Maria Rizzi, Il mare invisibile, Roma, Edizioni della
Sera, 2019
Questo è un libro di denuncia, una sorta di
reportage sotto forma di fiction. L’autrice, presidente del circolo IPLAC
(Italiani per la Cultura) e instancabile organizzatrice culturale – oltre che
scrittrice – preferisce questa definizione a quella di giallo. Eppure, nella
trama compaiono molti degli elementi tipici del genere intergenerazionale e
interclassista per antonomasia: i morti, le indagini, i colpevoli, la
soluzione.
Ma a ben vedere a sottostare all’ispirazione
del racconto c’è qualcos’altro: un profondo senso morale, un moto
d’indignazione verso le ingiustizie che attanagliano la nostra epoca e il
nostro benessere, svolgendosi sotto i nostri occhi spesso nella più totale
indifferenza. Bene e male sono sempre esistiti da quando mondo è mondo, così
come ricchi e poveri: ma oggi queste differenze assumono connotati ancor più
preoccupanti se le direttrici che muovono le disparità tra gli esseri umani
viaggiano con regolarità su scala globale, passando da porti e terre che una
volta (fino a pochi decenni fa) si sarebbero detti esotici a piccoli paesi
nostrani.
A preoccupare maggiormente è la nostra
reazione, di piccoli uomini o pericolosi nostalgici di crimini passati:
incapaci di accettare il diverso e pronti a difendere il nostro angusto
particolarismo, ergiamo muri e sfruttiamo, anziché aiutare. “Il mare
invisibile” parte proprio da un’esperienza personale della Rizzi, che l’ha
scritto per attrarre l’attenzione su una problematica odiosa ma purtroppo
attualissima, e per smuovere le nostre coscienze.
Dunque il romanzo si pone non come semplice
intrattenimento – a dispetto di talune caratteristiche formali alle quali si è
accennato prima –, ma quasi come saggio divulgativo di uno dei fenomeni più
obbrobriosi (e spesso trascurati dai media) del nostro tempo: spia di una
simile impostazione sono anche alcune note a pie’ di pagina (fatto non comune
nelle opere d’invenzione), frutto di una ricerca sul campo.
Le figure dei protagonisti, nella nettezza e
precisione con cui vengono delineati i tratti psicologici e comportamentali –
al limite del manicheismo tra buoni e cattivi, tutori della giustizia e
incarnazioni dei peggiori incubi suggeriti dalle cronache odierne –, sono
espressione di tale carattere “a tesi” che presiede all’idea di quest’opera, il
cui messaggio vuole essere di speranza e insieme di esortazione all’impegno e
alla solidarietà verso il prossimo.
Alberto Raffaelli (albertoraf2@gmail.com)
Ringrazio il carissimo Alberto per questo tributo al mio romanzo. Sono lusingata e imbarazzata. Ringrazio altresì il nostro impagabile Condottiero per la sua grandezza d'animo. E abbraccio entrambi!
RispondiEliminaMaria Rizzi
Cara Rizzi Maria, ti ringrazio infinitamente di quest'opportunità che m'inserisce in un luogo letterariamente prestigioso! E ringrazio anche il blog di Nazario Pardini per la prestigiosa ospitalità!
RispondiEliminaAlberto Raffaelli