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martedì 31 marzo 2020

PATRIZIA STEFANELLI LEGGE: "POLICROMIE" DI DARIO MARELLI



Patrizia Stefanelli,
collaboratrice di Lèucade

Introduzione a “Policromie” - silloge poetica di Dario Marelli 
a cura di Patrizia Stefanelli




A carezzare il viso della luna
A chieder cosa sia l’eternità.
  
       Classici versi, per le cose di sempre cantate da secoli di poesia, le surreali cose che rassicurano mentre la tensione è tutta rivolta ad attraversare, in fragile equilibrio, il presente, desiderando un futuro fatto di carne tenera da allattare, senso di pienezza e, dunque, eternità. È Martina, con la sua esplosione di colore dal petto ad aprire la raccolta; Martina che riempie il buio e sfida le possibilità.
       Assecondare il proprio tempo vivendo un eterno presente è quanto più si avvicina al concetto di eternità e poiché tutto è già inscritto nei possibili accadimenti, ogni cosa è reale. Caos e destino coesistono poiché ogni evento è previsto dalle infinite possibilità e ogni decisione porta a conseguenze esistenti in potenza dall’intersecarsi degli accadimenti stessi. Non è uno scioglilingua, è la vita, ed è facile da comprendere una volta passato il primo stupore, ed è l’idea che più mi avvicina all’Eterno: Essenza e Sostanza di ogni cosa.
Ecco sul filo in equilibrio l’incompiuto; tra cielo e terra, tra i sogni e il fumo dei carburatori: Maddalena. I piani dell’esistere fluttuano tra sogno e realtà in armoniose sinestesie: Ha gli occhi scalzi, muti come ombre, Eleonora, che di notte inforna il pane con mani smaniose di finire. Per Dario Marelli, che non trascura il cuore, ci sono simboli e similitudini a relazionare i piani, insieme all’amore. Il cuore è l’ente dal quale tutto nasce poiché non conta tanto ciò che vi entra ma quel che ne esce, frutto delle radici, nutrimento di ciò che chiamiamo anima e mai abbiamo visto.
Una sorta di trait-d'union tra ontologia ed epistemologia crea l’equilibrio utile alla conoscenza o almeno alla riflessione. Le cose sono quelle che sono eppure grazie alla lingua poetica significano altro, nutrono il lògos nell’accezione greca di pensiero.
La gente si prepara nelle case/per affrontar la sorte e la giornata/quasi fosse un monte da scalare./È un arnese sfibrato, sa di vecchio/la pala che si imbuca dentro il forno/ e non vede la fine del sentiero. (Eleonora la fornaia).
       Dario Marelli ha l’esperienza e quella sana curiosità necessarie alla scoperta di nuove cime o traguardi. Non fosse altro, la vita, che un viaggio al raggiungimento di un’ultima vetta per vedere l’oltre che non sappiamo, occorre affrontarne la sorte, non senza la consapevolezza delle proprie capacità. Si avverte il desiderio d’infinito e la finitezza dell’umana natura che come la pala, sfibrata da tanto lavoro (quasi fosse di carne), non vede la fine del sentiero: Una frattura nel presente, un vago senso di preghiera sono versi di speranza viva. (Gina la camionista). Il senso del divino traspare, come agognata libertà, attraverso l’ausilio del cielo, simbolo per eccellenza e dimora eterna: E non ci sarà una ragione a spiegare/perché le somme degli estremi danno zero./Non ci sarà il graffio di una biro/a disegnare una linea continua,/il limite che tende all’infinito./Saremo solo io e te/a vivere l’equazione di un ricordo,/tutto quello che rimane del tratteggio spezzato/che congiunge il Nulla all’Universo./Io con le cuffie assorto ad ascoltare/il precipitare eterno della voce,/lassù, divina, in mezzo agli angeli del cielo. (Quando te ne andrai).
Punta al senso di vuoto, il nostro poeta, allo sguardo fuggito dalla routine di giorni che vanno al ritmo di un marcatempo nell’alternarsi assillante di assenze e presenze. Si tocca la Solitudine che cerca nel sogno una ragione di riscatto, che trucca il volto per vedersi bella. Le donne di Marelli sono le donne dei colori, a volte intense come il rosso a primavera, simbolo della forza necessaria ad affrontare una giornata di lavoro, o, forse, come la consolazione di un papavero che nasce sui terreni dissodati, sui lati dei binari abbandonati, segno di un sopito orgoglio. Le donne di Marelli hanno una vita custodita da scartare, come un bacio di cioccolato, nell’intimo delle sere o dei mattini quando il tempo si concede un poco, il trucco è tolto, le serrande sono chiuse e il camion di Gina sosta in parcheggio sui fianchi del cielo. È poesia che vibra di realtà percepita, per frammenti e variazioni costruttiviste in cui, nell’apparente semplicità, la parola si fa verbo universale e particolare capace di comprendere l’emotività di ognuno.
