TRACCE
DI UMANA SOLITUDINE
Guido
Miano Editore, 2020
Recensione
di Enzo Concardi
Fresco
di stampa (Milano, aprile 2020, prefazione di Nazario Pardini) è uscito l’ultimo
libro di Giovanna
de Luca, che raccoglie poesie e racconti sotto il titolo di Tracce di
umana solitudine.
La prima parte poetica si avvale soprattutto di contemplazioni naturalistiche, memorie di viaggio, riflessioni esistenziali, affetti domestici. Il centro delle sue liriche paesaggistiche consiste nel tratteggio d’immagini lacustri sovrastate dalla presenza della grande montagna che, da lontano incombe e sembra proteggere gli umani destini: “… / ti porto dentro, / fiera mia montagna, / ...” (Monte Rosa); “Dove si spegne l’onda di un battello” è il luogo di consuete passeggiate, intravedendo fantasticamente la malinconia camminare sull’acqua, strappando al più “una lama di sorriso” (Lungolago); in Pomeriggio ventoso, abbiamo poi la poetessa che veste i panni d’una pittrice, traendo dalla tavolozza dei colori suggestioni liriche delicate e rarefatte per raffigurare canne lacustri mosse dal vento: “... / muta suono il canneto, gelido / sferza in note di presagio”. Sono qui inserite anche quattro liriche tratte dalla raccolta Diario bretone (2019), anch’esse essenzialmente d’ispirazione paesistica, ma con inserzioni onirico-metafisiche. Sono quindi in parte impressioni di viaggio, in parte pensieri in libertà. Brest, Pointe Saint-Mathieu, Cap Frèhel, Saint-Malo riportano la memoria della poetessa ad altri luoghi, ad altri momenti di vita stimolanti e ricchi di suggestioni: l’oceano simbolo dell’infinito; spiagge rocciose dove sola scruta l’orizzonte; spazi sterminati che fuggono col tempo; i microcosmi di eriche, ginepri, terre rosse … e la magica immagine da leggenda del vento che si accoppia con la luna vestita da fata; ed ancora i gridi dei gabbiani sulle spiagge che penetrano ovunque, messaggeri misterici di suoni indimenticabili. Nell’insieme un mosaico poetico che sa parlare all’emotività del lettore, trascinandolo verso dimensioni e mondi inusitati.
La prima parte poetica si avvale soprattutto di contemplazioni naturalistiche, memorie di viaggio, riflessioni esistenziali, affetti domestici. Il centro delle sue liriche paesaggistiche consiste nel tratteggio d’immagini lacustri sovrastate dalla presenza della grande montagna che, da lontano incombe e sembra proteggere gli umani destini: “… / ti porto dentro, / fiera mia montagna, / ...” (Monte Rosa); “Dove si spegne l’onda di un battello” è il luogo di consuete passeggiate, intravedendo fantasticamente la malinconia camminare sull’acqua, strappando al più “una lama di sorriso” (Lungolago); in Pomeriggio ventoso, abbiamo poi la poetessa che veste i panni d’una pittrice, traendo dalla tavolozza dei colori suggestioni liriche delicate e rarefatte per raffigurare canne lacustri mosse dal vento: “... / muta suono il canneto, gelido / sferza in note di presagio”. Sono qui inserite anche quattro liriche tratte dalla raccolta Diario bretone (2019), anch’esse essenzialmente d’ispirazione paesistica, ma con inserzioni onirico-metafisiche. Sono quindi in parte impressioni di viaggio, in parte pensieri in libertà. Brest, Pointe Saint-Mathieu, Cap Frèhel, Saint-Malo riportano la memoria della poetessa ad altri luoghi, ad altri momenti di vita stimolanti e ricchi di suggestioni: l’oceano simbolo dell’infinito; spiagge rocciose dove sola scruta l’orizzonte; spazi sterminati che fuggono col tempo; i microcosmi di eriche, ginepri, terre rosse … e la magica immagine da leggenda del vento che si accoppia con la luna vestita da fata; ed ancora i gridi dei gabbiani sulle spiagge che penetrano ovunque, messaggeri misterici di suoni indimenticabili. Nell’insieme un mosaico poetico che sa parlare all’emotività del lettore, trascinandolo verso dimensioni e mondi inusitati.
