INCONTRO
CON FRANCO DONATINI
Franco Donatini, collaboratore di Lèucade |
Bell’incontro
oggi 9 maggio con Franco Donatini. E’ venuto a trovarmi a casa e lì abbiamo
parlato di argomenti vari e
interessanti. Lui esperto di arte in genere, cultore di linguistica, di
letteratura e soprattutto di impiego espressivo sotto i avari punti di vista.
Tiene dei corsi presso la sua abitazione in cui giovani e meno giovani si
riuniscono per discutere sulle varie tecniche analitico-interpretative; ultimamente
a proposito della fiaba di Cappuccetto Rosso la ricerca è stata indirizzata su una nuova angolatura
prospettica: il racconto visto dalla parte del lupo.
Un vero signore Franco, ricco di propositi
innovativi, di input, di accostamenti allo studio del verbo; sì, la parola con
tutte le difficoltà che tale uso comporta a livello narrativo-poetico, dalla
sintesi della pratica poematica alla
pluralità espansiva di quella del romanzo. E da lì al discorso degli
intendimenti estetici il passo è stato breve: Il Novecento, la sua portata
storico-esplorativa, il nuovo secolo, gli sperimentalismi, l’Ermetismo con
tutto il suo travaglio umano: l’uomo solitario, sfiduciato e privo di valori
con la critica che ne è derivata da parte nostra per la ridotta chiarezza e la
minima incisività a livello letterario. L’arte è viaggiare senza bussola.
Quello che conta è navigare verso un porto di improbabile ancoraggio; navigare
e non approdare, dacché una volta all’isola abbiamo terminato il carburante
necessario a proseguire. La realtà, la percezione, l’immagine, il passato, il
futuro e il presente. Il presente non esiste, ci sfugge continuamente di mano,
quello che ci nutre è il rapporto tra lo storico e il visionario della nostra
vicenda. Della realtà che ci circonda poco resta dacché ciò che incide è la
memoria di tale realtà. La percezione, l’immagine: la differenza è consistente:
un fenomeno osservato al momento non può avere effetti creativi come quando lo
rivivremo, allora sarà attorniato da stati d’animo particolari o di nostalgia, o di saudade, o di
odio, o di piacere. Sono queste intrusioni il focus della poesia o dell’arte in
genere. Sta quindi nella rievocazione il fulcro della produzione artistica.
Donatini, professore di Energia geotermica presso l’Università di Pisa. Scrittore,
critico d’arte, vincitore di molteplici premi letterari, ha partecipato a
trasmissioni televisive quali LINEA BLU, RAI UTILE ed EVOLUTI PER CASO SULLE
TRACCE DI DARWIN. Una persona di grande spessore intellettivo motivata dalla
voglia di scoprire fino a che punto possa ampliarsi il mondo della comunicazione
scritturale-visiva del '900.
Tutti
questi interessanti argomenti vengono
trattati negli incontri che lui organizza
presso la sua abitazione. Mi ha lasciato un suo recente romanzo editato da
Felici Editore nel 2018 dal titolo IO NON SONO MAGRITTE. La mia curiosità mi ha
spinto da subito a sfogliarne qualche pagina per toccare con mano la forza
esplicativa: fluidità, limpidezza, scioltezza, padronanza verbale, stile
paratattico, insomma un vero affabulatore; ed è quello che ci vuole per captare
l’attenzione di un lettore soprattutto quando si tratta di argomenti
scientifici o critico-artistici. La sua dialettica passionale e
ricca di sostanza culturale già mi aveva messo sugli attenti. Ma quello che più mi ha convinto del suo
patrimonio storico e umano è la grande convinzione delle idee, dei concetti, e
degli intendimenti che lo identificano. D’altronde ha toccato dei punti che io
sostengo e per i quali mi batto da tempo: l’arte è rievocazione, memoriale,
sentimento, melodia, soprattutto parola. Abbiamo pensato insieme che tutti si
può essere dentro di noi un po’ poeti davanti ad un fenomeno naturale rievocato,
o ad una circostanza che richiama una zona del nostro essere. Ma quello che
completa il tutto è la parola, o il pennello, o lo strumento. Sta lì la
difficoltà: saper trovare il linguaggio aderente a reificare quei subbugli
emotivi che dentro dettano. Ed è il linguaggio che deve avere il compito di
tener dietro ai dettami dell’anima e non
il contrario. L’azione – anche questo è stato interessante - di Baudelaire su tutto il prosieguo della creatività
letteraria: il simbolismo, il trasferimento antropomorfo in oggetti o uccelli o
visioni naturali che ha giocato un ruolo determinante nella scrittura a venire, tipo Montale che affida tutto il sentire a ciò che
lo circonda: cocci di bottiglia, muriccioli genovesi, ossi di seppia. E’ il
mondo endemico che lo rappresenta ed è a quello che affida il suo linguismo. Mi piace riportare un piccolo lacerto esemplificativo sull’usus scribendi di Donatini: “... Prese una tela più grande, circa due
metri per uno e mezzo e me la mostrò.
“Ecco,
questa si intitola Il giocatore segreto”
“Ancora
una foresta di bilboquet... ma cosa significa?”
“Il
giocatore non ha una propria autonomia, fa parte anch’esso del gioco, in questo
caso il baseball, diverso da quello degli scacchi. Di fatto non è un giocatore,
ma una pedina sulla scacchiera, o uno
strumento come il bilboquet”.
Uno
stile dialogico secco e conclusivo; un
modo di procedere apodittico e comunicativo che arriva a segno.
Nazario
Pardini
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