Il ritmo dell’endecasillabo cesella, con la scorrevolezza del parlato semplice, il racconto di figure slegate dall’idea stilnovistica della donna-angelo, vicine al percorso quotidiano e terreno di donne cariche di esistenza, volte alla conservazione della speranza.
       In apparenza ciò che sembra non è. Piccole sfumature rischiano di passare inosservate in un giorno qualsiasi: È un’ombra lieve che la luce fugge, Bianca la dj; ma l’ombra non può esistere senza la sua luce e in tutta la nostra esistenza cerchiamo, in fondo, quello stato di grazia tra il buio e la luce, tra le idee e le cose: Come se vivere non fosse un peso/ma l’occasione per guardarsi dentro/ ed imparare a esistere sul serio mentre Amalia la fioraia si chiede il senso della vita. Davanti al camposanto dove le vecchie parlano del più e del meno, in un appuntamento tra la terra e il cielo, si chiede, Amalia, se tutto possa finire col nome inciso su un marmo e non ha le risposte, così come non le hanno le madri di Plaza de Mayo, a Buenos Aires, che non hanno neppure quel nome inciso e ancora attendono i figli, desaparecidos per un ideale di libertà. Attendono e in cerchio vanno, attorno a una piramide, a dirne il nome, a chiedere verità. Le guerre portano miseria e lutti, sono giochi di potere esistenti da quando esiste il mondo e noi non capiamo perché poveri cristi siano ancora crocefissi col nome di madre sulle labbra.
Chi lo sa cosa hai pensato/quando con le braccia appese a croce/come dentro un quadro di Mantegna/ti infilzavano il costato/senza porgerti una spugna?/Forse al volto impietrito di tua madre… (Per Giulio Regeni).
Non è facile scrivere del nostro tempo globale; tutto il mondo sta in un click, in un attimo sappiamo di morti e poi ci giriamo a riempire la bisaccia, lo zainetto con la merendina, a pulire i vetri che un vento polveroso ha sporcato con la pioggia. Fosse per noi, non ci sarebbero quei morti (…) non ti so dire, Hassan, amico mio,/che cosa infine rimarrà./Forse la felicità servita con il tè/su una tavola di ulivo, la sera/alla ricerca di un linguaggio, una radice,/una stessa appartenenza,/di due occhi che si cercano/senza chiedersi perché. (Al mercato di Tangeri).
       Gli elementi della natura e i suoi incanti soccorrono spesso il Nostro nell’evento poetico, punto dello spazio/tempo da cui far scaturire segni, immagini, significati che si inanellano ad altri per opera dell’uomo che li agisce. Così la felicità è servita col tè, e la tavola è d’ulivo e il linguaggio cerca l’appartenenza nella stessa radice: lo sguardo eloquente di chi vuole un richiamo di fratellanza, identità di pace. I temi toccati dai versi sono tanti: l’ideale di fede, la solitudine, l’amore in tutte le sue sfaccettature, le difficoltà del vivere, il lavoro, la ricerca di un senso per ogni cosa che inizia o che finisce. Muore a sera la luce in fondo al cielo/e un canto solitario di usignolo/si eclissa fra le frasche del faggeto./Mi assomiglia il profilo dei colli/la parvenza nel buio delle case/il pigolare spaurito delle aie./Anche domani celebrerà l’alba/il furtivo risveglio della vita/il vetrato silenzio dell’assenza. (Tra la luna e i tulipani).
Lo scarto semantico tesse il dettato poetico non senza l’uso di figure retoriche di suono e il risultato è una struttura olistica di grande impatto fono-simbolico. I sentimenti si cristallizzano dalla memoria tra corrispondenze apparentemente opposte come il volo spensierato di farfalle sopra i prati/e lo scalpitare dei cavalli bradi nelle piane.
       La Poetica di Dario Marelli, in cui paesaggi e velami si moltiplicano su uno sfondo fino alle piccolezze di un primo piano in sinfonia di colori, è ingenium et ars insieme, capace di rigenerarsi quale caleidoscopio di parola. È, la sua, “poetica della nostalgia” scevra da inutili complicazioni sintattiche, capace di commuoverci con il viaggio più difficile, attraverso la prova di conoscenza di sé e dell’altro: Abbiamo superato la fatica con il sorriso sulle labbra/sapendo che ci sarebbe sempre stata una mano ad aspettarci,/dimenticato il nostro Io per diventare Noi/e sublimarci al servizio degli altri,/perché condividere gratifica più che trattenere (Patagonia), e questo è il senso della vita.

Patrizia Stefanelli


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