CLAUDIO COMINI
LA POETICA DELLA BELLEZZA E DELLA FEDE
Di
Sandra Magrograssi Bondavalli
Claudio Comini è
definito “il poeta del lago”: di quel lago, il Maggiore, di cui canta le voci,
i borghi, i momenti che gli appartengono e che ricorrono in tante delle sue
numerosissime pubblicazioni, compresa l’ultima Nella
Tua giustizia mio Dio (Guido Miano Editore, 2020). Il Comini è divenuto negli anni una
figura rilevante del panorama letterario italiano, non fosse altro che per la
mole di pubblicazioni, di riconoscimenti e di premi che caratterizzano il suo
percorso autoriale. Conseguentemente numerose sono le pagine critiche che hanno
accompagnato le sue raccolte. Di lui è stato detto tutto. Sono stati
sottolineati l’aspetto intimista dei suoi versi, la sua ricerca esistenziale di
un senso della vita, la meraviglia della bellezza che trova in ogni angolo del suo lago e in ogni dove,
la sua sensorialità, lo straripare della sua spiritualità e l’umiltà di un
metro prosaico, colloquiale, illuminato di immagini fiorite da un vero e
proprio istinto poetico che guida la sua penna nell’esprimere riflessioni,
impressioni, sentimenti e ricordi. Sottolineate sono, significativamente, le
sue iconiche illuminazioni che transitano sempre in riflessioni profonde sul
destino umano, oppresso dall’eterna dicotomia tra bene e male. Nella Tua giustizia mio Dio, l’ultimo dei suoi componimenti, si
ritrovano tutti questi temi, sia nelle Nuove
poesie che nella silloge retrospettiva di Altre poesie che ne costituisce la seconda parte. E ancora l’estrema
angosciosa contrapposizione è risolta nella luce della fede, nella certezza
dell’appoggio divino, nella presenza di un Creatore in ogni bellezza
ristoratrice, esempio concreto di una giustizia soprannaturale che sola porta
in lui alla riconciliazione spirituale e alla serenità del vivere: è la “mano del maligno” che “vuole prevaricare / sulla bontà dell’essere
umano” (La Tua legge mio Dio); “Ho letto già / della tua grande
giustizia / che è nei cieli più infiniti / ...sorgente che disseta / quelle
anime cadute in rovina” (Sempre tu nei
cieli più infiniti);
“contro le avversità che la vita / mi pone d’innanzi /... si crei la pace / che
dia respiro alla mia e alle anime / di tutti i viventi” (Giustizia). Il Comini è un’anima tremula e
vibrante, che si disseta principalmente alla fonte della fede innalzando con il
suo canto una costante e convinta preghiera al Principio di ogni cosa,
fiduciosa in quella giustizia che sembra non essere poi così sicura nelle mani
dell’uomo. Siamo nell’ambito della preghiera poetica, calata pienamente in una
“dimensione religiosa della poesia” di cui Giovanni Cristini definisce gli ambiti nel
saggio La freccia e l’arco (pubblicato
in Storia della letteratura Italiana. Dal
Secondo Novecento ai giorni nostri, vol. IV 20203, Guido Miano Editore).
