Laura Barone, collaboratrice di Lèucade |
Faccio sempre molta fatica ad addentrarmi in discorsi che riguardano le
discussioni poetiche. Parlare di Poesia significa entrare in un campo della
critica letteraria piuttosto complesso, in una terra di nessuno in cui, per
forza di cose le categorizzazioni prendono il posto del pensiero libero. La
Poesia, passatemi l'ossimoro, è "Disciplina Anarchica" che inizia a
soffrire d'asfissia ogni qualvolta si tenta di incanalarla in categorie o
correnti. E questo è un sintomo che riguarda tutti gli "adepti" siano
essi fautori della poesia "canonica" scandita dalla metrica sia
coloro che hanno preferito liberarsi dalle "briglie" degli
endecasillabi, si noti bene, ho detto "liberarsi" poichè troppo
spesso si scopre che soggetti che hanno anche ottenuto un discreto successo
editoriale e pretendono di dirci cosa debba essere la poesia, non sono neppure
in grado di scrivere in scioltezza un endecasillabo.
Il pensiero umano ha
necessariamente il bisogno di categorizzare e incanalare la Poesia in flussi
omologati e omologanti creando spazi che alla fine risultano sempre asfittici
per chi scrive e illudendosi che essa, nella sua parola chirurgicamente sezionata
in "significante e significato" di desaussuriana memoria, sia sempre
pazientemente disposta a sottoporsi ad una lente d'ingrandimento che spesso ne
distorce le forme partendo da idee soggettive che, arbitrariamente, o
attraverso la condivisione di un concetto che ha funzionato da catalizzatore,
si sono trasformate in idee comuni e quindi assurte a supporti oggettivi per
una critica sull'espressione profonda di un percorso poetico.
Chi scrive, ha un compito, quello di
compiere un viaggio unico e solitario attraverso un mondo interiore alla
ricerca di quel punto misterioso di congiunzione della triade: "Sé" "L'altro"
e '"l'Universale". Chiunque si avvicini a questa ricerca non può che
farlo in una dimensione di solitudine e il viaggio può proseguire su un binario
che conduce a interagire col Tempo e quindi con la realtà oppure restare su di
un percorso filosofico e atemporale, se più gli si confà. La misteriosa
stazione di destinazione è comunque un punto unico d'arrivo che tutti coloro
che scrivono sperano di raggiungere.
Considerare sbagliato l'uno o l'altro percorso, sarebbe comunque un errore. Chi
può rispondere a domande del tipo:
La poesia deve essere atemporale?
Il lirismo é desueto? A cosa serve oggi la metrica?
L'aggettivazione usata per arricchire una parola é migliore o peggiore di una
parola scarnificata?
È realmente possibile azzerare l'IO"?
Le categorie del pensiero metafisico Aristotelico sono ancora valide per la
costruzione di una critica oggettiva? Per queste domande ognuno avrà la sua
risposta e sarà sempre una risposta soggettiva.
Dovremmo piuttosto domandarci
perché la critica, peraltro spesso fatta anche da ottimi poeti e critici, non
possa riflettere tuttavia sulla possibilità di rinuncia, alla teoria
letteraria, e cioè a tutti quei concetti e dettati generalizzanti che
rafforzano la necessaria integrazione tra il metodo formale e la prospettiva
storico-sociale.
Le discussioni critico letterarie,
quando fatte da persone ragionevoli e preparate, sono sempre affascinanti e il
dibattito che si crea intorno lo è altrettanto. Ci si accorge di quanto sia
stato realmente utile poiché, dopo una disputa prevale un senso di
arricchimento e il dibattito ha accresciuto ed affinato il proprio pensiero e
la propria capacità critica.
La poesia ci insegna che dobbiamo
sempre porre la massima attenzione
nell'usare e diffondere il "Logos", poiché nella parola è sempre
veicolato un pensiero e questo pensiero può e deve diventare un ponte di
comunicazione con libero accesso per le diverse idee e posizioni. Quando accade
che, al posto del ponte si innalza un muro, la Poesia, ha mancato il suo
obiettivo.
Scrivendo questo mio modesto
intervento, mi é tornata in mente la diatriba tra i Futuristi Marinetti, Carrà
e Boccioni e il critico de "la Voce" Ardengo Soffici che nel 1911, si
concluse con la famosa rissa al Giubbe Rosse di Firenze dove volarono schiaffi,
pugni, calci e tavolini per poi concludersi in stazione dove gli artisti
compresero che, alla fine, erano tutti dalla stessa parte.
Non chiedetemi cos'è la poesia
perché non lo so, so solo che anche dopo i più aspri scontri se si riesce a
confrontarsi lealmente lei é lì.
Riflettiamo
fermiamoci, stringiamo una mano, a chi ci è di fronte e poi proseguiamo il
cammino con o senza IO; nel tempo o fuori dal tempo; accompagnati
dall'aggettivazione o insieme alla parola "scarnificata";
sottobraccio al lirismo o flirtando con la poesia prosastica; ma teniamo sempre
presente che accanto a noi, deve sempre camminare la Bellezza, il rispetto, la
voglia di confronto e l'onesta intellettuale.. (Laura Barone)
Condivido in pieno questa tua riflessione, cara Laura, e mi piace molto la tua definizione della poesia come "disciplina anarchica", io aggiungerei come ciò che si rivela di imprevisto al confine del caos, o come parola che sgorga dal silenzio interiore e che, quando riesce, si fa musica.
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