Un
mondo migliore, ed Bompiani, 2019, di
Silvia Sereni
Un
titolo generico, purtroppo, frutto credo di una scelta editoriale, facile,
neutra, che non mette in evidenza l’originalità del contributo dell’Autrice,
Silvia Sereni, la figlia appena scomparsa di Vittorio, la seconda delle tre
figlie di Vittorio Sereni, giornalista e collaboratrice di riviste letterarie,
che tratteggia un periodo storico letterario, quello degli anni ’60-’70 e
alcuni luoghi di incontri letterari, come Bocca di Magra, tra Liguria e
Toscana, luogo di villeggiatura privilegiato di Vittorio Sereni e di alcuni
amici di lunga data, come Bertolucci, Fortini, Vittorini…., posto tra
Montemarcello e la piana dove inizia il paesaggio delle spiagge verso Forte dei
Marmi, e gli inverni a Milano, dove il poeta Sereni per oltre un ventennio, a
partire dal 1958, ha lavorato da editor
in Mondadori. Il padre non
compare fra i ritratti, ma viene evocato nella sua complessa personalità in più
episodi.
Alcuni
dei personaggi che compaiono nei 31 testi, in genere brevi, - Bartolo Cattafi, Piero Chiara, Giovanni
Raboni, Dante Isella, Carlo Fruttero,
Franco Lucentini, Oreste del Buono, Giuseppe Pontiggia, Daria Menicanti, Lalla
Romano, Mario Soldati…-, sono ancora
molto noti e citati: qui vengono tratteggiati in presa diretta, e resi incisivi
dalle illustrazioni di Giovanna Sereni, l’altra figlia di Sereni, cui Luino, il
paese natale, ha dedicato da novembre una bella mostra dal titolo “Gli amici
scrittori”, curata da Chiara Gatti, storica e critica dell’arte. Sono ritratti
dei protagonisti di una società letteraria della prima metà del Novecento, espressione di una
realtà amicale e letteraria che non
esiste più. La vita intellettuale fu
vissuta anche all’insegna della letteratura intesa come amicizia, oltre che
come valore estetico-letterario, e il libro ricostruisce atmosfere, abitudini,
incontri, personalità e ambienti vicini nel tempo e però lontani dallo spirito
di oggi, in un’atmosfera giocosa, di una
rarefatta poesia della vita relazionale.
Silvia
racconta storie, che recupera dai suoi
ricordi di bambina, commenta immagini
senza metterci di mezzo l’ego ipertrofico di chi, figlia di un Poeta
riconosciuto e importante, ha vissuto una vita tra grandi personaggi della
letteratura che lei conosceva bene, anche nel quotidiano, per la loro frequentazione della casa
paterna.
Racconta
garbo, riservatezza, un pizzico di umorismo, con un sorriso sereno, interiore, intimo. E non deve
essere stato facile.
Le
scene conviviali, si ripetevano in quei limitati paraggi marini, immerse in
dolcezze casalinghe, fra pensieri intimi e familiari o lavori editoriali, nel
“meriggiare assorto” di vacanze estive con
mogli e figli. Abitudini, simpatie che
il poeta Sereni coltivava per affinità e nostalgie, come si desume rileggendo quel capolavoro che è il poemetto
sereniano Un posto di vacanza.
Manca
Vittorio tra i ritratti. Una decisione, una scelta di Silvia.
Ma il rapporto col padre emerge nondimeno molto
vivamente: “da un lato – scrive l’autrice – la distanza tra me e lui era, per
via del nesso parentale, ravvicinata, dall’altro, nello stesso tempo, era
smisurata. Il rapporto era esclusivamente quello che ci può essere con un
padre. Un padre paziente, tenero, per nulla pedagogico o autoritario,
estremamente rispettoso dell’autonomia che considerava giusto lasciare a noi
figlie. Quindi una relazione fatta di consuetudine e di famigliarità ma che non
contemplava un confronto diretto di idee o di modi d’essere”.
La
personalità complessa, problematica di Vittorio Sereni e il suo rapporto con la
famiglia risultano anche da un episodio riportato poco più avanti: la moglie
del poeta, Maria Luisa, legge una sua poesia alla figlia, e dà la propria
interpretazione; poi chiede all’autore, che sta lavorando nello studio lì
accanto: “Non è così, Vit?” Il poeta risponde: “Anche”. In quella risposta c’è
tutto il Sereni che assume la categoria del possibile e della variazione del
punto di vista come necessari per l’interpretazione della realtà. Ricompare
la figura di Sereni poeta ancora di scorcio, nella presentazione di Carlo Frutteto, che era spesso ospite a
Milano in casa Sereni , ben accetto con la sua amabile, ironica disponibilità e
col suo linguaggio interessante,
affabulatore.
