Il vario e sofferto lavoro del ragno
La
più recente raccolta di versi di Valeria Serofilli, Taranta d’inchiostro, è contraddistinta da un notevole equilibrio
formale-stilistico e dall’indubbia coesione strutturale dei testi.
Con
interessante perizia ordinativa l’autrice premette infatti alle cinque sezioni
di cui consta la silloge una lirica, intitolata L’architetto, dalla palese funzione introduttiva e tematicamente
focalizzante, ove è facile rilevare la centralità della figura del ragno quale
referente primario di un suggestivo campo associativo che connette la tessitura
dell’insetto industrioso (“Tesseva un filo in più il ragno”) all’attività del
poeta, alla sua ricerca etico-estetica (“ Come aggiungesse da poeta un altro
verso”), nell’allargamento prospettico di chi intende elaborare le esperienze
particolari allo scopo di enuclearne i significati più generali e profondi in vista
dell’acquisizione di una sintesi superiore animata da uno spirito metafisico:
Entrambi
mattoni dell’universo
al
cospetto
dell’unico
Architetto/ il più alto Maestro
Tale
scansione problematica risulta indicativa – nel suo efficace risvolto
prolettico – dei motivi fondamentali e dei tratti ideativi del libro, dominato
dal ricorrere di situazioni contraddittorie
e unificato, dal punto di vista compositivo, dalle antitesi, tra cui quella essenziale fra libertà e predeterminazione,
fra consapevole iniziativa
individuale e sorte impersonale
misteriosamente disposta “dall’alto”, peraltro preparata dall’exergo faulkneriano:
Quando
un
filo si staccò dal complicato ordito:
o
tutto già era stato scritto
tutto
previsto?
A
questi versi conclusivi del componimento incipitario giova aggiungerne altri
compresi nella sezione ultima, a conferma di una obiettiva costanza tematica
(“Chi sa dall’alto che risate/ nel vederci imbrigliati in ragnatele/ tessute in
ancedenza/ in / nostra assenza”, Chissà
dall’alto che risate, in Fuori della
tela), che non implica però la rinuncia amara e nichilistica all’ardore vitale, a forme anche intense di
coinvolgimento istintivo ed emozionale valorizzato e contrario nella paronomasia:
Il
rischio è di sopire il tuo sapore
Non
mi conviene/ penso
mentre
piuttosto alimento
ardore con ardore ( Ti ha morso la tarantola?, in La
taranta, corsivi miei)
Il
ragno ha in sé l’ambiguità costitutiva dell’animaletto che tesse la sua tela
con ostinata razionalità, e costruisce rigorose sequenze conoscitive (“
Ingombrante scaleo/ di sapienza cui/ ogni gradino ha acuito conoscenza”, Conoscenza, in La taranta,
cors.mio), solide catene intellettuali e memoriali (“Bulbo di memoria/ la conoscenza cresce ad oltranza”, in Vecchiezza, ivi, corsivi miei;
e “Un altro pianeta sopra le nuvole/ ragnatela
di neuroni/ Come se tutti segregassero in alto/ i propri pensieri/ i più pesanti/ anche se i più
bianchi (…) Teoria delle onde in cielo/ ove l’ala non spezza il ricordo/ ché troppo saldo è il legame a
terra”, Ragnatela di neuroni (L’amato
gomitolo), in Ragnatela del mondo,
corsivi miei); ma è pure abile predatore e soprattutto il suo morso può, secondo
la leggenda, scatenare l’invasamento amoroso, la passione sensuale
incontrollabile e tormentosa:
Forse
che
sono
io il ragno
a
misurare le distanze
tra
dune di sabbia
ormai
tarantata in notti senza sonno ( Io ragno, in La taranta, cors. mio)
La
trama del ragno avviluppa, lega, vincola nella stabilità del rapporto
affettivo, mentre la “pizzica” sconvolgente, l’eros elettrico ed esplosivo (“
E’ che/ quando stiamo insieme/ le stelle le abbiamo dentro/ Quell’elettricità
latente/ che la mente accende/ e ti incendia il cuore/ Amore che si espande e
ti acquieta/ stella luminosa di passione”, Notte
di San Lorenzo (10 agosto 2017), in Fuori
della tela) inducono insofferenza delle consuetudini relazionali, finanche
in Penelope, raffigurazione archetipica della fedeltà paziente e incrollabile:
Stufa
di tessere, gettò via
il
suo fuso/ prima pungendosi
e
mentre una goccia del suo sangue/ irradiava
l’intera
trama per farne rosso arcobaleno… (Taranta
Penelope, in La taranta)
A
parti rovesciate il suo sposo Ulisse – altro archetipo potente e prestigioso –
afferma invece il valore irrinunciabile e corroborante del legame d’amore (“ Io
non ho mai dubitato di noi nemmeno un attimo/ pur se mille sirene ad attirarmi/
a inabissarmi/ barbate, la prua (…) O mia Regina, mi sento solo/ pur tra mille
orpelli/ Sei tu/ corpo e spirito/ la mia sola Festa/ il mio definitivo
attracco”, Ulisse. Nell’onda una luce,
in Ragnatela del mondo), nell’àmbito
di un discorso sapientemente innervato da correlazioni antitetiche:
Quante
volte/ ogni nuovo giorno, all’albeggiare
ho
benedetto, maledetto il mare
per
il sapore di avventura
e
la sventura
l’ansia
di scoperta e l’ansimare (ibidem, corsivi miei)
E
le polarità si susseguono incalzanti – giustificazione/insensatezza,
perspicuità/mistero, felicità/ dolore, vita/morte –, come agevolmente può verificare ogni lettore attento,
sulla falsariga dell’acuta osservazione del post-fatore Antonio Spagnuolo, secondo
il quale in questi testi “anche se il sapere si approfondisce e si differenzia secondo gli schemi
inarrestabili della contemporaneità, la poesia insegue le diversificazioni
della conquista del segno e della parola”.
Per
Valeria Serofilli la ricchezza dell’esperienza umana si concretizza altresì
nella varietà cromatica, a cui il motivo di una viva solidarietà sociale e
morale-psicologica conferisce adeguata densità semantica (“Al risveglio cerco i
colori/ in fondo all’anima:/ il rosso di tutto l’amore/ il bianco/ il manto del
mio gatto (…) il verde/ corse sfrenate da bambina/ il giallo/ capelli della mia
prima/ bambola di pezza (…) Al risveglio i colori/ Poi penso: quali trova nel
cuore/ una bambina somala?/ Il rosso/ sangue di violenza/ il bianco della neve
mai vista (…) il giallo dei capelli/ bambola mai avuta…”, Cerco i colori, in Ragnatela
del mondo) ; e il suo linguaggio appare essenziale e raffinato, nel gioco
studiato e musicale delle rime e delle riprese iterative, come nella poesia non
per caso posta al termine dell’opera, poiché in essa l’inizio e la fine della
vicenda esistenziale si richiamano e si
presuppongono, e i vincoli sentimentali e ideali si rinsaldano:
Saremo
tutti luce comunque
quando
l’alba ci chiamerà al tramonto
E
la luce rischiarerà il tuo corpo
a
me di spalle (…)
Sarà
allora che s’intrecceranno per sempre
le
nostre mani
a
nodo imprescindibile d’amore
Quando
luce ne suggellerà il calore:
unica
forza condensata in esplosione (Quando
l’alba ci chiamerà al tramonto, in Fuori
della tela, corsivi miei)
Floriano Romboli
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