DA THANATOS ALLA LUCE: LA SFIDA DI
NAZARIO PARDINI
Nazario Pardini non poteva, nella sua
filosofia lirica, ignorare la presenza inalienabile dominante della morte quale
vertice finale di tutti gli esseri viventi.
Il poeta affronta la morte sfidandola
in un dialogo lirico avvincente e assoluto con affondi di profondità
inaccessibili che ne turbano il tessuto cogni-psicologico nell' evocazione (il
fratello scomparso... il tempo... la famiglia...) e nella custodia
indissolubile della memoria.
Tutta l'esistenza si amplifica nella
visione del poeta in "progressioni" che la morte contesta con la sua
potenza ricevuta dalla Natura nell'Essere e con la sua indiscussa capacità di
annullare e vanificare qualsivoglia "elevazione" terrena.
Gli esseri peraltro sono dipendenti da una
volontà superiore che la Natura gestisce per delega universalmente accettata e
non possono sfuggire al proprio "destino" crudele e cinicamente
beffardo.
Ecco dunque il poeta contrastare questa
visione terrifica sia con scenari dolci e luminosamente solari (andiamo insieme
Delia) sia con la difesa della Storia poetica del sentimento, della narrazione,
delle immagini più feconde (infangare Calliope) sia con la sofferenza
dell'ignoto misterioso (doloroso il viaggio) saturo di rimpianti e ricordi
lancinanti e nostalgici di stragi ed inutili perché. Thanatos padrone dell'essere, ribalta
ogni tentativo della lirica poetica impedendo la "fuga", il sogno dei
desideri e della serenità infinita e spegnendo la speranza originaria quasi a
"condizionare" la creatività istintiva di Pardini.
Ma la risposta è simultanea nel rifiuto
emotivo di scrivere: il Poeta non scriverà sulla morte ma sulla "primavera",
sul tessuto cromatico della Natura perenne dei "Prati Verdi".
Tuttavia l'esistenza pone le sue condizioni:
l'infermità di "ogni giorno", la meditazione sul "mistero"
che avvolge ogni vissuto (ho visto) negli intercalari più interiorizzabili (il
colloquio... il foglio...) che allungano ogni storia individuale per approdare
all'accettazione dell'estrema sofferenza (oggi ti approvo morte...).
Thanatos anche espone le sue
indiscutibili motivazioni brevità della vita, inutilità del conforto,
limitazione estensiva dello "spirito" ridotto a scintilla, denuncia
dell'egoismo umano che pretenderebbe la prolissità esistenziale...
Pardini liricamente risponde con "citazioni"
virgiliane e dantesche e con visioni di eccezionale partecipazione alla
celebrazione ritualizzata della finitudine sempre nell'ambito di un arcano
divenire che dall'Essere si estende al creato e alle sue sideralità universali.
Drammi e prodigi (la rosa...) sono
l'alter ego di Thanatos che vuole spargimento di sangue per esseri indifesi e
indifendibili, in uno scenario infernale di distruzioni, ceneri, scempi e
stragi continue dove nulla resiste al suo potere (il suo "canto").
E qui il poeta si sorprende
nell'ascoltare la confessione storica della morte dalle origini dell'umanità (la
mia esperienza) alla contemporaneità che nulla può a difesa degli esseri
viventi, con un "appello" e un consiglio per vivere al massimo di
saggia felicità il poco tempo concesso senza sciuparne il senso.
Le stupide auto-riflessioni o
negatività riflesse ne abbreviano infatti notevolmente la durata.
Ma non tutto termina con la
"confessione" mortale perché il Poeta si immagina "custode"
di vita ed eros nella gioia sino ad indicare alla stessa Thanatos la "via"
maestra del vivere consentito anche alla sua propria attività ferale.
Perché non avere passioni, né cuore, né
provare la bellezza di una storia (se ti guardi dattorno...)?
Ed anzi a suggello della propria sfida
ulteriore Pardini si sostanzia con grande fantasia creativa interiorizzata
nella plasticità delle forme immaginifiche e partecipa ad una "fila
indiana" interminabile innanzi ad una "sacralità", insidiata
dalla morte in agguato, ed accessibile a pochi...
L'asprezza dell'ascesa falciata a più
non posso dalla morte guadagna il vertice (su la cima) con grande fatica per l'epifanico
messaggio dell'Essere cui la morte s'inchina, che "apre i cieli" (come
ci narra il Poeta) nell'ultima lirica del suo articolato, inaccessibile compendio
("si aprono i cieli").
Una lirica profetica di fondamentale
ontologicità dove tutto il tempo nella sua Storia si ricompone tornando alla "luce
originaria, smarrita e riaccesa, acquisita e perduta.
Una luce di spiritualità immensa che
penetra tombe, famiglie, anime, Arte (musiche), l'universalità stessa.
La filosofia lirica del poeta se affida
poi alla gloria di questa luce e al conseguente tripudio universale: la morte è
sparita nello splendore del Tutto e nella sfolgorità del mare terrestre luminoso
che l'amore (la forza più grande e dirompente del Creato) ravviva in una
celestiale sinergia ricca di misteriose pulsioni stellari.
Thanatos è stata sconfitta e la pace "lirica"
conforta la serenità creativa dello Spirito di Nazario, Poeta e filosofo
intrecciato nell'Essere Altissimo dell'autenticità non solo terrestre.
Lo "scenario" dunque ritrova
l'equilibrio dell'esistenza tra gioia e dolore, odio e amore, silenzio e rumore,
attimo e tempo, oscurità e luce.
Nella "luce" della vita
infatti anche l'oscurità della morte rinnova il suo "essere" minore
che l'Essere Massimo impone e Pardini ci propone con la globalità dei suoi
versi.
Marco
dei Ferrari
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