mercoledì 10 giugno 2020

S. MAGROGRASSI BONDAVALLI LEGGE: "NELLA TUA GIUSTIZIA MIO DIO" DI CLAUDIO COMINI, GUIDO MIANO EDITORE




CLAUDIO COMINI
LA POETICA DELLA BELLEZZA E DELLA FEDE

Di Sandra Magrograssi Bondavalli

Claudio Comini è definito “il poeta del lago”: di quel lago, il Maggiore, di cui canta le voci, i borghi, i momenti che gli appartengono e che ricorrono in tante delle sue numerosissime pubblicazioni, compresa l’ultima Nella Tua giustizia mio Dio (Guido Miano Editore, 2020). Il Comini è divenuto negli anni una figura rilevante del panorama letterario italiano, non fosse altro che per la mole di pubblicazioni, di riconoscimenti e di premi che caratterizzano il suo percorso autoriale. Conseguentemente numerose sono le pagine critiche che hanno accompagnato le sue raccolte. Di lui è stato detto tutto. Sono stati sottolineati l’aspetto intimista dei suoi versi, la sua ricerca esistenziale di un senso della vita, la meraviglia della bellezza che trova  in ogni angolo del suo lago e in ogni dove, la sua sensorialità, lo straripare della sua spiritualità e l’umiltà di un metro prosaico, colloquiale, illuminato di immagini fiorite da un vero e proprio istinto poetico che guida la sua penna nell’esprimere riflessioni, impressioni, sentimenti e ricordi. Sottolineate sono, significativamente, le sue iconiche illuminazioni che transitano sempre in riflessioni profonde sul destino umano, oppresso dall’eterna dicotomia tra bene e male. Nella Tua giustizia mio Dio, l’ultimo dei suoi componimenti, si ritrovano tutti questi temi, sia nelle Nuove poesie che nella silloge retrospettiva di Altre poesie che ne costituisce la seconda parte. E ancora l’estrema angosciosa contrapposizione è risolta nella luce della fede, nella certezza dell’appoggio divino, nella presenza di un Creatore in ogni bellezza ristoratrice, esempio concreto di una giustizia soprannaturale che sola porta in lui alla riconciliazione spirituale e alla serenità del vivere: è la “mano del maligno”  che “vuole prevaricare / sulla bontà dell’essere umano” (La Tua legge mio Dio); “Ho letto già / della tua grande giustizia / che è nei cieli più infiniti / ...sorgente che disseta / quelle anime cadute in rovina” (Sempre tu nei cieli più infiniti); “contro le avversità che la vita / mi pone d’innanzi /... si crei la pace / che dia respiro alla mia e alle anime / di tutti i viventi” (Giustizia). Il Comini è un’anima tremula e vibrante, che si disseta principalmente alla fonte della fede innalzando con il suo canto una costante e convinta preghiera al Principio di ogni cosa, fiduciosa in quella giustizia che sembra non essere poi così sicura nelle mani dell’uomo. Siamo nell’ambito della preghiera poetica, calata pienamente in una “dimensione religiosa della poesia” di cui Giovanni Cristini definisce gli ambiti nel saggio La freccia e l’arco (pubblicato in Storia della letteratura Italiana. Dal Secondo Novecento ai giorni nostri,  vol. IV 20203, Guido Miano Editore).
I motivi delle sue fantasie e del suo pensiero simbolico, il suo essere visionario sono legati indissolubilmente, quindi, alla spiritualità, ad una religiosità poetica che tutto trasfigura nel racconto della bellezza, testimonianza dell’orma divina nell’ovunque creato. Anche il vento e le onde del lago divengono il segno di questa narrazione: a volte carezza divina: “Sul lago spira una dolce brezza / accompagnata dal melodioso suono dell’arpa” (Sempre la tua mano Signore); o “spiagge di questi luoghi di incomparabile / e incontaminata bellezza / che l’onda infrange e bagna delicatamente” (Tutto è  luce); altre, invece, segnale della sciagura che l’uomo stesso determina con il proprio mal agire “tutto sta lentamente andando in rovina / e l’onda un domani distruggerà tutto” (Oggi soprattutto) o “Il vortice dei venti / mio immenso Signore, / porta battaglie e guerre” (Giustizia). Sostanziale poi, nei versi del