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mercoledì 15 gennaio 2020

MARCO DEI FERRARI LEGGE: " I DINTORNI DELLA VITA. CONVERSAZIONE CON THANATOS" dI NAZARIO P.


DA THANATOS ALLA LUCE: LA SFIDA DI NAZARIO PARDINI

Nazario Pardini non poteva, nella sua filosofia lirica, ignorare la presenza inalienabile dominante della morte quale vertice finale di tutti gli esseri viventi.
Il poeta affronta la morte sfidandola in un dialogo lirico avvincente e assoluto con affondi di profondità inaccessibili che ne turbano il tessuto cogni-psicologico nell' evocazione (il fratello scomparso... il tempo... la famiglia...) e nella custodia indissolubile della memoria.
Tutta l'esistenza si amplifica nella visione del poeta in "progressioni" che la morte contesta con la sua potenza ricevuta dalla Natura nell'Essere e con la sua indiscussa capacità di annullare e vanificare qualsivoglia "elevazione" terrena.
Gli esseri peraltro sono dipendenti da una volontà superiore che la Natura gestisce per delega universalmente accettata e non possono sfuggire al proprio "destino" crudele e cinicamente beffardo. 
Ecco dunque il poeta contrastare questa visione terrifica sia con scenari dolci e luminosamente solari (andiamo insieme Delia) sia con la difesa della Storia poetica del sentimento, della narrazione, delle immagini più feconde (infangare Calliope) sia con la sofferenza dell'ignoto misterioso (doloroso il viaggio) saturo di rimpianti e ricordi lancinanti e nostalgici di stragi ed inutili perché. Thanatos padrone dell'essere, ribalta ogni tentativo della lirica poetica impedendo la "fuga", il sogno dei desideri e della serenità infinita e spegnendo la speranza originaria quasi a "condizionare" la creatività istintiva di Pardini.
Ma la risposta è simultanea nel rifiuto emotivo di scrivere: il Poeta non scriverà sulla morte ma sulla "primavera", sul tessuto cromatico della Natura perenne dei "Prati Verdi".
Tuttavia l'esistenza pone le sue condizioni: l'infermità di "ogni giorno", la meditazione sul "mistero" che avvolge ogni vissuto (ho visto) negli intercalari più interiorizzabili (il colloquio... il foglio...) che allungano ogni storia individuale per approdare all'accettazione dell'estrema sofferenza (oggi ti approvo morte...).
Thanatos anche espone le sue indiscutibili motivazioni brevità della vita, inutilità del conforto, limitazione estensiva dello "spirito" ridotto a scintilla, denuncia dell'egoismo umano che pretenderebbe la prolissità esistenziale...
Pardini liricamente risponde con "citazioni" virgiliane e dantesche e con visioni di eccezionale partecipazione alla celebrazione ritualizzata della finitudine sempre nell'ambito di un arcano divenire che dall'Essere si estende al creato e alle sue sideralità universali.
Drammi e prodigi (la rosa...) sono l'alter ego di Thanatos che vuole spargimento di sangue per esseri indifesi e indifendibili, in uno scenario infernale di distruzioni, ceneri, scempi e stragi continue dove nulla resiste al suo potere (il suo "canto").
E qui il poeta si sorprende nell'ascoltare la confessione storica della morte dalle origini dell'umanità (la mia esperienza) alla contemporaneità che nulla può a difesa degli esseri viventi, con un "appello" e un consiglio per vivere al massimo di saggia felicità il poco tempo concesso senza sciuparne il senso.
Le stupide auto-riflessioni o negatività riflesse ne abbreviano infatti notevolmente la durata.
Ma non tutto termina con la "confessione" mortale perché il Poeta si immagina "custode" di vita ed eros nella gioia sino ad indicare alla stessa Thanatos la "via" maestra del vivere consentito anche alla sua propria attività ferale.
Perché non avere passioni, né cuore, né provare la bellezza di una storia (se ti guardi dattorno...)?
Ed anzi a suggello della propria sfida ulteriore Pardini si sostanzia con grande fantasia creativa interiorizzata nella plasticità delle forme immaginifiche e partecipa ad una "fila indiana" interminabile innanzi ad una "sacralità", insidiata dalla morte in agguato, ed accessibile a pochi...
L'asprezza dell'ascesa falciata a più non posso dalla morte guadagna il vertice (su la cima) con grande fatica per l'epifanico messaggio dell'Essere cui la morte s'inchina, che "apre i cieli" (come ci narra il Poeta) nell'ultima lirica del suo articolato, inaccessibile compendio ("si aprono i cieli").
Una lirica profetica di fondamentale ontologicità dove tutto il tempo nella sua Storia si ricompone tornando alla "luce originaria, smarrita e riaccesa, acquisita e perduta.
Una luce di spiritualità immensa che penetra tombe, famiglie, anime, Arte (musiche), l'universalità stessa.
La filosofia lirica del poeta se affida poi alla gloria di questa luce e al conseguente tripudio universale: la morte è sparita nello splendore del Tutto e nella sfolgorità del mare terrestre luminoso che l'amore (la forza più grande e dirompente del Creato) ravviva in una celestiale sinergia ricca di misteriose pulsioni stellari.
Thanatos è stata sconfitta e la pace "lirica" conforta la serenità creativa dello Spirito di Nazario, Poeta e filosofo intrecciato nell'Essere Altissimo dell'autenticità non solo terrestre.
Lo "scenario" dunque ritrova l'equilibrio dell'esistenza tra gioia e dolore, odio e amore, silenzio e rumore, attimo e tempo, oscurità e luce.
Nella "luce" della vita infatti anche l'oscurità della morte rinnova il suo "essere" minore che l'Essere Massimo impone e Pardini ci propone con la globalità dei suoi versi.

 Marco dei Ferrari

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