinistri e spinto verso
ignoti destini. Ma la speranza celebra il suo lieve trionfo sul
male,
con il desiderio di tornare alla bontà delle cose, di soffermarsi sui
prodigi
della natura, sull’essenziale sanità degli aspetti materiali e, soprattutto,
spirituali della vita.
Nel
Poeta si avverte il fiuto della profezia. Il personaggio di Titiro, umile
pastore, steso sotto l’ombra del faggio nella prima Bucolica di Virgilio,
incarna l’io narrante del nostro Autore, legato al significato profondo delle
cose ‘elementari’, non in quanto semplicistiche, ma al contrario, in quanto
libere, selvaggiamente naturali, composte di elementi essenziali: l’orizzonte,
il cielo, la pioggia, il profumo del campo.
Lo
sguardo di Sandro Angelucci si posa attento sulle solitudini, sulle esistenze
dei diseredati. L’uomo ‘cammina dietro al carretto’- tratto dalla
lirica
“Quelli che non possono” -, insegna che a indicarci il cammino sono spesso
coloro che non possiedono nulla. Quanta umanità e quanta sensibilità nei due
versi che chiudono la poesia: “quelli che non possono /
ma vi
stanno già aiutando”, versi che trafiggono l’anima e sono poesia in se stessi.
Il
lirismo del Poeta è caratterizzato ancora e sempre da assoluta
ispirazione.
L’Autore
attribuisce alla poesia il ruolo che pochi altri saprebbero affidarle: la
capacità di risarcire, di restituire le note ai silenzi, di sostituire con i
profumi gli odori stantii. Ed è la sua Poesia feto che non chiede di nascere, ma
spinge verso le pareti del grembo della vita per sussurrare che, in qualche
modo, ogni tempo le appartiene, anche gli spazi nudi, vuoti di armonia, anche
le paure, le rabbie, i dubbi.
Sandro
Angelucci in questa Silloge sembra voler alimentare la sete dei dubbi. E’
lirismo robusto il suo, più maturo e più saggio rispetto al precedente, lirismo
ricco di commistioni con il quotidiano, che troviamo
per la
prima volta nei versi del Nostro e che scivolano pure come acqua di fonte. Il
Poeta di questa Raccolta è specchio fedele dei cambiamenti dell’uomo.
Leggendola si entra in contatto con i meandri della sua anima
e, per
chi lo conosce come la sottoscritta, la scoperta è nell’esigenza di
rivelarsi.
Si
potrebbe asserire che con “Titiwai”chiude il cerchio.
Lega
le nostre esistenze alle larve del popolo Maori, che si schiudono emanando
bagliori simili a quelli delle stelle e il mio pensiero è andato al
Plancton,
ai microrganismi acquatici animali e vegetali, che hanno dato inizio alla vita,
e illuminano la superficie del mare.
Il
viaggio intrapreso dall’Autore inizia e finisce nei bagliori, nel misticismo
legato alla misericordia della natura e ai misteri dei nostri destini.
Maria Rizzi
Ringrazio di cuore Nazario per aver postato tempestivamente il mio umile contributo all'ultima Opera di Sandro Angelucci. E'uomo che non si ferma neanche di domenica e che inevitabilmente, ogni volta, mi commuove....
RispondiEliminaMaria Rizzi