La Milano di Enzo Concardi
NAIF è l’ultima
pubblicazione poetica di Enzo Concardi, uscita per i tipi della Guido Miano
editore di Milano. Su questa splendida silloge poetica molti critici di grande
valore si sono espressi, a cominciare dallo stesso G. Miano, a N. Pardini che
ne firma la prefazione, sottolineandone il realismo lirico unito al naturalismo
simbolico, l’eleganza della scrittura, la solidità della voce poetica, ai quali
si sono aggiunti M. Zelioli, che indaga il tema della nostalgia e della memoria,
R. Cerniglia, che coglie il “vagheggiamento che ne accarezza la dimensione non
contaminata, ingenua, e carica di nostalgiche affettività”, S. Angelucci, che
ne sottolinea la malinconia come tema dominante, M. Sinatora, che interpreta il
tema del ricordo e la delusione del presente, per citare le ultime voci… Ho
avuto il bel testo, l’ho guardato con curiosità e mi sono immersa nella
lettura… e ho trovato la mia Milano.
Vista la folla dei critici
autorevoli, non intendo esprimere un nuovo(?) giudizio critico, ma sottolineare
in piena libertà un tema, solo un tema, che mi ha affascinato: quello
“milanese” (E. Concardi è nato in provincia di Milano nel ‘49 e ha studiato,
lavorato e lavora nel suo territorio), in quella Milano che M. Remigi rievocava
con la voce di O. Vanoni negli anni Sessanta:… “a Milano. / Senza fiori senza
verde / senza cielo senza niente. / Fra la gente / tanta gente. Sapessi com’è
strano…”. Che cosa c’è di meno romantico di Milano, col suo traffico, la folla,
i rumori, la nebbia, gli odori, i sapori? Di meno poetico? di più caotico e
solitario? La precisione topografica e meteorologica poi sembrano un difetto,
uno squilibrio sentimentale, un elemento realistico descrittivo che invade la
vita interiore impedendole di esternare ciò che in noi è più intimo. Ma quale
poesia? Eppure… la poesia ha vita e risorse infinite.
Quella
vigorosa di Concardi si nutre di atmosfere di periferie, “le strade
spettinate”: “C’è un ponte sopra la ferrovia / anonimo nella sperduta periferia
/ ove nessuno sosta per osservare / sibili di treni nel rapido transitare /….
Il treno era mito antico e sognante / cavaliere romantico o mostro di ferro /
tra solitudini segrete ed arcane passioni” (Ponte
sulla ferrovia); ama i vecchi tram sferraglianti della Milano invernale, un
po’ naif, che sono carichi di ricordi -ma non reliquario- misti al formulario
psicanalitico che nella quotidianità si dipana nel tragitto tranviario. Da
consapevole non turista della vita: “Sono innamorato dei tram di Milano /…sferragliano
con passione su e giù / avanti e indietro barcollando / a singhiozzo…” (Tram traballanti). E guarda affettuoso
le bancarelle dei mercati rionali, i mercati lungo i Navigli, i caffè del
centro coi loro tavolini d’epoca, le metropolitane dove la folla rapida si disperde,
“i tram ormai deserti sferragliano /… calca amorfa e indistinta / per le ultime
corse della sera / solitudini in nevrotiche dimore cittadine / (Ombre vaganti). Traccia una metafora
della vita e dei suoi cascami, con un pensiero fortemente analogico che diventa
poeticamente immagine pregnante, un binario morto.
Il
percorso di poesia e memoria continua coi rimandi a momenti della propria
storia, dell’infanzia, ai “cantieri di periferia” di un tempo e al girovagare
continuo di un fanciullo nei lunghi meriggi estivi: “Nel dopoguerra s’abitavano
case popolari / ove minuscole stufe a legna o carbone / s’erano sostituite all’allegro
fuoco dei camini… presso cantieri abbandonati/ scenari franti e rottami
vivevano / quasi lunari nell’arida desolazione” (Cantieri di periferia), “Un cortile e palazzi a ringhiera: / vecchia
Milano dove studente / stavo sui libri per qualche ora…” (Pendolo a muro).
Rivede
nostalgicamente le corti dell’infanzia, “mito domestico”, i giochi, le solitudini,
il tempo senza tempo (Corte dei sogni),
i ricordi lontani e nascosti.
Anche
l’impoetico diventa oggetto di meditazione, ammonimento, ricerca filosofica di
significato, come il paesaggio periferico milanese in fuga dal finestrino di un
treno.
La
natura nondimeno è costantemente presente come evocazione e nostalgia.
Leggo
alcune poesie individuando nel paesaggio pianeggiante periferico campestre
“nell’ampia pianura tra filari lineari / di amati pioppi e suggestive risaie
allagate / prati smeraldini… (Viottoli
campestri) “a primavera taluni campi si fanno laguna / sciabolate di luce
fendono le acque / casolari e cascinali si specchiano obliqui (Risaie a primavera) un paesaggio
tipicamente lombardo. Anche il paesaggio di lago, un paesaggio d’acqua, che è
quello delle periferie milanesi, offre la sua difficile strada del silenzio:
“La natura è altare del mistero / recondito mondo di cifre segrete / ove si
palesano metamorfosi e sublimazioni” (Canneti
e folaghe), ma anche quello di una natura violentata: “C’è una terra
intimidita da mostri inquietanti/ tetre ciminiere e draghi di cemento
soffocanti / incombono ad ingombrare sogni e futuro (Spiagge bianche)…, e “deserti metropolitani hanno sottilmente
invaso / le nostre vuote case” (Oro,
incenso e mirra). La poesia… diventa rivelazione, un linguaggio non più
della causalità razionale, o della vita pratica, ma qualche cosa che si situa
al di là della razionalità, al di là della vita pratica, e rivela qualcosa di
più forte, intenso, di più intimo: è come se la verità non si concedesse mai
intera, bensì in occasioni, illuminazioni, epifanie. Giustamente il Nostro può
concludere: “Il terzo occhio è quella vera luce/ che penetra nei tuoi stanchi
giorni /… É rara bellezza che ti fa visita / per farti sempre amare la vita… È l’intelligenza
del tuo universo / poesia che ti eleva a cieli siderali… (Il terzo occhio).
Maria Grazia Ferraris,
maggio 2020
Enzo
Concardi. NAIF
Guido
Miano Editore, 2019
mianoposta@gmail.com
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