INCONTRI
VACANZA
Con
riluttanza, pigramente, in un pomeriggio di vacanza marina in cui non so cosa
fare, decido di andare a messa, alle diciotto.
La
chiesa piccola, curata da poche zelantissime suore, è praticamente deserta.
Nelle prime panche stanno le fedeli signore che so partecipare tutte le sere al
rito.
Io mi
metto, seminascosta , in fondo, in un angolo , su una panca che mi dovrebbe
garantire un po' di frescura. Accanto a
me una piccola suora si volta, sorride.
Non mi
sento molto a posto, nella nullafacenza venata di qualche amarezza che mi porto
dietro, mare o non mare.
Seguo
distrattamente, osservo la luce che piove da un finestrone, la calvizie del
celebrante, la sciarpa di una signora...Bel modo di stare a messa, vergogna!
Una
breve omelia, seduta a godere la frescura.
In
quel momento una figura scura, un fagotto ambulante più che una persona, si
materializza dall'ingresso e viene a sistemarsi davanti a me, quasi alla mia
sinistra.
Noto
subito i tre enormi borsoni che porta con sé, apparentemente assai pesanti e
che fa cadere dalle spalle sul pavimento. Poi mi colpisce il suo abbigliamento:
stivali, pantaloni neri pesanti, un giaccone di pelle chiuso fino al collo: con
il caldo che fa, è sconvolgente. Infine realizzo che è una donna, una giovane
donna, con una lunga coda di capelli scuri, scomposta, sulle spalle.
Allora
la mia fantasia, sorretta dalla curiosità, si scatena. Chi sarà? Da dove verrà?
Cosa farà abitualmente? Non emana un buon odore, si capisce. E cosa conterranno
quei borsoni pesanti e scuri, come tutto
è scuro in lei, che ha buttato in terra?
Cerco
risposte, non le tolgo gli occhi di dosso: non si è seduta, ed è rimasta, come
me del resto,
in fondo alla chiesa, in un angolo. Non può
essere una zingara, non ne ha l'abbigliamento. Forse viene da una giostra , da
qualcosa simile a un circo, che si esibisce per strada? Forse è una demente,
che vuole vivere così? E mi fermo su questo pensiero: probabilmente è una
randagia, una barbona girovaga. Così giovane.
La
suora accanto non pare colpita, forse la conosce. Continuo a domandarmi come
faccia quella ragazza a vivere così, se
abbia una casa, se abbia parenti, un affetto, se si lavi ogni tanto...
Ma
ecco, è il momento dell'Elevazione, e allora accade ciò che mi ammutolisce i
pensieri, e mi spiazza : la ragazza si inginocchia in terra, meglio, quasi si
sdraia sul pavimento. Da tutta la sua persona emerge un'arrendevolezza totale,
un completo abbandono e insieme un'intensa, indescrivibile forza di preghiera.
Non
riesco a staccare gli occhi da lei.
Finita
la messa, la piccola suora si volta verso di me e , senza conoscermi, mi tende
la mano e dice con un sorriso: ”Ci
vediamo domani”.
Torno
due giorni dopo. La suora mi sorride di nuovo. Di nuovo la ragazza arriva, e
tutto si ripete. Capisco che va a messa tutte le sere.
Passato
il tempo stabilito, nel primo pomeriggio di una giornata umida e caldissima,
percorro con le persone amiche la strada infuocata verso il pullman che ci
riporterà a casa. Verso la fine, la strada è costeggiata da un muretto. Su di
esso, con tutti i suoi borsoni accanto, siede la ragazza.
Ha
piegato un foglio di carta in modo che sia una conca e lo ha messo bene in
vista, come un piattino. Sta seduta raccolta in sé, in quello scafandro di
giaccone, sotto quel sole. Non chiede, sembra non vederci. Sistemate le valigie
io devo, devo assolutamente scendere, devo guardarla in faccia. Ne sento la
necessità.
Si
volta alla mia voce, ringrazia e risponde a una forse maldestra ed enfatica
frase di augurio, ma lo fa con distacco. Mi dice, al plurale: “Anche a voi.”
CORE 'NGRATO
Sabato
mattina.
È una giornata finalmente serena, la gente
percorre le vie del centro tra commissioni e gusto del passeggio, i tavolini
all'aperto cominciano ad essere occupati. C'è un'aria tranquilla, si respira
abbandono alla desiderata primavera.
Anch'io
cammino nella stradetta parallela al Corso, la mente concentrata sulle spese
che voglio fare. Ed ecco, avvicinandosi il punto in cui tale strada sfocia
sulla piazza della Basilica, ecco improvvisa mi travolge una ventata di suono:
“Catari', Catari', / pecché mme'' ddice sti pparole amare?! Pecché... “. Mi
fermo perplessa, la voce è potente, da tenore, bellissima. Lo sguardo si volge
istintivamente alla Basilica. C'è un funerale, il carro funebre aspetta .
Guardo
a destra: accovacciato, seminascosto nell'angolo dell'arco, un artista di strada canta e
suona. “Nun te scurdà ca t'aggio dato 'o
core, Catari'”.
L'istinto
primo è di ribellione, un funerale e una canzone napoletana come si accordano?
Ma la
voce pervade ogni angolo dell'arco, ne esce , si spande nell'aria. E il testo è
poesia, è rimprovero, rimpianto, angoscia, una canzone classica delle più belle
napoletane, cantata da grandi tenori. Canta a occhi chiusi l'artista, è
magrissimo, avvolto in panni scuri indefinibili, quasi incollato all'angolo del
muro. Nessuno si ferma, pochi euro brillano nel raccoglitore, e la sua voce si
alza , si alza, tocca il soffitto dell'arco, ne esce e va, va , fino al carro funebre. “Core, core 'ngrato...”. E intanto la bara
esce dalla chiesa e nella luce del
mattino i due eventi non mi sembrano più contraddittori, né irrispettoso il
canto. Mi abbandono alla melodia, e morte e vita si avvincono in essa: “T'hê pigliato 'a vita mia
/ Tutto' è passato / E nun ce
pienze cchiù”.
Ora si
è fermato qualcuno, un attimo. La
canzone finisce, mi avvicino, mi complimento con lui, gli chiedo se ha mai
tentato la via della lirica. Non mi capisce, non è italiano, forse slavo. Mi
domando se comprenda quello che canta . Noto il suo largo, mite sorriso. Per un
momento ci guardiamo, in silenzio. Gli dico: “Ancora “. Lui annuisce, chiude
gli occhi ed ecco si rialza, potente, la sua voce: “Catari', Catari', che vène
a dicere...”
© GdL
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