Francesco De Caria
legge inediti di Lino D’Amico
Ecco la mia riflessione sulla Sua
meditazione "de senectute" o "peri' gheros", secondo il
genere trattato da illustri autori della classicità greca e romana. Le dico che
sono versi di grande suggestione, di una pacata mestizia, senza pianti e senza
urla, rassegnati eppure pervasi di una linfa distillata di memorie composte, di
una nostalgia che ha superato l’algos,
il dolore. Ma mi pare che dire che sono pervasi da una saggezza compiuta sia
uno sminuire la suggestione delle antiche passioni decantate, sì, ma pur sempre
presenti sia pur come "calore di fiamma lontana" per dirla alla
Foscolo (nel "Didimo chierico").
Sciarade di pensieri
Il riferimento leopardiano ritorna in questi versi
che esordiscono con un temporale appena cessato – c’è anche un riferimento
pascoliano in questi versi, nel vocabolo “bubbolio” – è evidente: la vita che
si era fermata si risveglia in un coro di voci, gracidare – nuovamente Pascoli
col suo “breve gre gre di ranelle” de “La mia sera” e il rintocco dei vespri.
Versi – questi – nei quali, a differenza dei precedenti componimenti, compare
la luce: ma anche in questo “idillio” una considerazione sottilmente amara: è
racchiusa in quel “credono”in un futuro di luce
(un aldilà?). Credono, si affidano, non c’è certezza.
Il bubbolio del tuono sì allontana,
sta cessando
il temporale,
l’aria già
profuma d’ozono
e al di la della collina
un arcobaleno bacia l’infinito,
intorno, il bosco si risveglia
nei doni meravigliosi del creato.
Gracida un rospo nello stagno,
una lepre fa capolimo da un cespuglio,
dal borgo la pieve batte il vespro
e richiama alla preghiera,
eterea allegoria di pace,
intorno,
solo calpestio dei passi
sul sentiero del mio andare.
Nel palpito di ogni attimo,
fremiti di una eco muta
sussurrano sciarade di pensieri,
pagine di un diario intonso,
forse smarrite, tra i cenci dei sogni,
che, nonostante tutto, credono
nel poi di nuove aurore di luce.
Senza titolo
Così
l’individuo si trova nel silenzio di un sogno che sta svanendo, di una
vitalità che si sta intepidendo, nello sgomento dell’incertezza di un Oltre, di
un Altrove. Dunque il passato sta svaporando, mentre il futuro prospetta il vuoto, il nulla: in questo angosciante
paesaggio il protagonista procede a tentoni, inciampando, attorniato da un
silenzio angosciante. E’ stato promesso un Aldilà, ma ora appare come il silenzio
infinito in spazi “avari”, che tendono a inghiottire l’individuo stesso, per il
quale quel silenzio è come un abisso che lo ingoia: restano non ricordi, ma
lampi di ricordi, lacerti di memorie un tramonto, un incontro d’amore… ma tutto
si sfalda e scompaiono “arcobaleni, praterie, speranze” insomma la prospettiva
di un futuro che ormai è disperantemente “senza poi”.
Nel
fragore di un silenzio scosso,
cosa
rimane di un sogno che svapora,
di una
fiamma che si spenge,
di un
altrove che si nega?
Assorbito
dal vuoto di un nulla,
cammino
tra i cenci del tempo
nel
garbuglio di pensieri smarriti
inciampando
tra i sassi del mio andare,.
L’utopia
stordisce la ragione,
ombre
inconsce avanzano a grandi balzi
nel
fragore di quel silenzio che mi ingoia
lasciandomi
profugo in spazi avari.
Chi mi
ridarà il mio ieri spensierato,
i
tramonti sulla battigia a Cala Luna,
i
nostri ricordi, mano nella mano
e il
caldo tepore di emozioni sopite?
In
quell’attimo il nulla si sfalda,
guardo
intorno, invano e cerco,
arcobaleni,
verdi praterie, speranze
in
questo labirinto sciapo e senza poi.
Voci dell’anima
Il
senso di solitudine di un individuo che si sta avviando, all’imbrunire
dell’esistenza, verso un orizzonte tutto sommato ignoto, che ha angosciato sin
dal suo apparire l’uomo affiora evidente in questi versi nei quali la vitalità
piena propria della giovinezza ormai è sfumata in lampi di luce, in flash memoriali nei quali le presenze
che hanno sostanziato la sua vita sono ormai “fantasmi” evocati nei ricordi,
nei quali i discorsi e i dialoghi sono “distillati” in mormorii: sono presenze
e voci ormai sfumati e ovattati, come
dispersi fra le stelle. All’improvviso la giornata, il crepuscolo della vita si
sta avviando verso la notte, nella quali solo chi sa ascoltare può udire voci e
rumori di esistenze passate – del protagonista e delle presenze che hanno
attraversato la sua vita – custodite non solo nella memoria, ma “nell’anima” a
indicare che quelle presenze e quelle voci
hanno costituito e costituiscono “il corpo”, la “carne” dell’individuo
che solo si avvia a fondersi in quella realtà fatta di fantasmi e di voci
dispersi nell’infinito e nell’eterno.
Nel calar del crepuscolo
riccioli di gioia e veli d’ombra
svaniscono nel vago di un ricordo
tra sogni di realtà senza volto
e notti distillate nel gioco
di un tempo pigro da rammendare.
Stille di mormorii destano il risveglio
nel menare di giorni consumati
tra sussurri frantumati dai silenzi
e celate voci dell’anima.
Accordi di vita smarriti,
eco ovattata che ritorna
solo per chi saprà ascoltare,
e correre la strada delle stelle
cullato tra abbracci di luce,
voli di fantasia e giorni da stupire.
Mormorii di silenzi
Talora
il passato riemerge disperantemente
fatto di “niente” intessuto solo
di “emozioni” che evidentemente non hanno consistenza. Melodie e sensazioni olfattive legate a fatti lontani si sfaldano anch’esse
nel silenzio. La notte giunge, quando il
fragore della vita è ormai ridotto a fruscio: ed il nuovo giorno appare come
non rassicurante, ma abbraccio di un
nulla nel quale l’individuo, nella sua solitudine angosciante, si smarrisce: è
chiaro il riferimento al “naufragar m’è dolce in questo mare” leopardiano, ma
nel D’Amico il naufragio è naufragio, non c’è in esso alcuna dolcezza né alcuna
unione con l’Infinito immortale, ma solamente una dimensione straniante e
angosciante.
La nostalgia del tempo
gocciola stille di memorie
nella penombra di un altrove
che fugge da ogni bagliore
e rimane
orfano del niente
dove ciondolano muti
i mormorii delle emozioni.
Nell’eco dei silenzi
aleggiano ricordi antichi,
stagioni che giungono quiete,
poi si sfaldano silenti
profughe di profumi e melodie
Nel fruscio vestito dal tempo
giunge incognita la notte,
rosicchia l’indifferenza
nell’immaginifico dei sogni
e, mi smarrisco in quel niente
naufrago al primo abbraccio
del nuovo giorno che verrà .
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