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lunedì 11 maggio 2020

MARIA GRAZIA FERRARIS LEGGE: "NAIF" DI ENZO CONCARDI, GUIDO MIANO EDITORE



Maria Grazia Ferraris,

collaboratrice di Lèucade

La Milano di Enzo Concardi


NAIF è l’ultima pubblicazione poetica di Enzo Concardi, uscita per i tipi della Guido Miano editore di Milano. Su questa splendida silloge poetica molti critici di grande valore si sono espressi, a cominciare dallo stesso G. Miano, a N. Pardini che ne firma la prefazione, sottolineandone il realismo lirico unito al naturalismo simbolico, l’eleganza della scrittura, la solidità della voce poetica, ai quali si sono aggiunti M. Zelioli, che indaga il tema della nostalgia e della memoria, R. Cerniglia, che coglie il “vagheggiamento che ne accarezza la dimensione non contaminata, ingenua, e carica di nostalgiche affettività”, S. Angelucci, che ne sottolinea la malinconia come tema dominante, M. Sinatora, che interpreta il tema del ricordo e la delusione del presente, per citare le ultime voci… Ho avuto il bel testo, l’ho guardato con curiosità e mi sono immersa nella lettura… e ho trovato la mia Milano.
Vista la folla dei critici autorevoli, non intendo esprimere un nuovo(?) giudizio critico, ma sottolineare in piena libertà un tema, solo un tema, che mi ha affascinato: quello “milanese” (E. Concardi è nato in provincia di Milano nel ‘49 e ha studiato, lavorato e lavora nel suo territorio), in quella Milano che M. Remigi rievocava con la voce di O. Vanoni negli anni Sessanta:… “a Milano. / Senza fiori senza verde / senza cielo senza niente. / Fra la gente / tanta gente. Sapessi com’è strano…”. Che cosa c’è di meno romantico di Milano, col suo traffico, la folla, i rumori, la nebbia, gli odori, i sapori? Di meno poetico? di più caotico e solitario? La precisione topografica e meteorologica poi sembrano un difetto, uno squilibrio sentimentale, un elemento realistico descrittivo che invade la vita interiore impedendole di esternare ciò che in noi è più intimo. Ma quale poesia? Eppure… la poesia ha vita e risorse infinite.
Quella vigorosa di Concardi si nutre di atmosfere di periferie, “le strade spettinate”: “C’è un ponte sopra la ferrovia / anonimo nella sperduta periferia / ove nessuno sosta per osservare / sibili di treni nel rapido transitare /…. Il treno era mito antico e sognante / cavaliere romantico o mostro di ferro / tra solitudini segrete ed arcane passioni” (Ponte sulla ferrovia); ama i vecchi tram sferraglianti della Milano invernale, un po’ naif, che sono carichi di ricordi -ma non reliquario- misti al formulario psicanalitico che nella quotidianità si dipana nel tragitto tranviario. Da consapevole non turista della vita: “Sono innamorato dei tram di Milano /…sferragliano con passione su e giù / avanti e indietro barcollando / a singhiozzo…” (Tram traballanti). E guarda affettuoso le bancarelle dei mercati rionali, i mercati lungo i Navigli, i caffè del centro coi loro tavolini d’epoca, le metropolitane dove la folla rapida si disperde, “i tram ormai deserti sferragliano /… calca amorfa e indistinta / per le ultime corse della sera / solitudini in nevrotiche dimore cittadine / (Ombre vaganti). Traccia una metafora della vita e dei suoi cascami, con un pensiero fortemente analogico che diventa poeticamente immagine pregnante, un binario morto.
Il percorso di poesia e memoria continua coi rimandi a momenti della propria storia, dell’infanzia, ai “cantieri di periferia” di un tempo e al girovagare continuo di un fanciullo nei lunghi meriggi estivi: “Nel dopoguerra s’abitavano case popolari / ove minuscole stufe a legna o carbone / s’erano sostituite all’allegro fuoco dei camini… presso cantieri abbandonati/ scenari franti e rottami vivevano / quasi lunari nell’arida desolazione” (Cantieri di periferia), “Un cortile e palazzi a ringhiera: / vecchia Milano dove studente / stavo sui libri per qualche ora…” (Pendolo a muro).
Rivede nostalgicamente le corti dell’infanzia, “mito domestico”, i giochi, le solitudini, il tempo senza tempo (Corte dei sogni), i ricordi lontani e nascosti.
Anche l’impoetico diventa oggetto di meditazione, ammonimento, ricerca filosofica di significato, come il paesaggio periferico milanese in fuga dal finestrino di un treno.
La natura nondimeno è costantemente presente come evocazione e nostalgia.
Leggo alcune poesie individuando nel paesaggio pianeggiante periferico campestre “nell’ampia pianura tra filari lineari / di amati pioppi e suggestive risaie allagate / prati smeraldini… (Viottoli campestri) “a primavera taluni campi si fanno laguna / sciabolate di luce fendono le acque / casolari e cascinali si specchiano obliqui (Risaie a primavera) un paesaggio tipicamente lombardo. Anche il paesaggio di lago, un paesaggio d’acqua, che è quello delle periferie milanesi, offre la sua difficile strada del silenzio: “La natura è altare del mistero / recondito mondo di cifre segrete / ove si palesano metamorfosi e sublimazioni” (Canneti e folaghe), ma anche quello di una natura violentata: “C’è una terra intimidita da mostri inquietanti/ tetre ciminiere e draghi di cemento soffocanti / incombono ad ingombrare sogni e futuro (Spiagge bianche)…, e “deserti metropolitani hanno sottilmente invaso / le nostre vuote case” (Oro, incenso e mirra). La poesia… diventa rivelazione, un linguaggio non più della causalità razionale, o della vita pratica, ma qualche cosa che si situa al di là della razionalità, al di là della vita pratica, e rivela qualcosa di più forte, intenso, di più intimo: è come se la verità non si concedesse mai intera, bensì in occasioni, illuminazioni, epifanie. Giustamente il Nostro può concludere: “Il terzo occhio è quella vera luce/ che penetra nei tuoi stanchi giorni /… É rara bellezza che ti fa visita / per farti sempre amare la vita… È l’intelligenza del tuo universo / poesia che ti eleva a cieli siderali… (Il terzo occhio).

Maria Grazia Ferraris, maggio 2020


Enzo Concardi. NAIF
Guido Miano Editore, 2019
mianoposta@gmail.com



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