Rossella Cerniglia
ADOLESCENZA INFINITA
Manni
Editore, 2007
Recensione di
Enzo Concardi
Questo
libro di Rossella Cerniglia è un romanzo psicologico le cui chiavi di lettura
vengono offerte al lettore dalla stessa autrice nella premessa – Marida, l’adolescenza
– con una scelta abbastanza insolita nel panorama della narrativa italiana,
ma non per lei che, in diverse altre opere anche di poesia, rivela questa
peculiarità propedeutica alla lettura medesima. In breve ella ci tiene a dirci
che l’adolescenza di cui si parla nel suo libro non è quella temporale
stabilita da una fase dell’età evolutiva umana, ma uno stato interiore che
connota per sempre l’anima e che non tramonta mai. E’ caratterizzata dai
problemi della ricerca di senso dell’esistenza, del mondo e dal contrasto tra
ideale e reale. Nella vita della protagonista viene narrata come un non accesso
alla vita piena, matura, finalizzata ad obiettivi e progetti, lasciando in lei
sempre lacerazioni e insoddisfazioni profonde nell’animo, insieme ad un senso
di estraneità verso gli altri. Un ulteriore indizio viene poi messo sul tavolo
dall’autrice: questa adolescenza assomiglia molto alla condizione dell’artista
mancato, al disagio dell’artista contemporaneo il quale, di fronte ad un mondo
materialista che chiude le porte alle esigenze dell’umano, del sentimento, si
sente isolato e vive il suo stato come un esilio spirituale. E scommetto che
qui molti scrittori di oggi si riconosceranno.
Il
lettore che si accosterà al romanzo scoprirà da sé le vicende insite e la sua
trama, che si sviluppano con una prosa sovente artistica e coinvolgente,
pregevole per la struttura lessicale e l’eleganza del fraseggio, con parti
narrate, dialoghi, feedback memoriali, spaccati di realtà, contesti
ambientali e paesaggistici, numerose incursioni nelle dimensioni oniriche
(sogno saffico con Carolina di Monaco...), inserzioni del linguaggio giovanile,
e - nonostante la natura di opera psicologica - pochi termini tecnici, e molto
scavo introspettivo minuzioso: il tutto con il giusto equilibrio della parti,
senza lungaggini, con frequenti mutamenti di scena, per cui la lettura risulta
sempre scorrevole e piacevole. Il genere ‘romanzo psicologico’ richiamerà alla
mente ai più la Coscienza di Zeno di Italo Svevo, ambientato nel periodo
culturale del Decadentismo e nell’epoca del primo sviluppo della
psicanalisi freudiana, capostipite più noto della nostra letteratura di questo
tipo. Tuttavia la protagonista di Adolescenza infinita ha poco a che
vedere, a mio parere, con Zeno Cosini: costui è un abulico, inetto, ozioso, che
si sente malato e quindi in continua ricerca di una guarigione dal suo male
oscuro; Marida, invece, vive un malessere esistenziale e dell’anima provocato
in parte da traumi infantili affettivi – perdita dei genitori – e in parte
dalla sua ipersensibilità di fronte al mondo, agli avvenimenti. In comune
possiamo riconoscere la reale sofferenza psicologica che deriva dall’essere
troppo centrati su sé stessi, e il senso di inadeguatezza rispetto agli altri e
alla società. La visione di Zeno è, culturalmente, propriamente decadentistica,
ovvero attorcigliata attorno alla caduta dei valori e degli ideali del suo
tempo, mentre quella di Marida è idealistica, sognante, ingenua, più
propriamente romantica in una società e in un’epoca che romantiche non sono
più.