Lo
ricorda in particolare in un pomeriggio inoltrato tra nebbia e acqua a Rimini, che cammina
spedito con le code svolazzanti del loden alla Sherlock Holmes, immagine che l’Autrice assocerà a un’altra
occasione di incontro e poesia e che comparirà in ricordo in una poesia Addio
Lugano bella di Sereni:
“Ne
vanno alteri i gentiluomini nottambuli/ Scesi con me per strada /da un quadro/
visto una volta, perso/ di vista, rincorso tra altrui reminiscenze/ o soltanto
sognato”.
Ricorderà
ancora il personaggio in un capitolo
divertente, quello che racconta
un’intervista da lei tentata a Fruttero e Lucentini per il settimanale Epoca
nel 1991, in occasione dell’uscita del romanzo Enigma in luogo di mare.
“Spero
che avrà preparato delle belle domande”, esordisce Fruttero. “E soprattutto
spero che non ci affliggerà anche lei con noiose domande sulla teoria del
giallo, di cui non ce ne frega niente”.
Poi
impartisce le sue istruzioni alla povera intervistatrice: “Quello che deve far
capire ai lettori è che Fruttero e Lucentini fanno dei personaggi credibili cui
la gente si appassiona. Giallo o non giallo, perché si leggono i romanzi di
Fruttero e Lucentini? Ma è chiaro, perché sono fatti bene i personaggi…”
Vittorini |
Bo |
Frutteto/Lucentini
Lalla
Romano
Pontiggia
I
brevi capitoli compongono un cosmo
ideale d’intelletti poetici, partecipi, caldi, fatti di traversate
intellettuali affettive e letterarie. Da questo libro può certamente partire il
viaggio di lettura per ciascuno di noi e un approfondimento verso quelle pagine
che i tanti scrittori rievocati hanno diffuso stemperandole nelle loro diverse
opere.
Silvia
ce li presenta via via.
Tra le
donne presenta: Daria Menicanti, Lalla Romano,
Anna Banti, Laura Grimaldi, Maria Cumani… Il più riuscito mi sembra il
ritratto di Daria Menicanti, la poetessa riservata, “esile magrissima, dallo
sguardo aguzzo e azzurro dietro le lenti degli occhiali”, con la sua
anima ambientalista, col suo cane Fuchs, che era tutta la sua famiglia, amica
della famiglia Sereni, amica del padre
in particolare, da sempre, col quale condivise i lontani studi giovanili a Milano facendo parte di
quel gruppo di giovani intellettuali che uscirono dalla Statale negli anni
Trenta e dagli insegnamenti di A. Banfi. Ma straordinario è anche quello di
Lalla Romano, “sicura, per nulla timida, eppure per nulla aggressiva o
arrogante…come scrittrice era temeraria. Scriveva liberamente di cose reali, di
persone vere, …senza mai chiedersi cosa gli altri, e in particolare le medesime
persone che dipingeva, avrebbero potuto pensare…”. Era uno spirito libero, che
si univa idealmente al mondo settecentesco razionale e poco romantico che
prediligeva, di grande modernità, originale e unica: era lei, e basta.
Il ritratto che più colpisce è certo quello di Elio Vittoriani, presente sia
a Bocca di Magra, dove aveva inaugurato
gli incontri per la villeggiatura, sia a Milano nell’abitazione davanti
alla Darsena, dove riceveva e lavorava coi tantissimi amici: ha un sorriso ironico sotto i baffi, in testa uno
scolapasta. Perplessi si va a leggere il
testo: nel testo si racconta di una recita estemporanea dell’Orlando furioso a
Bocca di Magra, in cui Vittoriani, spiritoso e giocoso, si era truccato con il più casalingo degli elmi. Ma si legge
anche del suo impegno, costante, del
significato vero suo lavoro: “ scrivo perché credo in “una” verità da dire; e
se torno a scrivere non è perché mi
accorga di “altre” verità che si possono aggiungere, ..ma perché
qualcosa che continua a mutare nella verità mi sembra esigere che non si
smetta mai di ricominciare a dirla…”
Attilio
Bertolucci (“con la sua aria da gentiluomo di campagna”), il primo dei ritratti
di Silvia, l’amico di sempre del padre, è rievocato nell’atto di raccontare un
aneddoto…..con stile, con sapienza narrativa, “non voleva che in alcun modo
venisse guastato un certo climax che aveva deciso dovesse accompagnare la
narrazione. Amava il romanzo, lo stile del romanzo, lo svelamento al momento
giusto, il buon finale”. Ancora Bertolucci viene sorpreso mentre dichiara: “Io
non ho amato altro al mondo che la mia famiglia” a commento della sua poesia.
