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martedì 21 maggio 2019

M. G. FERRARIS: "LUINO-LA TERRAZZA DI P. CHIARA, V. SERENI, E F. ROGNONI"

M. Grazia Ferraris,
collaboratrice di Lèucade


Maria Grazia col solito intuito emotivo, con la solita verve narratrice intrisa di poetica delle radici, racconta, analizza, intuisce, assapora e vive le arti e le memorie coinvolgendo il lettore trascinato da tanta emozione partecipativa. Chiara, Sereni, Rognoni sono gli artefici primi delle sue considerazioni: “Luino, la cittadina sul lago Maggiore, la patria natale di Piero Chiara e Vittorio Sereni, apre gli archivi dei due autori nel restaurato Palazzo Verbania, sul lago,  in concomitanza con la mostra del pittore  Franco Rognoni,  nella città che elesse  a sua dimora e come sede del suo studio di pittura preferito. Tutti e tre – il poeta, il narratore, il pittore-  pure riposano a Luino: accomunati anche in vita dalla  poesia ispiratrice, che costantemente li visita, tra versi, descrizioni  e dipinti…”. 
   La narrazione della Ferraris si fa poesia, dacché Lei vive le storie che dentro le sono impresse; quelle vite, quegli amori, quei fatti e quelle circostanze che si affidano imperiose alla sua mente e al suo cuore a ché vengano tradotte in nuove avventure simboliche di vita e di poesia; di pittura e di arte, di arte e di memorie.   “… Diana e Proserpina sono il simbolo che rende in concreto il mondo espressivo poetico, emerso alla luce da una necessità progettuale e reale di vita. Esse sono in un certo modo  la sublimazione di un quotidiano avvenuto e messo in sospensione dalla memoria, dalla “instancabile memoria poetica” che Sereni sceglierà  come elemento di sostanziale laboratorio creativo.
Diana e Proserpina sono entrambi figure che chiaramente rimandano ad una simbologia femminile di grande forza e spessore e  di grande coraggio e prontezza d’animo, più a livello attivo che contemplativo. Diana come Proserpina sono donne sole, tolte a un diverso destino, per proseguire da sole verso un loro futuro riconosciuto e cercato nonostante  i limiti esterni.
Diana è cacciatrice e solitaria; Proserpina è rapita ed abbandonata, ma anche contesa tra due amori che la portano alla sofferenza e alla sopportazione, un dolore che si rinnova in modo intermittente arginando  una sofferenza  acuta e potenzialmente esplosiva…”

La sera invade il calice leggero  
che tu accosti alle labbra.
Diranno un giorno: – che amore
fu quello… –,  ma intanto
come il cucù desolato dell’ora
percossa da stanza a stanza
dei giovani cade la danza,
s’allunga l’ombra sul prato.
E sempre io resto
di qua dalla nube smemorata
che chiude la tua dolce austerità.

E se il mito deve aiutare il poeta a simboleggiare l’amore o la morte che ben venga: la mitopoietica è sempre alla  base del canto vero, più di certo della mitologia. E tutto si fa vita, esperienza, vicissitudine che Maria Grazia Ferraris racconta come fosse un romanzo di flaubertiana memoria.

Nazario Pardini 

LUINO- La Terrazza di Piero Chiara, Vittorio Sereni e Franco Rognoni, di M. Grazia Ferraris        


Luino, la cittadina sul lago Maggiore, la patria natale di Piero Chiara e Vittorio Sereni, apre gli archivi dei due autori nel restaurato Palazzo Verbania, sul lago,  in concomitanza con la mostra del pittore  Franco Rognoni,  nella città che elesse  a sua dimora e come sede del suo studio di pittura preferito. Tutti e tre – il poeta, il narratore, il pittore-  pure riposano a Luino: accomunati anche in vita dalla  poesia ispiratrice, che costantemente li visita, tra versi, descrizioni  e dipinti.
Scrive il critico d’arte Chiara Gatti, che ha curato il catalogo della Mostra-Rognoni che porta l’originale sintetico titolo di “Terrazze” : “Oltre all’amicizia, all’anno di nascita (il 1913) e a una residenza luinese, Franco Rognoni, Vittorio Sereni e Piero Chiara avevano in comune un’altra cosa: una terrazza sul lago. Sereni le aveva dedicato una poesia, nella famosa raccolta di Frontiera. Chiara l’aveva descritta più volte fra le pagine di uno dei suoi romanzi struggenti, Una spina nel cuore. Rognoni la ritrasse spesso delineando con tratto tagliente alcuni personaggi affacciati alla sua fragile ringhiera.
Idealmente, da quello stesso spigolo aguzzo di balconata si erano sporti tutti e tre, in momenti e circostanze diverse. E, tutti e tre, ne avevano ricavano ispirazione, linfa vitale, suggerimento fecondo per i propri racconti fatti di immagini e di parole.” 

Improvvisa ci coglie la sera.
                           Piú non sai
dove il lago finisca;
un murmure soltanto
sfiora la nostra vita
sotto una pensile terrazza.

