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lunedì 6 gennaio 2020

NAZARIO P. LEGGE: M. LUISA DANIELE TOFFANIN: "LA STANZA ALTA DELL'ATTESA",



Prosimetro. Una storia, una vita, una preziosa avventura di canto e meditazione; di affetti e incontri; di vicissitudini di rara valenza memoriale. Sarebbe lungo dissertare su questo antico genere letterario che affonda le radici nei primordi della  nostra letteratura e vanta nomi di grande prestigio: da Severino Boezio a Brunetto Latini, da Dante a Boccaccio…fino a Dino Campana (Canti orfici), e a John Ronald Tolkien (Il signore degli Anelli). Insomma  un equilibrato connubio di prosa e poesia. E qui c’è proprio questo ensemble misurato e compatto; proporzionato e lirico di una scrittrice che ha fatto della vita un serbatoio da donare alle richieste del canto. La Toffanin si narra a vele spiegate; racconta un mondo di episodi da storicizzare; da donare ad una poesia fresca e cristallina, maturata su abbrivi di intima valenza; su valori che sempre l’hanno distinta: fede, amore, gioie e dolori, naturali messaggi di simbolica struttura esistenziale; il suo canto è di una euritmia avvolgente e convincente, di una sonorità che fa da  appoggio a tanta esplosione umana. D’altronde molte sono le connessioni epigrammatiche che vengono a galla e chiedono di tornare a vivere: la Nostra dà loro la forza della narrazione e della poesia. Quello che si ripropone è di tramandare ai figli, ai nipoti, alla storia fatti e vicende succedutisi nel corso degli anni, tormentata dal fatto che così importanti avvenimenti possano essere ingoiati dalla insaziabilità dell’oblio. LA STANZA ALTA DELL’ATTESA FRA MITO E STORIA, il titolo di questa miscellanea. Si inizia da una splendida lirica dedicata alla sua Padova:

Mia città dell’utopia
mondo limpido di gente fida
il sentire sincero umile
pur d’interiore spessore
gli occhi non baluginavano
ancora d’arroganza.

“Nacqui nella stanza alta sotto l’ala della Madonna azzurra, non quella di Antonello ma opera di anonimo ceramista, dono di nozze ai miei genitori per la camera degli sposi, non di Mantova, del Mantegna, ma di Padova, centro storico, via Aristide Gabelli 15. Nacqui nel letto grande ove si compie il rito dell’amore, nasce la vita nuova e l’ultimo respiro si spegne…”, confessa la Toffanin. La prosa si fa lirica, poeticamente intrisa di un’intimità  acchiappante, per lasciare spazio a La madre vestale della casa, dove risplende la calda voce di un’anima tutta volta a ritrovare se stessa e il mondo primigenio di antiche figure familiari. Sacre lettere scrigno, bombe mortali, casa  gomitolo di speranza, sollievo di amicizie, la vita di via Gabelli, stanze amicali, luoghi mitici, presenze sbiadite dal tempo, zii Leone e Nino… tutto si muta in immagine; una realtà vissuta che, col tempo, ha assunto lo stato di grazia per fioriture liriche.

(…)
E nel periodo magro postbellico
era già festa l’andare insieme uniti
sostare in sincere parole e saluti
in slarghi d’amicizia sempre allargati.

Ancora all’ombra dei portici nelle piazze patavine
alitano echi di voci autentiche riverberi
di questo ardore riacceso dal ritrovarsi vivi
nella vita rinata a un’aria frizzante di attese.

Vagare nel travaglio della memoria
non è poeta ricerca del tempo perduto
sofferta nostalgia del passato fioritura non più rifiorente
ma ricupero di calchi da calcare, cifra di un vivere altro
per quelle presenze, oggi conforto al dopo
cum-divisione di gioia e dolore  
per una nuova umana dimensione.

Persino le cose negative, trafitte dalle frecce di un ritorno memoriale, assumono connotati di poetica valenza; di ontologica commistione scaldata da una saudade che si impadronisce della mente dell’Autrice. Un nostos di empito umano che attraverso un mare non sempre liscio riesce ad approdare ad un porto di luce e di speranza: “… Ci ritrovammo in un’altra Stanza bassa a raccontarci ancora la vita in un cratere indicibile di attese, con un patrimonio già consolidato di amicizia, cultura, bellezza, accumulato in tempi non facili. Inevitabili le nuove difficoltà, superate poi nel tempo che sempre tutto leviga e risana. Però è vero, facevano bene loro, i grandi, a credere nei miracoli!”. Quei miracoli che fanno della vita un patrimonio unico e prezioso di cui la Toffanin è cosciente e di cui si convince sempre più a mano a mano che la narrazione si fa zeppa di fatti e di emozioni; di raccolte intimità familiari che il tempo con le sua fauci a poco a poco ci sottrarrebbe se non cristallizzate in pagine di storia:


(…)
La Befana! Fu esplosione muta del gruppo.
Apparizione solo di un attimo
infinito poi scomparsa.

Un sogno? Un’emozione unica
intima e corale
che per i cugini smaliziati
fu segreta domanda sulla realtà.
Ma non conta risposta
fu il vissuto insieme nell’ora più tarda
fu l’inatteso di un’attesa rituale
che lasciò dentro per sempre
un insieme di gioia e turbamento.


Tanta poesia, tanta storia e tanta confessione emotiva fanno di quest’opera un approdo di forte connotazione umana e artistica a cui la Nostra è pervenuta dopo anni di lavoro e di creatività; pagine di vera intuizione dove la memoria si fa protagonista sfornando episodi da conservare; da tramandare per la loro epicità:


L’AMICIZIA SCORREVA PER LE ANTICHE VIE

L’amicizia scorreva come luce
per le vie antiche più oscure della città
e riaccendeva le piazze ariose e luminose
ove gli incontri più frequenti s’allargavano
per desiderio così vivo dell’insieme
per quell’aria lì di famiglia respirata
nobilitata dal palazzo della Ragione.

S’innalzava come faro nell’abside di Santa Sofia
ove l’amicizia si faceva preghiera
intorno al monsignore Pierobon
don Pietro e la sorella Letizia
stretti a tutti noi parrocchiani.

Lì al vento di guerra
si erano sposati i miei genitori
lì il mio fonte battesimale
la mia prima comunione
i miei giochi piccini bambini
sotto l’occhio esperto della Letizia
che sulle nostre orme sempre nel grande
giardino all’ombra dell’immenso noce.

Ma il legame più forte fra tutti noi e monsignore
fu il nipote Luigi giovane cattolico universitario
anima della resistenza fucilato con altri partigiani
fu quel mito ancestrale del dolore
che abbraccia gli uomini per sempre
e si fa memoria eterna più del nome dato ad una caserma.
  
La silloge è così divisa:

1-  Rituali in cui si formò un’anima
2-  L’attesa
3-  Luoghi-persone
4-  Giochi e stupori








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