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domenica 7 aprile 2019

NAZARIO P. LEGGE: "TITIWAI" DI SANDRO ANGELUCCI



Sandro Angelucci. Titiwai. Giuliano Ladolfi Editore. Borgomanero (NO). 2019


Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade

Mi è arrivata oggi 28 marzo la nuova plaquette di Sandro Angelucci pubblicata per i caratteri di Giuliano Ladolfi Editore di Borgomanero. Opera realizzata con gusto, con passione: elegante, fine, delicata, maneggevole, e piacevole per forma, impostazione grafica, carta, impaginazione, caratteri, con in quarta un lacerto tratto dalla attenta e profonda prefazione di Franca Alaimo, di cui tutti conosciamo la valenza critica, e con in copertina un cielo stellato che tanto ci dice di ricerca, di odeporico slancio verso la luce dalle latebre della notte; di esseri simbolicamente “reietti” ma che trovano la forza di tramutare la volta di una grotta in cielo notturno coi loro segnali luminosi:

Esistono le stelle sotto terra.
Lo sapevate?
Nelle grotte del distretto di Waitom.
(…)
Sono larve che emettono bagliori
sulla scala degli azzurri.
(…)
I Maori
li chiamano titiwai.
A me piace pensare significhi stupore

e tutte le parole  
che inventano i bambini.

Una simbologia attinente a tutto il corso della narrazione; di una pièce  di eponima valenza che ci introduce in un canto tanto poetico quanto le stelle e tanto luminoso quanto la luce del sole. Poesia che io avrei messo all’inizio del testo per la sua portata di prodromica simbologia, dacché l’Autore è in quel cielo, fra quelle luccioline di catartica intrusione, di epifanica elevazione come lo è tutta la poesia tesa a raggiungere la spiritualità di Madre Terra, partendo dalla materialità di cui ogni uomo è intriso. Ma a elevarci è soprattutto la distribuzione lineare del contenuto; le spinte emotive che trascinano il nostro Sandro sugli alti livelli della melodia che si riverbera in un canto“splendidamente monotono”, come sapeva dire, da par suo, Cesare Pavese della poesia. C’è l’amore, la vita, la parola, e ci sono le callidae iuncturae di cui Sandro è maestro. Ed è con quelle che riesce a reificare le vertigini dei suoi abbrivi: tutto si fa canto, armonia; leggendo è come ascoltare una romanza di Chopin tipo Notturno o Tristezza. I brividi incrinano la schiena, e la gola s’ingroppa, si chiude o si apre per seguire il saliscendi delle euritmiche assonanze. Sandro ama la terra, la Madre Antica, la vorrebbe pura, come è nella sua mente ed è proprio la Terra della sua mente che ci appare in tutta la sua integrità. Ama il supremo, la Bellezza, l’assoluto, il principio di tutte le cose,  che, in una evoluzione diacronica, dovrebbe giungere fino a noi per stimolarci alla epifanica redenzione umana, lontana da quel materialismo invadente che corrompe la vita:

(…)
 Eppure è ciò che accade.
I Maori
li chiamano titiwai.
A me piace pensare significhi stupore

e tutte le parole
che inventano i bambini.
 (dalla poesia eponima TITIWAI)

(…)
Ed io ti prometto
che con le mie lacrime
neppure una rosa
sfiorirà lungo il deserto
di questa via crucis.
(Via crucis)

Quando persino l’amore, concretizzato in contorni di panica parvenza (sentiero, rovi, spine, masso)  può tornare selvatico “torni selvatico… per sentirsi libero”:

Ricordi il sentiero
dove, per la prima volta,
 ci baciammo?
Mi dicono che non si passa più,
che i rovi sono cresciuti
e nessuno
ha  voglia di tagliarli.
Nemmeno io. Nemmeno tu.
Con quelle spine
un tempo ci ferimmo
per arrivare in fondo
a sedere sognanti su quel masso.
Torni selvatico
Ciò che viene concepito
e nasca
per sentirsi libero
(Torni selvatico)

Ed è esemplare il modo con cui Angelucci riesce ad adattare i brandelli della natura al suo scrosciare di emozioni. Tutto si fa pulito, visivo, ecfrasticamente energico nella melodia di audaci rivisitazioni. Vera poesia. Una vicissitudine tenuta in animo per offrirla alla liricità del canto. Per chi conosce Sandro un sovraccarico di emozioni.   
Comunque non dovete pensare che il suo sia un credo ecclesiale, va ben oltre, libero e fattivo, verso quella integrità di cui l’uomo dovrebbe essere cosciente. E quello che ci commuove e che è piacevole seguire è il suo linguismo. Una melodia di strumenti a corda e a fiato che si fa compagna del poeta, lo segue passo per passo, lo accoglie fra le braccia, offrendogli il terreno fertile su cui far sbocciare i fiori della poesia. Tirare in  ballo E. A. Poe (1809-1840), non è per niente improprio: pubblicate le sue Poesie nel 1831, nel saggio postumo Il principio poetico definisce la poesia “creazione ritmica della bellezza”, convinto che “il sentimento poetico si ottiene nell’unione tra poesia e musica, giacché nella musica, forse, l’anima raggiunge quasi interamente il grande fine per il quale, se ispirata da un sentimento poetico, essa lotta… per raggiunge la creazione della Bellezza Suprema…”. E non lo è, neppure, richiamare l’intervento di un altro grande: Seneca nelle sue Epistulae scrive: “Ignoranti quem portum petat, nullus suus ventus est - Per chi non sa in quale porto dirigersi, nessun vento è favorevole (Seneca, Epistulae Morales Ad Lucilium - Libro VIII, LXXI, 3). Nella poesia di Sandro il vento è favorevole, viene dal monte e spira  verso il mare dove il poeta si inoltra; lo spinge alle spalle per favorirne l’approdo all’isola  del Bello; è lì che è diretto il suo viaggio; e lo compie sull’imbarcazione dei versi, generosi, ed empaticamente vicini a ché non si smarrisca. In fin dei conti, una volta sbarcato, trova in epigrafe, incisa su una pietra del porto, una frase di Keats: «Se la poesia non nasce con la stessa naturalezza delle foglie sugli alberi, è meglio che non nasca neppure.». E lì s’inchina, in devota preghiera, davanti al tempio del dio che adora:

(Ogni dieci metri)
… Ogni dieci metri
un Dio o ciò che ci resta
trema sotto le stelle
sotto la  volta della sua promessa.

Mentre il prezzo da pagare
esorbita
gratuito ed incombente
si fa il bisogno della  nostra morte.

(Il poco (tanto) che abbiamo)
… Siamo lampi
nella notte infinita
di miliardi e miliardi di stelle.

Nazario Pardini

      


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