Inventiva, creatività, fantasia, realtà
sono gli ingredienti della versatilità eclettica di una autrice che fa delle
sue doti scritturali la via della narrazione; di quella sana, buona, fluente, personale
che dal particolare riesce ad elevarsi alle soglie dello spirito universale. Le
parole corrono snelle e significanti in una stesura che risente della vocazione
al verso; alla musicalità, al ritmo,
alla melodia, tanto che non noterete grande differenza tra queste stesure
prosodiche e la euritmia grammaticale
che caratterizza la poetica di Maria.
Un vero susseguirsi di messaggi
personali che con il loro fresco dire ci avvincono e ci convincono. A voi la lettura...
Nazario Pardini
IN DIRETTA DALLA RAI: REINVENTIAMO L’ORA DELLE CAMICIE!
Essere non essere, stirare non stirare:
questo è il dilemma. Non so cosa serva poi questa citazione dotta, forse per
non perdere nel quotidiano, la mobilità della mente culturale. Il pensiero scantona, la volontà freme. Allora
attacco la sonata e comincio con la camicia a righe, poi a quadretti, seguendo
le linee così dritte, le trame ben inserite, il tutto così diverso da questo
tessuto umano segnato da improvvisi obliqui spazi disorientanti. La vita non è
quindi uniforme ma ugualmente occorre avere sempre dignità: una camicia ben
stirata. E fra il vapore penso a mio padre che in quanto a dignità la sapeva
lunga e cuciva cuciva le mostrine militari sulle divise consumate, aggiustava
bottoni, perfino le scarpe, là a Benjaminow, per non perdere la propria dignità
e quella dei compagni ufficiali. E scivolando veloce sul tessuto, ormai ho
preso la carica dei 101, penso a Levi che si lavava al mattino con l’acqua
mista a sabbia e terra per ripetere i riti del giorno. Allora rincuorata onoro
l’ora pensando a mia madre che diceva che non occorre stirare tanto: bastavano
collo e polsi, non perché credesse nell’immagine, piuttosto nella sostanza. Lei
credeva nelle cose essenziali perché si era fatta una guerra con lo sposo
internato, la madre e la zia anziane sulle sue spalle e per mano una bimba
piccina. Precedentemente aveva conosciuto di striscio la Spagnola e più tardi
aveva profondamente sofferto la perdita del padre ancora giovane. Quindi una
volta reduci da questa guerra, dovremo tendere all’essenziale per riscoprire il
senso vero della vita che è racchiuso in altre piccole cose. E sono già
arrivata alle lenzuola e mi chiedo allora a che serva stirarle? Ma poi ripenso
che così il sonno sarà orlato di bei fiori ben riassettati e il riposo più
sereno. Stiro però sinteticamente, ormai alla fine del mio lavoro. Ci sono ora
i pigiami: potrei piegarli e nulla più. Diceva però mia madre che, quando si va
a letto, bisogna essere in ordine perché qualsiasi cosa di inatteso possa
succedere, noi dobbiamo avere sempre la nostra dignità. E così stirando e
ripassando altri pensieri, ho ridato al momento faticoso una forma d’arte
creativa come omaggio alla vita. E Robinson ha sempre ragione: ogni ora del
giorno è da reinventare, scoprendone il senso più profondo, soprattutto in
questo nostro internamento.
7 aprile 2020
IN DIRETTA DALLA RAI: REINVENTIAMO
L’ORA! INSIEME NELLE CAMICIE
Quale dilemma scegliere ora? Nessuno,
basta riportare la voce di Robinson che insegna a reinventare il giorno
nell’isola deserta. E così senza ascoltare i bravi che dicono che non s’ha da fare, io procedo con le
camicie da stirare. E, tacca banda, non solo pensando al collo e ai polsi, cara
mamma, ma anche alle maniche. In questi giorni è più caldo e si può stare più
liberi senza pullover e, sempre per la dignità, ben stirati. Per farmi coraggio
nell’ardua impresa, oggi sono proprio tante, siamo proprio masochisti, col pensier mi fingo fra voi cenacoline,
con il ferro in mano tutte insieme con movimenti eleganti e con lo stesso
ritmo. Una visione dell’insieme che mi ricorda altre: sul campo davanti a casa,
donne, tante, a gruppi piegate a raccogliere tarassaco, con ritmi larghi della
mano, con uguali piegamenti, come un quadro d’altri tempi. L’insieme è tutto da
scoprire: è l’armonia umana tradotta in gesti e il mio dottore, caro amico
Ermanno, diceva che andare a pissacani
coi capelli al vento faceva molto bene e toglieva ogni irritazione. E
stirando più veloce, aumentato il vapore, altre visioni d’insieme sorgono, come
rituali incontrati in una stanza prospiciente all’aia in una casa della
campagna veneta: qui tante donne facevano merletti a fusello con il tombolo
come a Burano, sempre con armonia di movimenti e intenti. Lì acquistai delle
opere d’arte, incastro della mia tovaglia di bisso più bella, usata nei
battesimi, nelle comunioni, nelle solennità della famiglia. Ancora una volta la
vita si fa arte e io di pensiero in pensiero, di quadro in quadro, son quasi
giunta alla fine ma mi rimane quel centrotavola a stelle tutte all’uncinetto di
cotone bianco e mille trafori in mezzo, opera della nonna Pina, che devo
onorare. Qui l’amore per noi tre nipoti femmine ancora vince la morte e lei
rimane accanto a noi prona sul letto a cucire le stelle maggiori e minori come
in un cielo splendente agostano. L’insieme è manufatto di una sola persona mai
sola, sempre accompagnata dal rosario doloroso, anche allora nella Settimana
Santa. E candido splende il copriletto che rimane insieme memoria d’operosità,
grazia, affetto, bellezza.