I motivi delle sue
fantasie e del suo pensiero simbolico, il suo essere visionario sono legati
indissolubilmente, quindi, alla spiritualità, ad una religiosità poetica che
tutto trasfigura nel racconto della bellezza, testimonianza dell’orma divina
nell’ovunque creato. Anche il vento e le onde del lago divengono il segno di
questa narrazione: a volte carezza divina: “Sul lago spira una dolce brezza / accompagnata
dal melodioso suono dell’arpa” (Sempre la tua
mano Signore); o “spiagge
di questi luoghi di incomparabile / e incontaminata bellezza / che l’onda
infrange e bagna delicatamente” (Tutto è luce); altre, invece, segnale della sciagura che l’uomo stesso determina
con il proprio mal agire “tutto sta lentamente andando in rovina / e l’onda un
domani distruggerà tutto” (Oggi soprattutto)
o “Il vortice dei venti / mio immenso Signore, / porta battaglie e guerre” (Giustizia). Sostanziale poi, nei versi del
poeta, il tema della Luce, ricorrente elemento visivo della sua percezione, ma
anche e soprattutto allegoria, metafora della presenza di Dio. E ogni volta che
i sensi vengono ammaliati dallo splendere di un tramonto o di un cielo
stellato, il pensiero corre sempre nel profondo al soprannaturale; i colori, i
profumi, le voci e il suono di campane si fanno elementi indispensabili del suo
rapimento creativo, a cui il poeta si abbandona senza riserve con l’animo puro
del fanciullino pascoliano: “L’esaltazione di infuocati tramonti / la si vede
nella Tua celestiale luce, / farsi viva sul lago” (Una
luce celeste), “La Tua
luce stasera al tramonto / Brilla sulle acque del lago / mentre l’onda sospinta
dal vento / s’infrange sulle frastagliate rocce/ dei Castelli di una
spumeggiante Cannero” e ancora “Brillano sul lago / le luci / di mille e più
stelle / dove l’eco della voce degli angeli / corre tra le spumeggianti onde” (Luci sul lago al tuo celestiale tramonto);
e ancora e ancora: “La festa paesana / nella brillante e lucente / città di
Ascona, / dove s’odono ancora i rintocchi / delle campane a festa, / dare
inizio a canti celestiali” (Tutto ritorna).
Il Comini, con umile
grazia, si dichiara autodidatta e in continua ricerca di strumenti letterari di
affinamento del suo stile, là dove, però, il lettore ha già compreso la forza
del suo afflato poetico, proprio in quell’urgenza che lo contraddistingue, nella
sua fiducia non tanto in un “teatro della parola” ma in un vero e proprio
“teatro dell’anima”. Egli ha trovato nella poesia la risposta precisa alla sua
esigenza di colloquiare innanzitutto con se stesso, di esprimere un suo
percorso di nutrimento spirituale e di comparteciparlo al mondo nell’intimo
credo che ogni forma di male possa essere risolta nella Luce divina della fede.
Per comprendere a
fondo questa sua urgenza, dovremmo riascoltare la sua voce nell’intervista del
2002 che Maria
Cristina Gallicchio ha cercato, percorrendo gli stessi itinerari del
poeta sulle rive del suo lago: “continuerò a gridare ...la bellezza della
natura e tutta la mia rabbia e il mio desiderio di una vita migliore per tutti”
e “non so ancora quando verrà il giorno, ma intanto scrivo per non far morire
dentro la speranza che in ogni stagione muta colore”. Sono, queste,
dichiarazioni di un’umanità prorompente che travalica la delicatezza e la
sensibilità della sua anima di poeta; sono dichiarazioni che restituiscono
forza e determinazione nel continuare a percorrere i sentieri della poesia per
sé e per i lettori tutti, come se, istintivamente, il suo canto si facesse
carico, fuori dal tempo, di un apostolato similmente francescano, indicando
nell’accoglimento della bellezza del creato un vero e proprio contatto
spirituale e un percorso di salvezza.
In tante sue pagine
ritroviamo un vissuto intriso di sofferenze che egli richiama nei versi della
memoria: “Non ho riportato a riva / i ricordi del passato, / le gioie del
presente / hanno steso un velo sui tristi giorni vissuti” (Nulla
verrà dimenticato). E
pure: “Fitti nodi / tra le spine delle rose/feriscono l’allegria / che si schiude,
/ sciogliendosi come ghiaccio / sopra il fuoco ardente”. (Tra
le spine). La
testimonianza del Comini, nel suo abbandono, ci svela come non ci sia felicità
senza un cammino di sofferenza, ma è alla fine di quel sentiero che il poeta
assapora la Luce e il conforto della speranza: “risalire la dorsale più
impervia del cuore, / per rivedere le bellezze di una primavera / più
rigogliosa che mai” (Sussulti dal
profondo). È un
messaggio che arriva straniero in un mondo troppo spesso cinico e superficiale come
il nostro presente, un messaggio che ci riporta comunque alle metafisiche priorità
del nostro vivere, indipendentemente dall’abito mentale di ciascuno, gnostico o
agnostico che sia.
Sandra
Magrograssi Bondavalli
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