Lorena
Turri. Figlia fragile. Edizioni
Tracce. Pescara. 2019
Sono albero e foglia
figlia fragile della mia
maternità…
Così
inizia il racconto della Turri, un distico settenario-endeasillabo che da
subito ci mette davanti al proposito costruttivo della poetessa; al suo
messaggio di ontica e ontologia fattura, come momento incipitario con valenza
eponima.
Poesia
energica, vitale, sostanziale che, con le sue espansioni orizzontali, tanto ci
dice degli empiti emotivi dell’Autrice. C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole. La
luce esplode con tutta la sua fragranza per illuminare l’orizzonte verso cui la
Turri si dirige per l’attracco. Un attracco pieno di vita e di amore; pieno di
entusiasmo poetico e di scoperta, dacché è proprio in quel porto dove la
poetessa arriva che riposano le ambasce, le aporie della vita, i travagli
esistenziali, le scosse delle sottrazioni. E’ un’isola questa dove la poetessa
trova la serenità tanto cercata nella sua navigazione. Sì, esplode il suo
palpito emozionale, e si confonde, anche, a volte dinanzi alla bellezza del
posto. Lì ci sono le persone che ama, lì c’è soprattutto quella a cui darebbe
la vita per farla felice. Per questo le dedica il nuovo corposo libro di poesie
dal titolo FIGLIA FRAGILE, editato per i caratteri di Tracce Edizioni. A mia
figli Liza, si legge in esergo e si sa cosa significhi scrivere poesie con nel
cuore l’immagine di una figliola. Ci
sono gli smacchi di una vita, le cicatrici dell’esistere, i ricordi di
inquietudini vissute, di amori traditi, ma il tutto visto ormai da questa isola
che la distacca in parte dalla terra. Qui l’isola! Un mondo raggiunto con
navigazioni piene di scogli e di trabucchi; là la terra! Un luogo che ci
rammenta le strade tortuose del suo suolo.
Il verso si fa più ampio o più contratto misurandolo con quella che è
l’abitudine poetica della Turri. Quasi a spezzare la maestosa musicalità
dell’endecasillabo con raddoppiamenti o moduli alessandrini. E’ nell’ampiezza o
nella brevità che ella trova il campo fertile del suo discorso poetico; è lì
che dà il via ai patemi e alle meditazioni del suo essere. E la parola la segue
mansueta e docile, disposta a reificare un regno di emozioni. Anche la solitudine si fa rassegnata
situazione di fatto: “…sul comodino: un libro di stanchezza/ che non mi va di
leggere da sola”. Memoriale, speranze deluse: (dimmelo tu che di me devi avere/
solo un vago ricordo e non t’aspetti/
l’estate dal telefono che squilla). Ma si fa avanti l’endecasillabo; ci vuole
in questi momenti di disarmonica armonia,
torna fresco e lampante, energico e calzante nei momenti di lacrime
ghiacciate. E continua con la sua euritmica scansione in Questa
stanchezza, per fare, poi, posto ad
alternanza di ottonari settenari quinari… Nell’attesa
di vederti, dove i sobbalzi di un’anima in
apprensione richiedono misure varie sul diagramma della vita: “…
nell’attesa di vederti/ (forse) per la prima volta/ e svincolarmi dal dolore/
che m’assedia”. Una varietà di misure
metriche di cui la Turri si serve con estrema
padronanza, dando esempio della sua versatilità compositiva, del suo proteiforme
assedio alla memoria; concedendosi anche, come dicevamo agli inizi della nostra
esegesi, a descrizioni di luoghi (Alla
stazione) o di giorni (Dopopasqua) dove
gli ambiti scritturali subiscono varianti (lo aspetteremo pazienti pregando per
i nostri gelsomini) per tener dietro a simbologie di carattere psicologico.
Tutto, d’altronde, gioca in funzione di un animo che intende concretizzarsi in
piogge d’aprile o ritardi dell’angelo, o
in E’ un glicine sfiorito la mia sera.
D’altronde per soddisfare le richieste di un cuore che ha ingabbiato da
una vita melanconiche intrusioni occorrono mezzi di fino, esperienze di
prosodia di cui la Nostra è maestra. Se
nella poesia, mi diceva un mio vecchio professore, mancassero input
erotico-sentimentali, vicende dolorose per abbandoni, o altre per incontri
mancati, tutto si farebbe piatto e freddo, visto che la poesia stessa vive di forti scossoni in
grembo a sinfonie di memoria pucciniana. E la Turri racconta la vita, quella che non è stata, quella che ha
sognata, quella reale; e fare della vita
un’opera d’arte non è semplice, a meno che non
si posseggano strumenti per imporsi: e la Nostra ne ha da vendere. Anche
perché in aiuto delle strutture grammaticali, ha sempre pronti congegni di
sinestetica andatura, di metaforica significanza, di iperbolica prontezza. E il
tutto in una simbiotica fusione di armoniche misure.
Nazario
Pardini
Fine, sentita analisi dell'opera di una poetessa di prim'ordine che unisce all' assoluta padronanza della metrica,un sentire profondo e generoso, un lessico calzante e vario ed un'espressione moderna, snella e viva.
RispondiEliminaQuesta nota di lettura così vivida e sapiente mi è giunta come un raggio di sole in una mattinata mariana di vento gelido e di tempesta in cui anche la connessione era traballante e non mi permetteva di inviare messaggi.
RispondiEliminaIn ritardo, ahimè, sono a ringraziare il nostro Nocchiere, Nazario, che con la sua ben nota eloquente maestria, ha dedicato parole preziose a questa mia silloge facendomi un grande dono: sentirmi "com-presa".
Compresa per questo mio scrivere variegato e multiforme che per me rispecchia la vita, con i suoi momenti lieti e tristi, le sue gioie e i suoi dolori, le armonie e le disarmonie, con i suoi toni decisi o più sfumati che ci rendono fragili ma forti nel contempo.
Figlia fragile della vita, in questa fragilità ho trovato tutta l'energia per vivere e qualche verso per raccontarla.
E Nazario lo ha capito e lo dice.
La comprensione è un forte abbraccio di benessere.
Grazie, infinitamente, per questo abbraccio.
Lorena Turri
Già la scelta della Lempicka in copertina la dice tutta (...e credo di avertelo già detto all'uscita del libro), con quel suo essere persona forte e fragile nonché artista di contrasti espressionisti e formali all'unisono. Non ti conosco bene, cara Lorena, ma vedo in tutto quello che fai e scrivi le caratteristiche geniali della gestione degli opposti senza contrasto. Scrivi con in metrica, sublime arte o scienza o come dir si voglia, con maestria consapevole, ma sai anche emozionare con liberi versi, che, comunque, mantengono l'interiore musicalità della parola poetica. Ti diverti, e questa forse è la dote più rara rintracciabile fra noi poeti o presunti tali, e parlo per me, troppo spesso seriosi, tristi e poco spiritosi, ti diverti, ripeto, a giocare con le parole trasformandole in folletti ballerini su palcoscenici di carta o sui social. E anche quando scrivi di dolore riesci a scivolare nella leggerezza del disincanto e a farcene dono nella parte migliore senza il crogiolo dell'autoreferenzialismo, altra qualità estremamente rara. Complimenti, Lorena, per questo tuo ultimo lavoro e per come sei. Un abbraccio.
EliminaMaddalena Leali