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venerdì 10 maggio 2019

INCONTRO CON FRANCO DONATINI



INCONTRO CON FRANCO DONATINI

Franco Donatini,
collaboratore di Lèucade
Bell’incontro oggi 9 maggio con Franco Donatini. E’ venuto a trovarmi a casa e lì abbiamo parlato di argomenti vari e  interessanti. Lui esperto di arte in genere, cultore di linguistica, di letteratura e soprattutto di impiego espressivo sotto i avari punti di vista. Tiene dei corsi presso la sua abitazione in cui giovani e meno giovani si riuniscono per discutere sulle varie tecniche analitico-interpretative; ultimamente a proposito della fiaba di Cappuccetto Rosso la ricerca è stata indirizzata  su una nuova angolatura prospettica: il racconto visto dalla parte del lupo.
Un vero signore Franco, ricco di propositi innovativi, di input, di accostamenti allo studio del verbo; sì, la parola con tutte le difficoltà che tale uso comporta a livello narrativo-poetico, dalla sintesi della pratica poematica  alla pluralità espansiva di quella del romanzo. E da lì al discorso degli intendimenti estetici il passo è stato breve: Il Novecento, la sua portata storico-esplorativa, il nuovo secolo, gli sperimentalismi, l’Ermetismo con tutto il suo travaglio umano: l’uomo solitario, sfiduciato e privo di valori con la critica che ne è derivata da parte nostra per la ridotta chiarezza e la minima incisività a livello letterario. L’arte è viaggiare senza bussola. Quello che conta è navigare verso un porto di improbabile ancoraggio; navigare e non approdare, dacché una volta all’isola abbiamo terminato il carburante necessario a proseguire. La realtà, la percezione, l’immagine, il passato, il futuro e il presente. Il presente non esiste, ci sfugge continuamente di mano, quello che ci nutre è il rapporto tra lo storico e il visionario della nostra vicenda. Della realtà che ci circonda poco resta dacché ciò che incide è la memoria di tale realtà. La percezione, l’immagine: la differenza è consistente: un fenomeno osservato al momento non può avere effetti creativi come quando lo rivivremo, allora sarà attorniato da stati d’animo  particolari o di nostalgia, o di saudade, o di odio, o di piacere. Sono queste intrusioni il focus della poesia o dell’arte in genere. Sta quindi nella rievocazione il fulcro della produzione artistica. Donatini, professore di Energia geotermica presso l’Università di Pisa. Scrittore, critico d’arte, vincitore di molteplici premi letterari, ha partecipato a trasmissioni televisive quali LINEA BLU, RAI UTILE ed EVOLUTI PER CASO SULLE TRACCE DI DARWIN. Una persona di grande spessore intellettivo motivata dalla voglia di scoprire fino a che punto possa ampliarsi il mondo della comunicazione scritturale-visiva del '900.
Tutti questi interessanti argomenti vengono  trattati negli incontri che  lui organizza presso la sua abitazione. Mi ha lasciato un suo recente romanzo editato da Felici Editore nel 2018 dal titolo IO NON SONO MAGRITTE. La mia curiosità mi ha spinto da subito a sfogliarne qualche pagina per toccare con mano la forza esplicativa: fluidità, limpidezza, scioltezza, padronanza verbale, stile paratattico, insomma un vero affabulatore; ed è quello che ci vuole per captare l’attenzione di un lettore soprattutto quando si tratta di argomenti scientifici o critico-artistici. La sua dialettica passionale e ricca di sostanza culturale già mi aveva messo sugli attenti.  Ma quello che più mi ha convinto del suo patrimonio storico e umano è la grande convinzione delle idee, dei concetti, e degli intendimenti che lo identificano. D’altronde ha toccato dei punti che io sostengo e per i quali mi batto da tempo: l’arte è rievocazione, memoriale, sentimento, melodia, soprattutto parola. Abbiamo pensato insieme che tutti si può essere dentro di noi un po’ poeti davanti ad un fenomeno naturale rievocato, o ad una circostanza che richiama una zona del nostro essere. Ma quello che completa il tutto è la parola, o il pennello, o lo strumento. Sta lì la difficoltà: saper trovare il linguaggio aderente a reificare quei subbugli emotivi che dentro dettano. Ed è il linguaggio che deve avere il compito di tener dietro  ai dettami dell’anima e non il contrario. L’azione – anche questo è stato interessante -  di Baudelaire su tutto il prosieguo della creatività letteraria: il simbolismo, il trasferimento antropomorfo in oggetti o uccelli o visioni naturali che ha giocato un ruolo determinante nella scrittura a venire, tipo Montale che affida tutto il sentire a ciò che lo circonda: cocci di bottiglia, muriccioli genovesi, ossi di seppia. E’ il mondo endemico che lo rappresenta ed è a quello che affida il suo linguismo. Mi  piace riportare un piccolo  lacerto esemplificativo  sull’usus scribendi di Donatini:  “... Prese una tela più grande, circa due metri per uno  e mezzo  e me la mostrò.
“Ecco, questa si intitola Il giocatore segreto”
“Ancora una foresta di bilboquet...  ma cosa significa?”
“Il giocatore non ha una propria autonomia, fa parte anch’esso del gioco, in questo caso il baseball, diverso da quello degli scacchi. Di fatto non è un giocatore, ma una pedina sulla  scacchiera, o uno strumento come il bilboquet”.
Uno stile dialogico secco  e conclusivo; un modo di procedere apodittico e comunicativo che arriva a segno.

Nazario Pardini

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