Ad un
certo punto nel tessuto sostanzialmente naturalistico s’affacciano momenti
riflessivi più accentuati di sapore esistenziale - universale, memoriale ed
autobiografico - ed allora le composizioni oscillano tra l’idillio dalle
reminiscenze leopardiane e le meditazioni introspettive accoglienti
problematiche di ‘umana solitudine’. Si alternano immagini di un cigno
solitario sulle acque e le speranze antiche sfociate nel senso del mistero e
del nulla (Il
cigno); la poetessa chiede alle splendide fioriture primaverili
di lenire i suoi turbamenti (Il glicine); nella lirica Dall’uliveto
i pensieri si allargano a considerazioni sul dolore di tutti (“Dov’è il
mondo, di lacrime e di sangue?), sulla frenetica vita dell’oggi, presa nel vortice
dei dubbi, delle ansie, degli affanni dell’oblio; avanzano le memorie dolorose
delle persone amate che non sono più accanto, mentre l’oasi della natura sembra
imperturbabile al tutto, dalle betulle fruscianti al sole declinante, dalla
panchina nel prato al rosso della rosa. Ed ancora la voce del mare porta echi
di tragedie in una poesia rafforzata da anafore: “Se ti ascolto davvero, mare,
/ si tinge di sangue / lo splendore dei tuoi tramonti” (Se ti ascolto). La parte
lirica si conclude con il motivo della solitudine del poeta e della sua altezza
spirituale, che tuttavia può cadere come L’albatro di Baudelaire; con
una similitudine sulla condizione umana: “Ma cos’è un uomo? Niente più che un /
gomitolo di vita, avvolto su se stesso” (Ho fatto un volo); con l’invito
a raccogliersi in un angolo crepuscolare di mondo “... dove la/ pioggia ci
ascolti (Pioggia);
e con cenni di poesia domestica nel ricordo della madre. Lo stile riflette
i sentimenti e le emozioni dell’autrice e – come sostiene Nazario Pardini nella
prefazione – l’utilizzo di “... sinestesie, metafore, accorgimenti prosodici,
fanno del canto un azzardo oltre la misura della parola; un volo, en haut,
verso le stelle”.
La
seconda parte narrativa consta di racconti brevi ed alcuni flash emotivo-memoriali
senza trama (Stasera,
Piazzetta
San Lorenzo …). L’arte dell’autrice qui si rivela abile nel
coinvolgere il lettore nei ritratti dei personaggi; negli approfondimenti
psicologici specialmente con soliloqui e autoanalisi su errori, desideri, sconfitte,
scelte, progetti per un cambiamento di vita; nella capacità di sognare vite
diverse dal reale, ovvero da quelle vissute fino al momento del racconto; nel
far entrare nella seppur stringata trama situazioni reali di vita e condizioni
sociali dell’oggi; nel non trascurare l’importanza del contesto ambientale e
del paesaggio fino alla descrizione del particolare; nel continuo andirivieni
tra i momenti del tempo: l’anamnesi esistenziale, la realtà presente, la
proiezione ideale nella futurologia. Azzarderei definire la prosa della De Luca
un realismo onirico avvolto in un guscio metafisico, dove esiste quasi sempre
una chance di speranza per i personaggi, anche nelle contingenze più
drammatiche: inoltre il linguaggio della scrittura appare lirico nella limpidezza
del fraseggio, quasi più amante della sintesi che dell’analisi, e si sente la
mano della poetessa in diversi passaggi.
Tra i
personaggi più significativi annoveriamo uno scrittore che decide di non
scrivere più perché non ha avuto successo, non si è arricchito e si strugge per
aver scoperto che la scrittura è inutile; ma un bel giorno nella sua cittadina
apre una bellissima libreria: la vista dei libri gli fa provare la nostalgia di
essere stato scrittore, ed allora decide di ritornare sui suoi passi, si
rimette a scrivere con foga, per sé stesso, e si ritrova appagato in quanto
capisce che la scrittura ha un valore intrinseco e non funzionale a qualche
obiettivo diverso da quello artistico (La decisione). Un’anziana signora vive in
una bella casa isolata in mezzo alla natura, ma anche lei tende ad isolarsi
sempre più poiché “... avvertiva negli ultimi anni i limiti e gli inganni dei
rapporti umani”. Un giorno tuttavia da un incontro casuale con una giovane
madre ed il suo bambino nasce un “grazie” ricevuto inaspettatamente e capisce
che “le persone sono come acqua di torrente: hanno una voce e bisogna
ascoltarla: nient’altro” (Come acqua di torrente). E via di questo
passo, con la memoria di discriminazioni razziali e religiose (La fermata);
una giovane insegnante che ha un rapporto costruttivo con un suo allievo in
una classe di disadattati (Ragazzino); un uomo minacciato da un
usuraio che pensa al suicidio, una donna picchiata dal marito che fugge per
ricostruirsi una nuova vita, un portiere di notte che ha scelto questo mestiere
perché “odia qualsiasi prossimo” ma infine scopre la bellezza della natura e si
riconcilia con sé stesso e il mondo (Mondial Hotel); una donna dall’identità
indecifrabile che si reca a messa tutte le sere e fa la mendicante lungo la
via, stupendo un’altra fedele che la osservava (La ragazza della chiesa).
Storie, si, di “umana
solitudine”, ma anche ricche di voglia di vivere, di lottare, di riscattarsi
nella speranza di un domani migliore, elementi che si attanagliano alla visione
dell’autrice, forse incrinata dai mali del mondo, ma mai rassegnata al dato di
fatto e sempre protesa a nuovi traguardi.
Enzo Concardi
Giovanna de Luca
TRACCE DI UMANA SOLITUDINE
Prefazione di Nazario Pardini
Guido Miano Editore, 2020
mianoposta@gmail.com
Complimenti vivissimi a Giovanna de Luca per la pubblicazione delle sue delicate e raffinate poesie unite ad alcune prose già premiate in altre occasioni. la prefazione di N. Pardini ed il commento di E. Concardi contribuiscono, insieme alla visibilità su Lèucade, a darle una ottima occasione di farsi conoscere.
RispondiEliminaTi ringrazio di cuore! Sono commossa e felice, tutti siete generosi nell'esprimere il vostro apprezzamento!
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