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domenica 2 febbraio 2020

ORAZIO ANTONIO BOLOGNA LEGGE: "LIRICHE DI HAFEZ HAIDAR"


ORAZIO ANTONIO BOLOGNA
BREVI RIFLESSIONI SU DUE LIRICHE
DI HAFEZ HAIDAR

Orazio Antonio Bologna,
collaboratore di Lèucad

La poesia di Hafez Haidar, che affonda le salde e feconde radici tanto nella cultura orientale quanto in quella occidentale, offre numerosi spunti per una proficua e costruttiva riflessione. Le due culture, tanto nobili quanto diverse, sono espressione dello spirito umano e costituiscono due solidi pilastri, che, nell’animo e nella persona di Hafez, trovano una felice simbiosi, un’esemplare unità. Si può dire, senza tema di essere smentiti, che in Hafez oriente e occidente non sono due mondi contrapposti, antitetici, ma formano un ideale e invidiabile monolito, che nella sua persona vivono in piena armonia e feconda concretizzazione. La luminosità delle immagini, il mitico alone di mistero che le circonda e la mistica profondità del pensiero orientale, alimentato dalle conquiste culturali dell’occidente, dànno vita a componimenti profondi e, nello stesso tempo, semplici e di estrema raffinatezza.
Oltre ai precetti contenuti nel Corano, il libro sacro dei Musulmani, Hafez attinge a piene mani dai libri sapienziali della Bibbia, che, per la sua grandezza, è, a un tempo, libro storico e sacro, perché parola di Dio. A questa base già vasta bisogna aggiungere le conoscenze derivate dalla cultura cristiana, mutuata dall’attento studio del Nuovo Testamento e della dottrina cristiana, tanto complessa quanto affascinante. 
Bisogna notare che Hafez non si ferma alla semplice informazione oppure al semplice appagamento della sua curiosità, ma scende nel profondo mediante un’analisi attenta e dettagliata dell’insegnamento offerto da Padri della Chiesa e dalla speculazione tanto filosofica quanto teologica. In questo terreno ricco e fecondo vanno cercate le radici e le ragioni della poesia, che esce limpida e spontanea più che dalla mente dal cuore di Hafez.
Come un pellegrino e un allievo ai primi passi, e lui nella sua umiltà si sente e considera tale, si rivolge continuamente al Maestro, perché con la sua cultura, in modo particolare con la sua saggezza, lo guidi e illumini i suoi passi. Il Maestro è la guida spirituale, che lo aiuta a superare le innumerevoli difficoltà incontrate nel corso della vita coscientemente vissuta in tutta la sua ampiezza e con tutte le sue sfaccettature; gli permette di superare gli ostacoli presenti nei diversi momenti dell’esistenza; gli suggerisce, in maniera bonaria e profonda, come affrontare e risolvere i dubbi del presente.
Nelle acute riflessioni e negli accorati appelli al Maestro, il poeta tiene presente l’insegnamento ricavato dalla lettura e dalla proficua riflessione sui Padri del Deserto, i quali avevano a disposizione in ogni istante della giornata, oltre all’insegnamento di Cristo, un padre di provata saggezza, di vasta cultura e di indubbia virtù. Su questo sfondo culturale, ampio e soggetto ad arricchimenti, Hafez innesta le dottrine umane più recenti, inerenti al retto e consapevole vivere nella società. Emerge una vita sociale idilliaca, ma difficile da affrontare in tutta la sua ampiezza, perché, se l’uomo è, secondo la definizione di Aristotele, un essere razionale e sociale, nel momento nel quale vive per sé, vive anche per gli altri e quanto gli appartiene non è solo suo, ma anche degli altri.
In questa logica entrano anche i figli, dei quali nulla è più caro al cuore del padre e della madre. Questi, anche se sono stati generati, allevati ed educati, non sono né del padre né della madre, perché sono esseri liberi, dotati di una propria vita. Ogni figlio è una persona; e persona, secondo una luminosa affermazione di Boezio accolta dalla filosofia scolastica, est rationalis naturae individua substantia: un’individualità determinata fisicamente, cioè un essere dotato di ragione e fornito di corpo. Il figlio, quindi, perché dotato di ragione e di corpo, è libero, non è soggetto a nessuno. Come ens a se è nella società e della società, nella quale è inserito.
I genitori, però, non possono trincerarsi dietro questa realtà, per trascurarli o per non impartire loro l’educazione tanto morale quanto culturale. Considerato che essi per i figli sono la vita, devono anche essere, secondo un pregnante sintagma evangelico, la verità e la via. Questi devono concedere libertà ai figli, ma non devono nel modo più assoluto permettere loro di agire secondo i propri capricci o i propri istinti.