Gli
aspetti e le caratteristiche salienti del libro di Rossella Cerniglia li
ritroviamo a diversi livelli di lettura. Partiamo dalla consonanza tra
paesaggio e stati d’animo dell’eroina’ – per così dire – del romanzo: qui
riscontriamo tonalità della natura ed interiorità di Marida che procedono di
pari passo, ed abbiamo l’incipit del primo capitolo emblematico a proposito;
nell’ouverture naturalistica con descrizione lirica si verifica la spogliazione
paesistica autunnale parallelamente all’imputridire della vita verso la morte e
già all’esordio ci appare la protagonista triste e sgomenta. Forse tutto inizia
dalla famiglia, dalle perdite affettive dell’infanzia: il ricordo della madre
morta è indelebile e pesa come una croce per il corpo e per l’anima; la figura
del padre – che avrà un comportamento di abbandono verso i figli – è
assolutamente negativa, troppo prosaico e ingombrante nelle sue imposizioni
quando è presente fisicamente, c’è incomunicabilità e per lui Marida confessa
un’avversione smisurata, un incomprensibile odio. Chiusa nella sua stanza lei
vede la vita scorrere senza parteciparvi, o avere la sensazione di
appartenervi.
Marida
si sente anonima anche nell’immenso corpo scolastico. Qui tuttavia inizia a scoprire
che esistono gli altri, ma in modo non reale, bensì super idealistico e
sognante: la scrittrice rivela – come in tutte le altri parti del romanzo –
notevoli capacità di introspezione psicologica e raffinatezza di analisi nel
descrivere tali situazioni, forse facilitata da vissuti autobiografici. Scopre
l’amore per un compagno di scuola, da lontano, senza che nessuno se n’accorgesse:
un gigante-bambino che lei chiama Camillo; quando finalmente la conoscenza
diventa concreta, la delusione è forte, poiché capisce che niente li accomuna
ed è come la caduta di un mito, prima amorevolmente coltivato dentro di sé. Il
bisogno di trovare punti di riferimento fa si che il professore di filosofia
accenda la sua fantasia e la sua anima ed è naturale l’infatuazione, che poi
diventa una specie di adorazione religiosa, forse sostitutiva dell’immagine
paterna. Marida sente anche il bisogno di mettere ordine nei suoi pensieri e
spontaneamente inizia a comporre dei versi. L’incontro con la scrittura
accentua la sua inclinazione a guardarsi dentro, intuisce le sue
contraddizioni, la sua fragilità, vive un sorta di autismo esistenziale
rifugiandosi nel grande scantinato di casa, il suo regno, sola con sé stessa:
infinite riflessioni sul destino, le scelte, i ruoli già assegnati agli umani
in questo mondo, l’essere e il suo opposto, gli incubi che spesso la visitano.
All’Università
ritrova Augusto, il suo ex professore di filosofia: ora l’antico innamoramento
segreto si trasforma in relazione amorosa vissuta e Marida fin dall’inizio ha
già paura di perderlo, è possessiva. Accetta questo amore pur accorgendosi
quasi subito che da parte di lui si tratta di un amore sensuale, non dell’anima,
quello di un narcisista che vive sentimenti effimeri. L’amore è un altro
capitolo doloroso della vita di Marida: lei vuole l’eterno, cosa non di questo
mondo, mentre i suoi incontri si riveleranno tutti sbagliati, accentuando la
visione negativa della vita. Si convince che ogni cosa contiene le sue
sconfitte, la propria morte. Ecco un’altra dilacerazione della sua anima: il
conflitto tra sentimento e ragione, poiché Marida possiede anche una
razionalità che non le concede tregua: questo è un altro motivo per cui ho
definito il personaggio culturalmente romantico.
Ed io
mi fermo qui, perché trattandosi di romanzo non si può svelare l’epilogo ne
raccontare le vicende dell’ultima parte. Aggiungerei solo alcuni altri spunti
di riflessione che la personalità e la vita di Marida possono offrire al
lettore: la sua incessante ricerca sui perché della vita, sul dolore, sull’eterno
e sull’effimero, sul rapporto tra l’io e la società, sulla solitudine, sulla
verità e su Dio. Ella vive un “sonnambulesco interrogarsi senza fine” con il
dubbio permanente su sé stessa e sulla vita, con un desiderio di fuggire senza
sapere dove andare, sente fortemente mancanze ed assenze che la lasciano sola,
sente come uno sdoppiamento di personalità (“Due vite: una del corpo, una dell’anima”;
“Marida non appartiene più a Marida”). Subisce un crudele furto della speranza,
che appare irreparabile. Un personaggio moderno, modernissimo, emblematico del
nostro tempo per capire quel “disagio della civiltà” (Freud) che s’insinua
negli individui.
Enzo Concardi
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