Nazario
Pardini, Nel frattempo viviamo,
Milano, Guido Miano Editore, 2020, pp. 123
In
una lirica compresa nella prima parte della recente raccolta poetica di Nazario
Pardini si leggono versi elaborati con essenziale, significativa incisività: “
Là i tuoi campi,/ i tuoi monti,/ il tuo piano, la pineta (…) là il tuo fiume,/
la sua foce./ Metti le ali!/ vai!/ Ma
attento agli strali del sole/ che annientano ogni lume,/ uccidono le
stelle,/ creano ombre, penombre…” (Là i
tuoi campi, vv. 1-3 e 5-12).
Ho
segnalato nel testo con il mio corsivo quello che è un “movimento” ricorrente
nella strategia formale-compositiva dell’autore, d’altronde indicativa di una
disposizione intellettuale, di un abito etico ed estetico. Allo spunto conativo, alla sollecitazione
vitalistica e partecipativa si accompagnano l’indugio riflessivo, l’invito alla concentrazione meditativa, che è premessa
dell’attenzione analitica ed esplorativa.
Il
primo momento esprime direttamente il motivo dell’ intenso amor vitae indubbiamente centrale in tutta l’ampia opera artistica
pardiniana e che lucidamente Enzo Concardi ha messo in risalto nella bella
prefazione a quest’ultimo volume. L’esemplificazione è agevole quasi ad
apertura di libro, sovente in contesti dominati dai consueti riferimenti
naturistici: “Eppure l’aria che ha mosso la pioggia/ m’invoglia/ a respirare
fresco nella strada./ Ma il sole che squarcia le nubi/ è già pronto/ a rapire
profumi, barlumi di vita,/ ricordi d’erbosi richiami/ e goccia brillante dai
rami” (Eppure l’aria che ha mosso la
pioggia) ; e nella sottolineatura
vivace della gioia “fisica” insita nel fatto stesso di vivere: “ Eppure quello
strappo di cielo/…e il sole che prova le voglie/ di bersi le pigne stellanti di
luce,/ immagini eppure si fanno,/ essenze di corpi/ per dirmi che l’anima un
giorno/ era tatto, colore, profumo di fieno,/ sapore di bosco” (Eppure quello strappo di cielo, vv. 1 e
4-10) ; “Il palato ha gustato/ comunque/
l’asprore/ di forza sanguigna/ che esplodeva la vigna dell’anima/ avanti che
fosse novembre” (Ho sorseggiato grappoli
di ricordi, vv. 4-9).
E’
altresì costantemente presente l’atteggiamento critico-riflessivo,
interrogativo, che si obiettiva nell’indagine rigorosa intorno al significato
autentico dell’incessante dinamica naturale, nella quale è arduo riconoscere
un’istanza orientativa e finalizzante in grado di assicurare giustificazione
ideale e ordine globale alle relazioni fra le molteplici specie e alla varietà
conflittuale degli elementi: “Contro corrente/ remare/ con le piume/ nell’ora/
che il fiume/ si riempie!/ A che vale?” (Contro
corrente) ; “Si muove il cielo, la terra,/ il sole,/ l’universo;/ ma dove
andremo?/ Come mi sento sperso!” ( Si
muove il cielo, la terra).
La
densità problematica del discorso poetico di Pardini è conseguenza della
tensione, dall’evidente valenza conoscitiva, che s’instaura nei testi fra la
valorizzazione energica della libera, suggestiva e appagante vitalità naturale e
umana, e l’osservazione sistematica del mistero sfuggente, dell’ambivalenza e
della contraddittorietà anche acute e dolorose della realtà, così ricca di
disarmonie, di aporie, di potenzialità distruttive: “ Uccide il cielo/ un altro
giorno ancora;/ cadono frutti “paccoli”/ consunti poi/ da vespe e da formiche”
(Uccide il cielo).
L’invito
dello scrittore toscano a vivere con soddisfazione il tempo che ci è dato - l’esortazione non potrebbe essere più
esplicita nel primo componimento della seconda parte, caratterizzata da un
registro stilistico maggiormente colloquiale, da cadenze metriche e ritmiche
più popolareggianti : “ E’ come un lecca lecca, sai, la vita,/ finito non ti
resta che lo stecco,/ non te ne fai di un becco, caro mio!,/ gustala bene prima
che sia finita!” -, la sua adesione sincera alla vastità e alla
complessità del mondo materiale e morale (“ Ma non sono divisi/ gli elementi;/
sono tanti gli strumenti/ che toccano i loro tasti,/le loro corde/ sotto le
sorde note dei divisi”, Il rustico sul
colle, vv. 9-14) che si realizza strutturalmente attraverso il frequente impiego
delle enumerazioni e delle similitudini, non possono essere
separati dalla considerazione turbata delle
occasioni invero numerose di indifferenza, di sofferenza, di infelicità:
“In quella casa il funerale./ Nel silenzio/ si udiva solo/ il rimbombare dei
calci di un ragazzo/ su un barattolo vuoto” (In quella casa il funerale) ; “Come è scaltro il tempo!/ Mi
nasconde il suo passare (…) Da una parte è bene,/ almeno, distratto,/ con minor
pene sopraggiunge il disastro”( Come è scaltro il tempo!, vv. 1-2 e 6-8, corsivi miei).
Se
la morte è di certo un “disastro”, la vita nella concezione pardiniana si fonda
sull’equilibrio faticoso e precario di tante situazioni antitetiche (“Abbarbicato
al suolo/ il nostro corpo/disseminata
l’anima/ alla carne/ tiene strinta”, Abbarbicato
al suolo, vv.1-5, corsivi miei) che egli
- autore intimamente attratto dai contrasti e mai preso dalla necessità
della composizione e della sintesi, poeta diadico
e non dialettico – sa rendere nei
suoi versi con efficacia davvero notevole.
D’altra
parte è consapevole che la bellezza inconfondibile e irrinunciabile dell’esistenza
degli uomini è nella sua imperfezione, nei limiti che da sempre la
contraddistinguono, in quell’”immensità imprigionata” (v. il sintagma
ossimorico nella poesia L’immensità,
v. 4) che in una bellissima lirica, intitolata Tra un dio e l’uomo e accolta nella silloge L’azzardo dei confini (2011), suscitava l’invidia scoperta della
divinità.
A
distanza di quasi un decennio Pardini ribadisce le proprie convinzioni,
scrivendo in Mi turba l’idea del Paradiso
: “Mi turba l’idea del Paradiso/…è sempre domenica, là. Il vestito sempre
nuovo/ non è mai nuovo./ Io amo molto casa mia/ ed è una casa/ ad uso e consumo
dei mortali./ Là mi sentirei troppo osservato,/ Dio è onnipresente,/ e non
consente intervalli./ Qui l’infinito è solo un’ambizione,/ l’ambizione che
resta./ Là in che consiste/ l’ambizione?” (vv. 1 e 3-25). Floriano Romboli
. . .
. . .
. . .
Nessun commento:
Posta un commento