Ecco, non trovo le lenzuola. Ah bene,
sono fuori al vento. Sarà lui a stirarle, a riassettare i fiori per un prato
fiorito nella notte. Anche qui è un insieme che crea un tutto armonioso. E
penso a mia madre che, anche se stirava l’essenziale, era l’armonia della casa
e proprio della Settimana Santa ne era la vestale. Ormai senza accorgermi ho
ingentilito con un colpo di ferro anche i ruvidi asciugamani di spugna
rileggendo col pensiero le pagine del nostro
tempo pasquale. E così concludo in gloria perché ripassare i ricordi buoni
in questo vento virale, lo dicono anche per tutti i quattro cantoni telematici
gli stregoni della psiche, infonde pace dentro e ridona pure vigore. Così sia
per me, per tutte voi, amiche care.
14 aprile 2020
IN DIRETTA DALLA RAI: REINVENTIAMO
L’ORA! CAMICIE MUSICANTI
Mattina di camicie musicanti al suono
di un’antica filastrocca ripescata da un album segreto di ricordi e compagna
delle ore d’oggi: la vispa Teresa avea
fra l’erbetta al volo sorpresa gentil farfalletta e tutta giuliva… Al ritmo
come a un refrain si muove il ferro sulle camicie, punizione questa per noi
nati come le uova, in camicia, non però con la camicia. Così vestiti infatti,
pur con cravatta e abito da ufficio direttivo, mio marito e il padre prima,
ritornati a casa vangavano, zappavano la terra dell’orto sempre come antichi
cincinnati. Quando il DNA è sbagliato non c’è niente da fare ed io, come un’oca
giuliva, poi li seguivo nel ruolo docente così bardata tanto che ero soprannominata
“la prof. in camicia”. Seguendo il pensiero e la mano e il ritmo interiore,
individuo il motivo di questa sortita musicale: una farfalla gialla riflessa
sulla vetrata aperta sul giardino pure con fiori di contorno, rosate azalee,
un’aquilegia blu e gentili veroniche nel sottobosco… Che fortuna, mi dico, che
questo pezzo di verde mi entri anche in casa fino all’asse da stiro e mi dia un
senso di libertà, purezza, respiro come se il vampiro usurpatore non avesse
messo mani e piedi nelle nostre vite! E nel canto interiore, nell’immagine
della vispa Teresa s’insinua il sibilo del vapore del ferro-amico che mi
ricorda di non perdere la testa: «Le stoffe, mi dice sbuffando, hanno suoni
diversi, più ruvidi, più teneri, quindi bisognosi di calore e mano adeguata».
In effetti è sapienza antica questa: i tessuti più faticosi, suono di carta
stropicciata, si rivelano malleabili, morbidi. Quelli rosei invece, teneri come
il suono di una piuma, si mostrano pieni di anfratti, di pieghe infinite da
decifrare come l’animo umano sempre da rileggere per i misteri che può svelare.