Non pochi oggi, acriticamente imbottiti delle più avanzate e strane teorie sull’educazione dei figli e, in modo particolare, sulla libertà, non si chiedono neppure chi sono i figli che hanno generato. I genitori responsabili e coscienti del proprio ruolo, nel momento nel quale stringono tra le braccia il frutto del proprio amore, si chiedono non come crescere, ma come amare prima ed educare poi la persona che hanno generato e accolto. Davanti a questo mistero insondabile della natura, il poeta, pienamente consapevole del suo ruolo di padre e di guida, non esita a dire di amare la propria creatura, come una giovane coppia, che chiede: «Maestro, insegnami ad amare mio figlio».
Ogni coppia, tutti i giorni, dovrebbe chiedere al Maestro di insegnarle come amare il proprio figlio, come circondarlo d’amore durante tutta la sua esistenza, perché la vita, che ogni giorno viene sulla terra, è amore, veicola amore, chiede amore.
Il Maestro, ricorrendo alla sua saggezza, dice ai giovani genitori: «Amatevi e abbracciatevi, in modo che possiate scoprire il segreto dell’esistenza e il melodioso canto della vita». Nel dolce momento dell’effusione, quando i due corpi si fondono nella donazione completa, l’uomo e la donna vivono insieme l’attimo più intenso dell’Amore e il figlio, che nasce da quell’Amore, è Amore e chiede un vero e grande Amore, sempre, anche se, come persona, è diversa da chi lo ha generato.
Hafez, come profeta, come maestro, impartisce un insegnamento molto semplice, come semplici sono gli insegnamenti dei Grandi, che lo hanno preceduto e dei quali segue fedelmente le orme. Considera continuamente e ripropone dopo accurata rielaborazione ciò che hanno insegnato i profeti dell’Antico Testamento, ciò che Gesù ha consegnato agli apostoli e alla Chiesa, ciò che si trova nel Corano e nella  letteratura orientale. Imbevuto, ammaestrato, arricchito e plasmato da queste dottrine, il poeta può con la serenità e la gravitas del Maestro dire ai genitori:
Non adiratevi con i vostri figli
perché hanno smarrito la retta via
ricamata dai vostri sogni e desideri.
In questi pochi versi Hafez tocca un tema sempre attuale, e doloroso: sovente i genitori si adirano con i figli perché questi non appagano i loro desideri e, in modo particolare, il loro orgoglio. Spinti da un incomprensibile e insensato egoismo i genitori, e non sono pochi, vogliono che i figli eseguano per tutta la vita quanto essi hanno progettato fin da quando erano nel grembo materno, senza rendersi conto che essi sono persone con la propria vita e le proprie prospettive. Non riescono a capire che le creature, che sovente allevano senza amore, sono dalla Natura dotate di libero arbitrio, davanti al quale, come insegna la filosofia, neppure Dio interviene. Quando un genitore non si rende pienamente conto che la loro libertà finisce là dove comincia quella dei figli, iniziano i dissidi e da questi l’offesa, la mancanza di rispetto, l’odio.
I genitori per i figli sono i fratelli maggiori, compagni di viaggio nella via tracciata loro dalla Provvidenza, finché non trovano la propria strada, la propria identità, la propria realizzazione; con la loro rettitudine morale devono essere un saldo punto di riferimento, un asilo sicuro; devono solo desiderare e sperare che i figli si realizzino secondo i doni forniti loro da Dio, senza interferire o condizionare scelte, che potrebbero rivelarsi fatali. I genitori devono affiancare i figli con saggi consigli e, soprattutto, con amore, nel nome del quale hanno dato loro l’esistenza terrena; devono affiancarli e orientarli con decisa autorevolezza, sostenerli con la dolcezza della carità. Anche nelle scelte sbagliate o quanto meno discutibili, i figli devono trovare genitori che sappiano ascoltare, comprendere e detergere le loro lacrime, che li facciano sentire in un porto sicuro.
I genitori sono stati designati dalla Natura come primi, e insostituibili, educatori dei figli; e non possono né devono demandare a nessuno questo compito di fondamentale importanza. La scuola con gli insegnanti si affianca, non si sostituisce a loro, anche quando questi sbagliano o imboccano vie poco consone alla dignità umana. Ma non pochi genitori, per nulla coscienti del ruolo che rivestono, preferiscono demandare agli altri il compito che la Natura ha assegnato loro. Per questo semplice motivo molti genitori, per non riconoscere il proprio fallimento e l’inadeguatezza del proprio intervento educativo, dànno libero sfogo all’ira, alla rabbia e, non di rado, alla violenza. Perciò Hafez come profeta, nelle vesti di maestro, rivolge ai genitori questi saggi e accorati consigli e ricorda loro che, qualora lo abbiano dimenticato, i figli sono solo ed esclusivamente dono di Dio:     
Non lasciatevi trascinare dalla rabbia
Colpendo le vostre creature
Perché hanno pronunciato 
Parole sgradite alle vostre orecchie.
