lunedì 13 maggio 2019

NAZZARIO LEGGE: "FIGLIA FRAGILE" DI L. TURRI


Lorena Turri. Figlia fragile. Edizioni Tracce. Pescara. 2019

Sono albero e foglia
figlia fragile della mia maternità…


Così inizia il racconto della Turri, un distico settenario-endeasillabo che da subito ci mette davanti al proposito costruttivo della poetessa; al suo messaggio di ontica e ontologia fattura, come momento incipitario con valenza eponima.
Poesia energica, vitale, sostanziale che, con le sue espansioni orizzontali, tanto ci dice degli empiti emotivi dell’Autrice. C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole. La luce esplode con tutta la sua fragranza per illuminare l’orizzonte verso cui la Turri si dirige per l’attracco. Un attracco pieno di vita e di amore; pieno di entusiasmo poetico e di scoperta, dacché è proprio in quel porto dove la poetessa arriva che riposano le ambasce, le aporie della vita, i travagli esistenziali, le scosse delle sottrazioni. E’ un’isola questa dove la poetessa trova la serenità tanto cercata nella sua navigazione. Sì, esplode il suo palpito emozionale, e si confonde, anche, a volte dinanzi alla bellezza del posto. Lì ci sono le persone che ama, lì c’è soprattutto quella a cui darebbe la vita per farla felice. Per questo le dedica il nuovo corposo libro di poesie dal titolo FIGLIA FRAGILE, editato per i caratteri di Tracce Edizioni. A mia figli Liza, si legge in esergo e si sa cosa significhi scrivere poesie con nel cuore l’immagine di una figliola.  Ci sono gli smacchi di una vita, le cicatrici dell’esistere, i ricordi di inquietudini vissute, di amori traditi, ma il tutto visto ormai da questa isola che la distacca in parte dalla terra. Qui l’isola! Un mondo raggiunto con navigazioni piene di scogli e di trabucchi; là la terra! Un luogo che ci rammenta le strade tortuose del suo suolo.  Il verso si fa più ampio o più contratto misurandolo con quella che è l’abitudine poetica della Turri. Quasi a spezzare la maestosa musicalità dell’endecasillabo con raddoppiamenti o moduli alessandrini. E’ nell’ampiezza o nella brevità che ella trova il campo fertile del suo discorso poetico; è lì che dà il via ai patemi e alle meditazioni del suo essere. E la parola la segue mansueta e docile, disposta a reificare un regno di emozioni.  Anche la solitudine si fa rassegnata situazione di fatto: “…sul comodino: un libro di stanchezza/ che non mi va di leggere da sola”. Memoriale, speranze deluse: (dimmelo tu che di me devi avere/ solo un  vago ricordo e non t’aspetti/ l’estate dal telefono che squilla). Ma si fa avanti l’endecasillabo; ci vuole in questi momenti di disarmonica armonia,  torna fresco e lampante, energico e calzante nei momenti di lacrime ghiacciate. E continua con la sua euritmica scansione  in Questa stanchezza,  per fare, poi, posto ad alternanza di ottonari settenari quinari… Nell’attesa di vederti, dove i sobbalzi di un’anima in  apprensione richiedono misure varie sul diagramma della vita: “… nell’attesa di vederti/ (forse) per la prima volta/ e svincolarmi dal dolore/ che m’assedia”.  Una varietà di misure metriche di cui la Turri si serve con estrema  padronanza, dando esempio della sua versatilità compositiva, del suo proteiforme assedio alla memoria; concedendosi anche, come dicevamo agli inizi della nostra esegesi,  a descrizioni di luoghi (Alla stazione)  o di giorni (Dopopasqua) dove gli ambiti scritturali subiscono varianti (lo aspetteremo pazienti pregando per i nostri gelsomini) per tener dietro a simbologie di carattere psicologico. Tutto, d’altronde, gioca in funzione di un animo che intende concretizzarsi in piogge d’aprile o  ritardi dell’angelo, o in E’ un glicine sfiorito la mia sera.  D’altronde per soddisfare le richieste di un cuore che ha ingabbiato da una vita melanconiche intrusioni occorrono mezzi di fino, esperienze di prosodia di cui la Nostra è maestra.  Se nella poesia, mi diceva un mio vecchio professore, mancassero input erotico-sentimentali, vicende dolorose per abbandoni, o altre per incontri mancati, tutto si farebbe piatto e freddo, visto che la  poesia stessa vive di forti scossoni in grembo a sinfonie di memoria pucciniana. E la Turri racconta la  vita, quella che non è stata, quella che ha sognata, quella reale; e fare della  vita un’opera d’arte non è semplice, a meno che non  si posseggano strumenti per imporsi: e la Nostra ne ha da vendere. Anche perché in aiuto delle strutture grammaticali, ha sempre pronti congegni di sinestetica andatura, di metaforica significanza, di iperbolica prontezza. E il tutto in una simbiotica fusione di armoniche misure.           

Nazario Pardini      


3 commenti:

  1. Fine, sentita analisi dell'opera di una poetessa di prim'ordine che unisce all' assoluta padronanza della metrica,un sentire profondo e generoso, un lessico calzante e vario ed un'espressione moderna, snella e viva.

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  2. Questa nota di lettura così vivida e sapiente mi è giunta come un raggio di sole in una mattinata mariana di vento gelido e di tempesta in cui anche la connessione era traballante e non mi permetteva di inviare messaggi.
    In ritardo, ahimè, sono a ringraziare il nostro Nocchiere, Nazario, che con la sua ben nota eloquente maestria, ha dedicato parole preziose a questa mia silloge facendomi un grande dono: sentirmi "com-presa".
    Compresa per questo mio scrivere variegato e multiforme che per me rispecchia la vita, con i suoi momenti lieti e tristi, le sue gioie e i suoi dolori, le armonie e le disarmonie, con i suoi toni decisi o più sfumati che ci rendono fragili ma forti nel contempo.
    Figlia fragile della vita, in questa fragilità ho trovato tutta l'energia per vivere e qualche verso per raccontarla.
    E Nazario lo ha capito e lo dice.
    La comprensione è un forte abbraccio di benessere.
    Grazie, infinitamente, per questo abbraccio.

    Lorena Turri

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    1. Già la scelta della Lempicka in copertina la dice tutta (...e credo di avertelo già detto all'uscita del libro), con quel suo essere persona forte e fragile nonché artista di contrasti espressionisti e formali all'unisono. Non ti conosco bene, cara Lorena, ma vedo in tutto quello che fai e scrivi le caratteristiche geniali della gestione degli opposti senza contrasto. Scrivi con in metrica, sublime arte o scienza o come dir si voglia, con maestria consapevole, ma sai anche emozionare con liberi versi, che, comunque, mantengono l'interiore musicalità della parola poetica. Ti diverti, e questa forse è la dote più rara rintracciabile fra noi poeti o presunti tali, e parlo per me, troppo spesso seriosi, tristi e poco spiritosi, ti diverti, ripeto, a giocare con le parole trasformandole in folletti ballerini su palcoscenici di carta o sui social. E anche quando scrivi di dolore riesci a scivolare nella leggerezza del disincanto e a farcene dono nella parte migliore senza il crogiolo dell'autoreferenzialismo, altra qualità estremamente rara. Complimenti, Lorena, per questo tuo ultimo lavoro e per come sei. Un abbraccio.
      Maddalena Leali

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