Mariagrazia
Carraroli. FOGLIE. Balda Editore.
Prato. 2019
Maria
Grazia Carraroli si presenta sulla scena letteraria con una nuova silloge
editata per i caratteri di Balda Editore, dal titolo FOGLIE; un titolo che con
tutta la sua portata iconica ci mette
già in viaggio attraverso boschi e frescure, verso un’isola felice, dove la
natura con tutta la sua potenza visiva e contemplativa fa da concretizzazione degli
stimoli panici della versificazione. A questo punto credo che sia importante,
per entrare da subito nel mare magnum della poetica dell’autrice, riportare una
pericope che si legge sull’aletta di copertina: “Sono affascinata dal bosco,
dal suo verde coniugato in mille sfumature, percorso e sorvolato da respiri
selvatici e voli. Quelli, per esempio, di Carpineta, un angolo nascosto dentro
le selve dell’Appennino tosco-emiliano. Un
rifugio d’anima, dove respirare la natura: una piccola casa circondata per tre lati dal bosco e
accarezzata da un prato dove due annosi meli danno ancora frutti ai caprioli...
Così, a te che leggi, vorrei consigliare di sfogliare queste pagine, come
fossero foglie di un albero che si
incontra, si guarda, magari si ammira, con la consapevolezza, però, che la
forza, la bellezza, il ristoro e il dono vengono dalle radici che non si
vedono, dal loro lavoro profondo, sotterraneo, capace di far circolare il
nutrimento in superficie.”. Iniziare da
qui significa inoltrarci nell’empatica fusione fra la Carraroli e la natura che
la circonda. Una fusione intima, d’amore, di pace, di respiro e nutrimento.
L’autrice si fa tutt’uno con l’ambiente panico, con gli alberi, il verde, le
radici, le foglie; e trae da tutto ciò la linfa necessaria a concretizzare il
suo pathos. Sì, perché è da l’ambiente floreale e arboreo che trae lo spirito
giusto per un mondo di edenico riposo, di amore oblativo. Recondite armonie,
per tirare in ballo il mio maestro Puccini, che attirano e abbracciano, che
turbano e inquietano, che avvolgono e
ispirano, facendosi sostanza netta per una ispirazione pulita e liricamente
fluente. E’ proprio la poetessa a invitarci a prendere in mano le sue FOGLIE, a
accarezzarle, a respirarle con lo stesso afflato, che Ella infonde nel suo
Invito: “... Lasciami spighe da raccogliere/ per un pane spezzato in parole/al
banchetto festante/ di nozze condivise”. Una vertigine ontologica che richiama
gli empiti ispirativi di Daniel Varujan, nel pieno del suo Cantico al pane. La
lingua non può dire tutto, non è capace di reificare coi suoi sintagmi il magma di un
animo in piena ispirazione; la poesia ha bisogno di qualcosa di più ed è per
questo che la poetessa allunga il tiro rifacendosi a figure retoriche di ampio
respiro, a sinestesie, a iperboli, a metafore così che il linguismo assuma
significanti che vadano oltre i significati, per toccare le corde dell’eccelso.
Contribuisce non poco l’intervento di
Luciano Ricci, che, con le sue immagini disseminate nel testo, dà forza e
visività agli abbrivi emotivi di Maria Grazia. E tutto scorre con eleganza formale, con euritmica sonorità,
come se l’autrice volesse eguagliare con la versificazione l’armonia del creato:
da
Carpineta:
“... rattengo lacrime
davanti alla porta di casa
quella piccola nostra con
prato
e tutto l’ingorgo di verde
che m’inghiotte e stupisce...”
a
Pianta:
“Le radici hanno il colore
della luna
affondano nei suoi crateri
crescono con sogni
e pianto...”.
Il
verso scorre limpido e segmentato, per tenere dietro agli input emotivi: si fa
apodittico, breve tanto che non è raro che una sola parola si faccia essa
stessa verso. Un vero diagramma di alti e bassi, di salite e discese, come
l’animo richiede,
da
Diospiro
“... Ho chiesto un albero in
dono...”
a
Il fico:
“... L’altalena saliva
scendeva saliva
più ardita
a vincere l’alto delfico...”
da
L’albicocco a l’Olleandro, da Il rovo a il Tronco, a Lezione:
“Da quali dita magate
l’olmo apprende
la pazienza della trina...”
Così
lo spartito, diviso in tre sezioni (Invito,
Poranceto, fogliefogli), procede
con abundantia cordis per tradursi a volte in narrativa poetica in certi
commenti di particolare intensità lirica. Per farsi prosimetro in questo testo
articolato. Tutto è plurale, polisemico, proteiforme, tutto è vòlto a tradurre
un animo intento a rendere umano un bosco di orchestrali e poeti: “... noi bosco/ al sensibile/ rspetto
dettiamo/ contemplazione sosta/ e d’equilibrio/ esatta radicata metafora/ noi/
orchestrali e poeti/ ritmi diversi/ componiamo alle stagioni/ d’identica
inattesa/malia/” (Poranceto). Uno si perde facilmente in un bosco di tanta
esplosione panica; fra un verde che ti cattura e ti invita a godere dei suoi
profumi; in un bosco che ti invita al dialogo, con le sue radici che recitano
poesie. Ed è in questo anfratto di pace e silenzi che mi piace stendere le mie
membra per ripulire il respiro dagli
inquinamenti giornalieri, ricorrendo ad un
lacerto di Sandro Angelucci che nella sua postfazione ci invita a chiudere in bellezza questa
recensione: “... Testi come Violino, ad esempio – lo strumento che prende la
parola per raccontarsi – non sarebbero mai nati se la Natura, precedentemente,
non avesse trasfuso il fruscio della selva, i respiri dei nidi, il sapore del
miele, il colore della resina in quel corpo di legno, e mai e poi mai il violino
avrebbe potuto “suonare la foresta che (è) sublimata”.
Nazario
Pardini
RICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaCarissimo Nazario,
solo un Poeta come te poteva immergersi, cantandola, la poesia di FOGLIE. Solo un Poeta come te può leggere la poesia tutta, rendendone udibili le note sotterranee, anche a chi ancora non si è potuto accostare al testo. il mio GRAZIE, sentito e affettuosamente ribadito, si unisce quindi idealmente a quello di tutti gli autori che tu sai così ben valorizzare e porgere al lettore del tuo prestigioso blog.
Augurandoti tutto il bene che meriti, ti saluto e ti abbraccio.
Mariagrazia Carraroli