E così ricuperata la storia dei tessuti, altro suono s’insinua in questa strana
mattina, nel vento che si leva più forte fra le fronde: è il suono del treno
lontano che pure nella notte, in un’areata congiunzione, si posa sul davanzale
vivo presente: è il treno della vita che passa ignaro del dove e del quando
fermarsi per sempre. Ma a questa metafora dolorosa risponde un altro fischio
rimbalzante nell’anima: il fischio del treno alle Giarre, annunciato da molto
lontano, atteso da noi, Valeria, io ed i bambini. Quando passava era tutto un
saluto di mani bandierine, uno spettacolo di vita unico, emozionante, ora quasi
una nostalgia. Ma ci sta anche quella, ammorbidisce il cuore. Lo diciamo sempre
che è ristoro il ricordo dell’avuto, conquistato con fatica ma non assaporato
fino in fondo, negato come nostalgia da quei quattro stregoni della psiche che
propongono nuove proposte per cambiare il tutto salvandosi. Ma A ciascuno il suo, Sciascia, è vissuto
da ricuperare come linfa per il futuro. E l’ampiezza della campagna veneta,
quel suono insieme magico per noi allora giovani, mi richiamano altro
paesaggio, altra Voce che sublime si leva: a Milano, nell’anfiteatro di guglie
eterne, Bocelli solo nella pienezza immensa delle nostre anime strette dal suo
spiritual, dilata spazio e tempo ai campi di cotone neniati dai negri, fino
all’universo intero. Canto che univa, unisce come una preghiera in una distesa
illimitata di speranza, conforto, attesa. Quale emozione nuova Dio ci doni in
questa ora magra! E dando gli ultimi colpi di ferro più leggeri, penso a quando
Giulia suona Chopin e sento allora le note del suo pianoforte che si espandono
fino a casa nostra: un modo altro di stare insieme e di parlarci. E nella
musica armoniosa e gentile c’è tutto il suo mondo di attese tradite che
vorrebbe vivere, riavere. Ma poi le nostre parole al telefono colmano, a mo’
degli stregoni della psiche, i vuoti con ponti di fede, di progetti, come
nell’attesa dell’Evento quando ci cantavamo, sempre al telefono, i canti di
Natale: era uno stare insieme nella gioia del momento. Beata attesa, beata
nostalgia che donano vita a nuovi virgulti e speranza, così ora si abitano le
terrazze piene di canto, del suono dei violini, delle campane tutte distese per
sentirci più umani, più vicini. Ma io vado via di testa con questo ferro ancora
in mano mentre il vento sale e alza rumori di bufera. Basta, stacco… che gioia!
Posso raccontare dei suoni che mi hanno occupato l’anima e ripassare come al
solito pagine di vita, con il motto però che abbiamo davanti una strada da
costruire ogni giorno in modo diverso, secondo l’aria che tira. E coltivare
sempre la vita con un suono nel cuore perché, quando ci si sveglia al mattino
con una musica dentro o il ritmo di una filastrocca, compagne per lungo tempo,
è da ringraziare Dio. Questo angolo di fuga, di note, di musica, di poesia, è
un’altra risorsa interiore per salvarsi. Pure l’imminenza del suono del
campanello diviene vitale: è attesa-annuncio di un incontro umano, pur breve, a
distanze sociali, è un ritrovarsi nella nostra comune appartenenza. Ma se un
giorno di primavera un viaggiatore suona tre volte il campanello, si leva per
me la musica della famiglia ricomposta a distanza in giardino, nella cornice
fiorita esplosa di fiori di speranza: rose gialle senza spine illuminate da una
peonia rossa immensa. Ora si è abbassata la quota della felicità a noi
concessa, basta questo suono amico per ridonarci la beata quotidianità.
21 aprile 2020
IN DIRETTA DALLA RAI: PERSONE IN STIRATURA
Il vento fra le rose, il grigiore della pioggia, ristoro
magro per la terra, la voce della radio ossessionante il numero dei morti,
stiro ormai pacata con il mestiere nobilitato dal pensiero che libero si muove
secondo sua vocazione. Ed ora insegue il carro con le bare dentro, illacrimato,
senza alcuna pietà. L’ho scritto anch’io, vorrei gridare in assonanza con la
radio: «pietà di quei morti orfani dell’ultima sillaba, del non detto, di quel
fiore non dato» o virgiliana pietas! Vorrei gridarlo anch’io, non per
protagonismo di stiratrice ma per manifestare l’appartenenza. E con sospiro
penso: per fortuna che i nostri genitori sono morti da tempo, illibati da
questo orrore, anche se la fine di mio padre, in un nuovo internamento è una
storia da decodificare. E mi congratulo per la camicia a righe rosa fucsia: bel
colore adatto all’ora, buona stoffa, puro cotone dal Giappone, al seguito di
Nico mio cognato, assiduo ai congressi in oriente, donata da mia sorella perché
allora la Bice mi tagliava, mi cuciva, cuciva perfino le gonnelline per la
Giulia con gli scampoli delle mie camicie. Bella questa appartenenza: siamo
singoli in un insieme, una famiglia allargata che appartiene al mondo intero,
anche se questa, a dire il vero, si paga ora a esorbitante prezzo. E guardo,
sulla parete a lato, Alex in foto: costume da rugbista in piena meta. Come deve
soffrire ora di questa sua vita rubata che lo fa sentire stretto anche nel suo
giardino, ed è già fortunato, con disagi esistenziali. Allora bisogna dilatare
lo spazio fino all’albicocco dei nonni, arrivarci, arrampicarsi fra i rami, poi
sedersi sull’erba, a distanza sociale, e parlare col papi, coi nonni compagni
di giorni interi: «che bello star qui in pace all’ombra dei rosai» sussurra
Alex come un adulto. Ascoltando il suono della sua voce così tenera ho già
stirato altre due camicie anche se uno spirito negativo dentro si chiede a che
vale darsi tanto daffare se c’è intorno questo vampiro usurpatore che ci
assedia, ci assilla: tutto in un attimo si stropiccia come la rosa raccolta
ieri in giardino. Ma il senso della vita da portare avanti è proprio nelle
piccole cose da riscoprire e amare. E dai! E mi risuona il dolce verso francese
Mignonne, allons voir si la rose
Mignonne, allons voir si la rose / Qui
ce matin avait déclose / Sa robe de pourpre au soleil, / A point perdu cette
vesprée, / Les plis de sa robe pourprée... // …Ô vraiment marâtre Nature, /
Puis qu’une telle fleur ne dure / Que du matin jusques au soir !...