“Eppure
– annota l’autrice – dietro la facciata tranquilla, solare, c’era il male di
vivere, un grumo oscuro di disagio, di inquietudine…. La sua poesia era fatta
di rose, di erba, di acqua, di farfalle, di nuvole, ma era poesia, quindi era
fatta di ombra, di dolore, di solitudine, di paure..”
Interessante
il capitolo dedicato a F. Fortini “ l’uomo dell’altra riva”,
sia in senso geografico ( passava la villeggiatura a Fiumaretta, sull’altra riva del Magra, di
fronte a Bocca, vicina e lontana contemporaneamente, dato che bisognava
utilizzare il traghetto per arrivarci), sia per la sua sincera e talvolta
burrascosa presenza presso l’amico
Sereni, che nonostante la differenza di carattere, di stile, era da lui
profondamente stimato, e dal quale era assolutamente ed indiscutibilmente
corrisposto. “..non siamo proprio simili, scriveva Sereni, che ci sono momenti
e atteggiamenti (non calcolati) miei che ti irritano e tuoi che mi irritano… ma
sappiamo anche che il reciproco giudizio globale non è mai stato scalfito da
queste irritazioni.” Viene disegnato da Giovanna Sereni alla macchina da
scrivere, che lancia aeroplanini di carta guardando l’osservatore da sopra gli
occhiali con aria di sfida. Ironia ed amicizia.
Di Giovanni Raboni – elegante, appartato,
eppur impegnato, un po’ misterioso, che l’autrice conosce da sempre e che
abitava nella stessa casa milanese di via Paravia dei Sereni, vicino allo
stadio di San Siro – l’autrice racconta di quando scendeva la domenica dal
settimo piano al secondo, incontrava il padre, poeta interista, per andare
insieme a vedere la partita, del suo amore per Proust, del lucido e commosso
discorso commemorativo tenuto a Luino per la morte del padre, della eticità non
solo contenutistica, ma anche formale che lo caratterizza, e che rifugge da
abbellimenti ad effetto della sua scrittura e del Poeta amico, della loro
vicinanza sul tema della memoria e della necessità di “passare il testimone”.
Si
capisce alla fine perché di quel titolo Un mondo migliore: è il rimpianto
di una diversa umanità, più nobile, meno
litigiosa, più amicale, lontanissima dalla volgarità corrente. Questo è, forse,
il mondo migliore che il titolo propone.
M.
Grazia Ferraris (nov. 2019)
Cara Amica! Non solo è sempre un piacere leggerti, ma è anche un continuo arricchimento.
RispondiEliminaI tuoi studi, recenti e meno recenti, si stanno avviando verso il completamento di una "storia letteraria" di cui non esiste l'uguale, per ricchezza di informazioni nuove, anche piacevolmente aneddotiche, segno di una appassionato e appassionante spirito di ricerca...
Con la mia affettuosa amicizia i complimenti sinceri di profonda stima.
Edda Conte.
Nel parlare di questo interessante, edificante, spaccato di vita letteraria narrato da Silvia Sereni, figlia del notissimo Vittorio, e illustrato dalla sorella Giovanna, Maria Grazia Ferraris avverte che "il libro ricostruisce atmosfere, abitudini, incontri, personalità e ambienti vicini nel tempo e lontani dallo spirito d'oggi, in un'atmosfera giocosa, di una rarefatta poesia della vita relazionale". Si tratta di un momento magico della vita culturale italiana, come ce ne sono stati altri (possiamo citare Via Margutta, negli splendidi decenni del dopoguerra romano) dove la cultura era vissuta all'insegna dell'amicizia e della convivialità, in quella condivisa visione del mondo che intende l'umanesimo innanzitutto come umanità. Dove sia finito, oggi, quel mondo nessuno lo sa, ma queste belle riflessioni della Ferraris, sulla scorta del "mondo migliore" ricordato da Silvia Sereni, ci aiutano a non disperare e a ricercare nei meandri nascosti del nostro spirito quei sopiti bagliori di autenticità.
RispondiEliminaFranco Campegiani