poeta, il tema della Luce, ricorrente elemento visivo della sua percezione, ma anche e soprattutto allegoria, metafora della presenza di Dio. E ogni volta che i sensi vengono ammaliati dallo splendere di un tramonto o di un cielo stellato, il pensiero corre sempre nel profondo al soprannaturale; i colori, i profumi, le voci e il suono di campane si fanno elementi indispensabili del suo rapimento creativo, a cui il poeta si abbandona senza riserve con l’animo puro del fanciullino pascoliano: “L’esaltazione di infuocati tramonti / la si vede nella Tua celestiale luce, / farsi viva sul lago” (Una luce celeste), “La Tua luce stasera al tramonto / Brilla sulle acque del lago / mentre l’onda sospinta dal vento / s’infrange sulle frastagliate rocce/ dei Castelli di una spumeggiante Cannero” e ancora “Brillano sul lago / le luci / di mille e più stelle / dove l’eco della voce degli angeli / corre tra le spumeggianti onde” (Luci sul lago al tuo celestiale tramonto); e ancora e ancora: “La festa paesana / nella brillante e lucente / città di Ascona, / dove s’odono ancora i rintocchi / delle campane a festa, / dare inizio a canti celestiali” (Tutto ritorna).
Il Comini, con umile grazia, si dichiara autodidatta e in continua ricerca di strumenti letterari di affinamento del suo stile, là dove, però, il lettore ha già compreso la forza del suo afflato poetico, proprio in quell’urgenza che lo contraddistingue, nella sua fiducia non tanto in un “teatro della parola” ma in un vero e proprio “teatro dell’anima”. Egli ha trovato nella poesia la risposta precisa alla sua esigenza di colloquiare innanzitutto con se stesso, di esprimere un suo percorso di nutrimento spirituale e di comparteciparlo al mondo nell’intimo credo che ogni forma di male possa essere risolta nella Luce divina della fede.
Per comprendere a fondo questa sua urgenza, dovremmo riascoltare la sua voce nell’intervista del 2002 che Maria Cristina Gallicchio ha cercato, percorrendo gli stessi itinerari del poeta sulle rive del suo lago: “continuerò a gridare ...la bellezza della natura e tutta la mia rabbia e il mio desiderio di una vita migliore per tutti” e “non so ancora quando verrà il giorno, ma intanto scrivo per non far morire dentro la speranza che in ogni stagione muta colore”. Sono, queste, dichiarazioni di un’umanità prorompente che travalica la delicatezza e la sensibilità della sua anima di poeta; sono dichiarazioni che restituiscono forza e determinazione nel continuare a percorrere i sentieri della poesia per sé e per i lettori tutti, come se, istintivamente, il suo canto si facesse carico, fuori dal tempo, di un apostolato similmente francescano, indicando nell’accoglimento della bellezza del creato un vero e proprio contatto spirituale e un percorso di salvezza.
In tante sue pagine ritroviamo un vissuto intriso di sofferenze che egli richiama nei versi della memoria: “Non ho riportato a riva / i ricordi del passato, / le gioie del presente / hanno steso un velo sui tristi giorni vissuti” (Nulla verrà dimenticato). E pure: “Fitti nodi / tra le spine delle rose/feriscono l’allegria / che si schiude, / sciogliendosi come ghiaccio / sopra il fuoco ardente”. (Tra le spine). La testimonianza del Comini, nel suo abbandono, ci svela come non ci sia felicità senza un cammino di sofferenza, ma è alla fine di quel sentiero che il poeta assapora la Luce e il conforto della speranza: “risalire la dorsale più impervia del cuore, / per rivedere le bellezze di una primavera / più rigogliosa che mai” (Sussulti dal profondo). È un messaggio che arriva straniero in un mondo troppo spesso cinico e superficiale come il nostro presente, un messaggio che ci riporta comunque alle metafisiche priorità del nostro vivere, indipendentemente dall’abito mentale di ciascuno, gnostico o agnostico che sia.

Sandra Magrograssi Bondavalli




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