E il pensiero che si fa musica e non si
ferma mai è compagnia, evasione e si accorda magicamente con quello che stiro.
Sono col ferro sopra i colori di una tovaglia intima per due: lino bianco, dono
della zia Pina, più passamaneria alta a mele rosse intere, aperte, a spicchi di
cromatico effetto. È dal mercato di Rubano, altro luogo del cuore che col poco
sa creare. È tutta una trama la vita, infinita ed ecco zia Pina che ritorna a
me sposa, maestra di stiro per vestiti e camicie da uomo, lei ne aveva un’intera
tribù. Così si cresceva allora insieme in ogni avventura, umili e grati alla
mano che si offriva. E lei è come se mi fosse accanto: guarda ora, zia Pina,
che splendente è la tovaglia intima: la stendo quando provo malinconia perché
dona luce e colore. Guarda, faccio concorrenza alla Valentina che ha nel cuore
la sua terra ucraina rivissuta con me in musica e poesia. E così ho completato
il lavoro anticipato al lunedì piovoso, affollato di pensieri perché di
domenica li mando tutti in vacanza, come quelli del mio libro, edito a
dicembre, ora come perso nel vento virale, che mi sta nello stomaco come un
macigno. E così ho compiuto la quarta stiratura con il piacere di pensare in
libertà e scrivere. Mi perdonino quelli che non hanno tempo per i malati di
fantasia!
28 aprile 2020
A dir poco avvincente la lettura di questi quattro racconti della cara Maria Luisa Daniele Toffanin, che ho avuto l'onore di conoscere e premiare. Ero consapevole delle sue capacità poetiche, non la conoscevo in prosa e devo dire che questo mese d'aprile scandito dal 'canto' del ferro sulle stoffe di varia fattura, ricorda per ritmo e armonia una ballata. Questo dolcissimo componimento musicale a carattere sentimentale, diviso in quattro tempi - settimane - ha la grande struttura dell'allegoria di un'intera vita attraverso l'atto dello stirare e la presa di coscienza di un fermo - vita e di orrori inimmaginabili. Tutte le componenti di questa metafora esistenziale hanno come filo conduttore il passo di danza della Scrittrice, che narra, seduce, avvolge, coinvolge. Gli eventi del passato riemergono dai territori della memoria e la saudade è palpabile... nei periodi tragici il potere dei ricordi può essere sfiancante e curante al tempo stesso... Le verità della vita lievitano nelle righe e tra di esse e spesso commuovono, in quanto le storie evocate nel giro di ballo sono condivisibili ed è risaputo che la Letteratura autentica crea uno stato di empatia tra chi scrive e coloro che leggono. Posso dire di essere uscita arricchita in ogni senso da questo valzer con il ferro da stiro, anche se non ho stirato meravigliose tovaglie o lenzuola cucite da parenti. Le camicie sì... e da oggi in poi le vivrò con levità e con la fantasia in libertà. Grazie Maria Luisa, possiedi un talento straordinario! Ti abbraccio, insieme al caro Nazario che con il suo incipit ha dato voce alle prime note.
RispondiEliminaRICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaCarissimo Nazario, come ti ho già detto per telefono, quando leggo le tue note critiche mi commuovo sempre perché sento nelle tue parole essenziali, fluide e agili la cultura e la competenza di una vita, insieme a tutta la tua umanità che le rende autentiche. Proprio di chi conosce l’anima dell’autore, in questo caso la mia. Affermo che la tua presenza nella mia poesia è preziosa e mi dà conforto, rassicurazione, invito a procedere: è la voce di un grande amico.
Con affetto,
Maria Luisa Toffanin