Siamo tutti sospesi
a un tacito evento questa sera
entro quel raggio di torpediniera
che ci scruta poi gira se ne va.
(V. Sereni, Frontiera)

L’amicizia e il lago. Luino, il lungolago dei grandi platani, i colori sinfonia di celesti, i tramonti di fuoco, i notturni  scuri hanno fatto nascere una eredità di affetti , una vita tutta originale, tra malinconia e passioni, calme e scontenti esistenziali. Chiarisce la Gatti: “ La metafora della lacuna/laguna richiama la perdita che colpisce chiunque ritorni, dopo tanto tempo, ai luoghi delle proprie origini. Rognoni è sempre ritornato a Luino con gli occhi meravigliati di chi scopre – per citare  ancora Eliot- ciò che, in precedenza, forse non aveva notato.
E ha riscoperto il lago, i suoi venti e le sue correnti; la gente nei locali e la gente fuori nella foschia. E poi le donne. Spigolose, tornite, severe, nobili, cupe, solitarie, permalose, nude, morbide, infreddolite. Ogni donna ha la sua storia, i suoi misteri, il suo fascino. Ma, di nuovo, Rognoni non ha mai ridotto la pittura al soggetto. La donna, al di là del suo enigma, è forma nello spazio, è una linea nel famoso vuoto cosmico. Alberto Giacometti gli aveva consegnato il segreto delle sue figure sottili.  La femme è un corpo aereo che palpita nel colore. Tecnicamente superbo, Rognoni ha mirabilmente inventato infatti un’idea di colore dentro il quale germina l’immagine….”
“Sulla terrazza, si sporgono ora presenze eteree. Guardano in là, oltre il davanzale, un panorama che non c’è. La riva opposta, l’altra sponda del lago, per Rognoni non esisteva. La evocò giocando sulle sfumature dell’atmosfera che si dirada, i riflessi dell’acqua che si abbuia. I suoi eroi borghesi si mostrano sospesi a strapiombo su quella laguna d’acqua dolce che è lo specchio della loro “melencolia”, per dirla con Dürer.”
Le amicizie hanno valenze diverse, la vita si incarica di stringerle o di allentarle. Quella di Sereni con Chiara fu certo un’amicizia fondata sulla lunga consuetudine, sulla conoscenza reciproca avvenuta nell’infanzia a Luino e sulla solidarietà, ma senza abbandoni intimi, eppure fu conoscenza amicale, autenticamente consapevole. Ancora a  Luino, luogo topico di questi artisti, si deve anche l’amicizia con Franco Rognoni. Con lui e altri amici Sereni dette origine in seguito  alla rivista La Rotonda.
 “Luino non è che memoria infantile, e per il resto territorio insondabile…” La Rotonda, un’avventura sentimentale ed editoriale.  Ha preso il nome dal terrapieno alberato a forma di semicerchio che apre il viale alla Stazione Internazionale di Luino.
Nel 1979 Sereni organizzava infatti insieme a Claudio Barigozzi, Piero Chiara, Pierangelo Frigerio, Pier Giacomo Pisoni, il pittore Franco Rognoni e altri, il primo numero dell'almanacco "La Rotonda", che centra la sua attenzione su Luino e le zone circostanti; ne usciranno sei fascicoli, editi da Francesco Nastro fino al 1983 (la morte di Sereni)). Scopo dell'Almanacco quello di compilare una “specie di regesto nel quale gli aspetti mutevoli della città, architettonici, naturali, sociali e anche economici, fossero testimoniati di anno in anno accanto alla riesumazione delle memorie antiche”.
“Nella sua pittura Franco Rognoni non ha mai dovuto ricorrere a oggettività geografico-paesaggistiche evidenti e ben delineate, -ribadisce la Gatti- ha lasciato che nelle sue tele emergesse e trovasse spazio lo “spirito” dei suoi personaggi, senza porsi l’obiettivo di fotografarli. La magia che sprigiona dai suoi quadri è intensa e coinvolgente …Franco Rognoni è partito e tornato più volte all’origine del suo esplorare. La pittura gli è stata accanto come un diario di viaggio sulle strade della memoria, una compagna di quotidiane scoperte, trascrizione lirica di ogni episodio rubato alla vita e restituito alla poesia.” Una poesia sereniana.

Ti distendi e respiri nei colori.
Nel golfo irrequieto,
nei cumuli di carbone irti al sole
sfavilla e s’abbandona
l’estremità del borgo.
Colgo il tuo cuore
se nell’alto silenzio mi commuove
un bisbiglio di gente per le strade.
Morto in tramonti nebbiosi d’altri cieli
sopravvivo alle tue sere celesti,
ai radi battelli del tardi
di luminarie fioriti.
Quando pieghi al sonno
e dai suoni di zoccoli e canzoni
e m’attardo smarrito ai tuoi bivi
m’accendi nel buio d’una piazza
una luce di calma, una vetrina.