Ricordatevi che essi non sono i vostri figli,
Ma sono i figli del Cielo.
Nel cuore del genitore non dovrebbe albergare mai la rabbia, il livore, l’ira, neppure davanti a errori, che per la loro abnormità potrebbero sembrare irrimediabili. Un adagio latino, non a caso, recita errare humanum est e i figli, forniti di un’esperienza molto limitata, sono più facilmente soggetti a errori. Per cui, anche quando dalla bocca dei figli escono parole poco consone al retto e sano comportamento, devono reagire con Amore, correggendoli senza adirarsi. Perché la correzione sia efficace, devono essi stessi essere specchio di urbanità sia nel comportamento che nell’espressione verbale. Devono, in sintesi, essere in ogni momento specchio di rettitudine.
La maleducazione, la trivialità, l’arroganza di molti ragazzi è avvilente, disarmante. Davanti alla violenza e al poco rispetto nei riguardi degli stessi genitori e delle persone anziane si rimane allibiti. Ciò non ostante moltissimi genitori, per non dichiarare e riconoscere il proprio fallimento per essere venuti meno a un compito così importante, alla loro missione, o gettano le colpe sugli altri o non si peritano a dire che i loro figli, in questo modo, dimostrano di possedere una forte personalità, un carattere deciso. In queste loro affermazioni, oltre a registrare ignoranza e fallimento, mostrano di aver dimenticato o di non aver, probabilmente, mai considerato che i figli sono stati dati loro da Dio come dono.
L’uomo, anche se lo ammette, conosce la debolezza della natura umana e insieme con la sua compagna non esita a chiedere al Maestro: «Come dobbiamo comportarci con i nostri fi­gli?». Questi, rivolgendosi loro con assennate parole, senza entrare in complesse disquisizioni filosofiche o pedagogiche, si limita ad impartire un insegnamento molto semplice, ovvio, e, oserei dire, apparentemente banale:
O padre, o madre,
a  voi tocca portare
il pesante fardello dei vostri figli.
Allevare un figlio, oggi soprattutto per le mutate condizioni socio-economiche, non è facile né per il padre né per la madre, la quale, costretta a trascorrere grandissima parte della giornata fuori casa per il lavoro, la sera, quando torna stanca e nervosa, non ha tempo da dedicare ai figli. Questi, soprattutto nei grandi centri urbani, sono, per lo più, abbandonati a sé stessi, quando non sono presenti nonni o parenti, cui affidarli.
Perché i genitori possano supportare e influire positivamente sui figli e orientare con sano equilibrio le loro scelte future, devono avere le reni dritte e forti, le spalle irrobustite dall’amore in senso orizzontale verso i componenti la famiglia e in senso verticale verso l’Alto, perché quanto viene generato è un dono, che viene unicamente dal Cielo, da Dio.
Anche se si considera l’unione sotto l’aspetto meramente meccanico, teso a soddisfare le esigenze fisiologiche e si vedono le scorie come residui di un processo fisico, la generazione di una nuova creatura ha in sé una potenza e una portata, che trascendono i limiti e le possibilità umane. Il Maestro con questi semplici suggerimenti osserva che compito dell’uomo non è ingravidare femmine, né compito di queste ricevere passivamente il seme d’uno qualunque. Ma compito preciso dell’uomo e della donna, cioè di entrambi i genitori, è generare con coscienza e con equilibrio. Questa innegabile realtà è un dono concretizzato in un lessema tanto poetico quanto banale nella bocca di sciocchi presuntuosi: l’Amore. Corroborati giorno dopo giorno dall’Amore, i genitori devono sempre essere accanto ai figli, in ogni occasione, sia essa bella o brutta, lieta o triste. Il poeta, con immagini tipiche del linguaggio e della poesia orientale, scrive che nel normale scorrere del tempo in tutte le famiglie: ci saranno mille inverni e mille primavere, le alterne vicende della vita, costellata di gioie e dolori.
Anche quando sull’orizzonte fosche si addensano le nubi, foriere di temporali e tempeste, e tuoni spaventosi scuotono le fondamenta stesse della famiglia, i genitori, consapevoli della loro responsabilità e della loro missione, devono rimanere saldi nelle proprie postazioni ed essere per i figli l’estate e l’autunno delle loro brame e dei loro sogni. Il poeta, che ogni giorno si nutre della luce emanata dalle antiche scritture, immagina che ogni famiglia rappresenti e viva come la Sacra Famiglia.
I figli, anche nelle più floride condizioni economiche e sociali, costituiscono un pesante fardello, difficile da gestire e sopportare. Perché ciò non accada, il poeta dice, per bocca del Maestro, ai giovani sposi di rinnovare continuamente la reciproca dichiarazione d’amore espressa nel primo incontro:
Io ti amo
da tanto tempo
e tu mi ami
da tanto tempo.
Perché non dichiariamo il nostro amore
alla luna,
alla pioggia,
al sole,
alla neve?
Perché ci nascondiamo come due petali rossi
nella corolla di una giovane rosa?
Nella naturalezza delle immagini di sapore prettamente orientale è trasfuso tutto l’incanto del vero amore, sul quale si fonda la famiglia e la felicità dei singoli componenti. Il vero amore col suo riverbero rende la casa un luogo accogliente, sereno, ideale per la sana educazione dei figli. I genitori, infatti, davanti ai figli non devono vergognarsi, né provare rossore a dichiararsi amore reciproco, a scambiarsi tenere effusioni, a sussurrarsi tenere parole, scambiarsi un abbraccio, un bacio. Sono questi semplici gesti che cementano giorno dopo giorno il legame profondo che li unisce e rinnova la dolcezza e i fremiti del primo, indimenticabile incontro.
Nella profonda semplicità di questi versi rivive quanto di più bello possa trovarsi nel cuore d’una creatura, d’una persona: l’amore gridato a pieni polmoni in ogni istante della vita e in tutte le circostanze, soprattutto nelle avverse, per nascondersi come due petali rossi / nella corolla di una giovane rosa.
Nella semplicità e linearità del suo insegnamento il Maestro, del quale Hafez si rende fedele interprete, spiega che ogni famiglia, ogni casa deve essere la corolla di una giovane rosa, nella quale ognuno ritrova sé stesso. Chiusi in questa corolla, tanto i giovani sposi quanto gli anziani genitori non avvertono il fragore del tuono, il freddo della neve, lo scroscio della pioggia. In questo caldo nido d’amore essi possono gridare al Sole, alla Luna, ai venti il loro puro ed eterno Amore.
Il Maestro, anche se non riferisce nessun esempio né con una metafora né con una similitudine, porta l’acuto lettore a stilemi facilmente ricavabili dalla storia dell’umanità. Gli exempla, e numerosi, si possono ricavare dalla Bibbia, dalle Mille e una notte, dalle saghe di ogni popolo, di ogni paese, di ogni comunità civile. Sarà, infatti, la rationalis natura del lettore a trovare nella miriade dei casi quello adatto alla sua vita, alla sua storia, al suo eterno presente. Il poeta, infatti, sollecita il lettore a frugare nella sua mente e costruirsi un paradigma di vita consono alla sua realtà, alle sue effettive possibilità, perché
Nell’amore non esistono segreti,                   
né vi sono misteri più grandi
di quelli racchiusi nei cuori di due innamorati.
Questa pericope nella sua brevità racchiude un universo intero, fondato sulla sincerità e sulla purezza: l’uomo e la donna, infatti, come sono nudi nel momento sublime della donazione fisica, così ogni giorno grazie alla reciproca sincerità, anche in mezzo alle folle, nudi devono guardarsi negli occhi e rinnovare con un semplice e tenero gesto la dolcezza e la durevolezza del loro amore. Entrambi devono, in ogni istante della vita, potersi dire con serenità e sincerità:   
Dammi la tua mano
ed io ti darò il mio cuore.
Io non sono il tuo schiavo
né il tuo padrone.
Io sono semplicemente
di te follemente
innamorato.
In questi pochi versi, che concludono la breve lirica, è racchiuso il complesso mistero dell’amore con un linguaggio e un tessuto narrativo semplice, ma efficace, che penetra nelle profondità dello spirito, per fecondarlo come un fiore viene fecondato dalla fresca e ristorante rugiada del mattino. 
Tutto il carme è pervaso di un sereno e delicato erotismo, che sollecita impercettibilmente i sensi, senza scadere nella volgarità. Con le belle metafore, le accattivanti similitudini, richiama alla mente la dolcezza dell’incontro, le gioie della donazione, i fremiti di un amore profondo, tenero, intimo. La breve pericope presenta un’immagine semplice, comune, priva degli orpelli della retorica, per penetrare diritta nel cuore del lettore, veicolare con la realtà dell’immagine il concetto chiave dell’esistenza umana, fondata solo ed esclusivamente sull’Amore, percepito, assaporato ed esaltato dalla concretezza dei sensi.
In questa capacità, insita in pochi intelletti, consiste l’essenza e il compito della paideia mediata dalla Poesia col suo linguaggio semplice, ma efficace.

Orazio Antonio Bologna  
           

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