Fuggirò quando il vento
investirà le tue rive;
sa la gente del porto quant’è vana
la difesa dei limpidi giorni….(Inverno a Luino)

Un secondo tema che avvicina i due artisti è quello della femminilità... “le donne. Spigolose, tornite, severe, nobili, cupe, solitarie, permalose, nude, morbide, infreddolite. Ogni donna ha la sua storia, i suoi misteri, il suo fascino. Ma, di nuovo, Rognoni non ha mai ridotto la pittura al soggetto. La donna, al di là del suo enigma, è forma nello spazio, è una linea nel famoso vuoto cosmico. Alberto Giacometti gli aveva consegnato il segreto delle sue figure sottili. La femme è un corpo aereo che palpita nel colore” ci spiega il critico d’arte.
Il riservatissimo Sereni descrive tale emozione negli anni giovanili ricorrendo a due figure del mito: Diana e Proserpina. Sono figure di giovani donne appena accennate, fortemente idealizzate, scelte per affinità elettive o per la loro inquietante  prematura fine che pur contribuiscono in modo determinante alla definizione del suo orizzonte formativo e poetico, ma che si potrebbero infine riassumere nell’unica figura della moglie, che entrerà definitivamente nel progetto della sua vita adulta di marito e padre.

Torna il tuo cielo d’un tempo
sulle altane lombarde,
in nuvole d’afa s’addensa
e nei tuoi occhi esula ogni azzurro,
si raccoglie e riposa…
Torni anche tu, Diana,
tra i tavoli schierati all’aperto
e la gente intenta alle bevande
sotto la luna distante?
Ronza un’orchestra in sordina;
all’aria che qui ne sobbalza
ravviso il tuo ondulato passare,
s’addolce nella sera il fiero nome
se qualcuno lo mormora
sulla tua traccia… (Diana, 1938)

Diana e Proserpina sono il simbolo che rende in concreto il mondo espressivo poetico, emerso alla luce da una necessità progettuale e reale di vita. Esse sono in un certo modo  la sublimazione di un quotidiano avvenuto e messo in sospensione dalla memoria, dalla “instancabile memoria poetica” che Sereni sceglierà  come elemento di sostanziale laboratorio creativo.
Diana e Proserpina sono entrambi figure che chiaramente rimandano ad una simbologia femminile di grande forza e spessore e  di grande coraggio e prontezza d’animo, più a livello attivo che contemplativo. Diana come Proserpina sono donne sole, tolte a un diverso destino, per proseguire da sole verso un loro futuro riconosciuto e cercato nonostante  i limiti esterni.
Diana è cacciatrice e solitaria; Proserpina è rapita ed abbandonata, ma anche contesa tra due amori che la portano alla sofferenza e alla sopportazione, un dolore che si rinnova in modo intermittente arginando  una sofferenza  acuta e potenzialmente esplosiva.

La sera invade il calice leggero  
che tu accosti alle labbra.
Diranno un giorno: – che amore
fu quello… –,  ma intanto
come il cucù desolato dell’ora
percossa da stanza a stanza
dei giovani cade la danza,
s’allunga l’ombra sul prato.
E sempre io resto
di qua dalla nube smemorata
che chiude la tua dolce austerità.

Anche nelle  raffigurazioni di Rognoni c’è questa dimensione giovanile della ricerca della donna ideale, mitica: eccolo utilizzare i suoi favolosi azzurri alla ricerca della purezza, del sogno, immagini investite dalla luce, vibrante e misteriosa.
 Il suo viaggio però proseguirà in due direzioni: quello più carnale, sensuale, erotico ed  ambiguo, nervoso, la donna oggetto di desiderio, proprio della maturità, e quello dell’inserimento della donna ideale in un paesaggio cittadino pieno di contraddizioni, di realtà ostile ed di colori che si  fanno aggressivi e violenti. La figura femminile perde via via  la morbidezza di linee, la luminosità caratteristica della prima, sua simile, colta nella lontananza dello spazio chiuso.
I tratti del disegno tendono alla deformazione secondo moduli espressionistici, che la assimilano all’uomo, di cui essa simboleggia la sete frustrata di eros, ma anche la donna col  suo volto tormentato, che sembra contraddire il suo splendido isolamento, sembra conoscere il vuoto interiore, al centro di tutte queste linee che si intersecano, intrecciano, sovrappongono, accompagnando la solitudine, tormento e musa del pittore.
La lunga galleria di ritratti di Rognoni non può che riportarci  “alle descrizioni icastiche di molti personaggi chiariani”.
“ Rognoni ritrae i personaggi per quello che sono, cogliendo quel particolare che ne esalta il carattere, li penetra nell’intimo, li documenta per quello che sono sottraendoli a giudizi beffardi cui Chiara era solito, invece, propendere. Una maggiore consonanza si riverbera, con la tavolozza poetica di Sereni. con la propria “tavolozza cromatica fatta di ironia, di satira, di nostalgie... di raffinate malinconie”.

M. Grazia Ferraris


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