Oltre la siepe
Pa’ si svegliava ritrovando il solito
orologio ad anello con la suoneria esposta sul ricongiungimento del cerchio che
finiva con un fiocco di ottone; ritrovava i soliti giochi di ombra e di luce,
le solite finestre esposte al sole, il solito torpore d’ambra, il solito
sorriso canuto e cattivo della madre.
Intanto pensava che lontano da quella
stanza non potesse vivere, pensava non potesse vivere senza quella stanza di
nebbia, che attutiva come pareti di gomma la sua angoscia.
Era arrivato ormai ad una certa età vivendo
di speranza: quale di preciso non lo sapeva! Una cosa sapeva: che la vita è
l’istante e nell’istante il dolore si manifesta come la forza di ciò che manca!
Sperava che la sua vita sarebbe in
qualche maniera cambiata, forse in meglio. Un proverbio antico di suo nonno
napoletano diceva: “Chi vive speranno vive cacanno”. Pa’ non era mai riuscito a
farsi valere con le parole, che considerava come un bene di lusso di cui sapeva
fare solo un uso disordinato e squilibrato. La paura di vivere si faceva sempre
più forte, perché il limite fisico si faceva più forte.
Le medicine che prendeva per affrontare la
vita, in realtà, lo ponevano in uno stato di umiltà, diminuiva così la sua
pretesa nei confronti degli amici e riusciva persino ad essere in alcuni aerei
momenti stranamente felice. Perché aveva tanto immaginato sulla sua vita
futura. Ora la sua esistenza procedeva apparentemente tranquilla, tra i pianti
e le pretese di una vecchia madre con manie di efficienza, tra un sorriso
mozartiano e il comportamento rispettoso di alcune persone e tra le paure di
regredire. I suoi incubi ricorrenti erano due: non voleva diventare un vecchio
feto canuto e non voleva continuare ad essere un bambino piccolo senza la forza
di fare niente. I due incubi erano Shakespeare. Perché proprio Shakespeare,
forse perché il “to be or not to be” con tutta la carica ancestroesistenziale
viveva nella sua anima; anche se l’epitaffio di un grande attore era così
messo: “Qui giace colui che ormai non ha più bisogno di fare “to be or not to
be” perché è morto”; forse perché fare l’attore era stato sempre il suo sogno,
come l’emergere della persona affascinante che fa scoprire nel buio della
propria anima una verità presente ma sconosciuta, forse perché attualmente
amava una donna dalla voce stentorea che parlava di sciamani e di teatro delle
ombre, lasciando trasparire una giocondità fanciullesca sotto un’apparenza
autoritaria e severa. Perché Pa’ ad un certo momento della sua vita aveva fatto
“tilt”, ma venti anni fa la sua muta depressione l’aveva portato a non essere
più se stesso, ma al senso del teatro, perché non riusciva ad avere più
spettatori.
Infatti Amore, A-mare senza l’a privativo,
è uscire dal mare delle depressioni della gente che vive solo per trovare il
momento giusto per ucciderti, anche con una parola, con un commento. Gli veniva
spesso in mente la commedia di Pirandello “non si sa come”. Pirandello gli
piaceva molto perché secondo lui era l’autore che dimostrava meglio la
drammaticità dell’inconsapevolezza: ognuno di noi con la propria solitudine
offre all’altro uno specchio da interpretare su cui fare proiezioni che
iniziano a parlare quando tu inizi, tu specchio.
Sentiva che le strade più lontane lo avrebbero
riportato a se stesso ma non voleva uscire da quella sua stanzetta. La sua
stanza era lo spazio chiuso, era il sogno, era l’amore non dimenticato di lei,
una ragazza che non si era mai accorta di lui e lo aveva trattato come un caro
confidente e poi aveva scelto un’altra persona. Pa’ viveva nella critica feroce
che faceva alle banalità della gente sempre pronta a rischiare per il successo,
i soldi, invece per lui che senso aveva la parola “succedere” a cinquant’anni?
Gli anni passavano alla ricerca delle amiche che gli facessero dimenticare che
il tempo migliore era passato, invece gli amici erano sempre lì, invece le
amiche le cercava, amiche in cui vedere anche il suo femminile che a volte lo
turbava e che era causa di tanti suoi rimorsi, quel femminile che era anche la
madre sempre tirannica nei suoi riguardi. Pensava spesso ad Archimede: un corpo
riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al volume del liquido spostato,
così il dolore, pensava che quanto più è corposo tanto più si riceve una spinta
dal basso verso l’alto pari al dolore subito. Poi immaginava che avrebbe
superato questo dolore, il dolore di sentirsi diverso. Questo sottile dolore di
non sentirsi mai adeguato.
Il grande dolore ormai era finito, erano
rimasti i torpori, i colori di ambienti, di alcuni volti inseriti nella
memoria, colme piaghe viscide del tempo. L’onta si era asciugata, erano rimaste
alcune pozzanghere nel suo cuore non proprie integrate con il resto della sua
vita. Guardava ancora le persone e le cose come un bimbo che ha rubato la
marmellata e ha paura della madre. La gente continuava a dire che non sapeva
vivere. Sembrava che in quella sua delicatezza dicesse: “scusate ma ci sono
anch’io”, era, guarda caso, il pensiero stampato sulla partecipazione di
battesimo, quando la madre aveva scelto tra tante partecipazioni proprio quella
con l’angioletto che entrava in una casa portando tale messaggio.
Pa’ a volte non sapeva se era nato e
pensava al suo grande amico di università, quegli abbagli che si incontrano
nella propria vita di studio, quelle amicizie che danno il senso alla tua vita
ma che velocemente deludono, appunto quell’amico si chiamava Nato. In fondo,
lui pensava, se mi chiamassi Nato, mi ricorderei che ho diritto a stare su
questa terra e ho anche il dovere di essere felice al più presto! Forse la
mancanza di affetto, di una libido serena gli faceva dimenticare che viveva nel
vortice “terra”. Il suo unico risveglio ad una vita equilibrata si
personificava nell’architetto conosciuto tanti anni prima, una donna bella,
aggressiva, trasgressiva che interpretava le poesie di Prevért durante le feste
che organizzava nella sua immensa casa, lei lo aveva introdotto alla vita vera,
agli affetti, all’amore e anche alla cultura architettonica, con lei infatti
aveva imparato chi fossero i manieristi francesi del Cinquecento, chi fosse
Beardsley. Si ubriacò per due anni interi e perse il posto di lavoro quando gli
disse che si sarebbe sposata la settimana successiva con un medico tedesco con
cui aveva consumato un intenso colpo di fulmine di una settimana. La vita con
lei se ne era un po' andata, con la separazione da lei aveva sentito che la
vita vera era da un'altra parte, lui la vita vera non l’aveva neanche sfiorata,
l’alcool lo aiutava ormai ad essere meno timido, più attento alla giungla in
cui si vive. A livello interiore, dopo tale dolore, aveva cominciato a sentire
una sensazione ricorrente che la vita vera assomigliava all’infinito. La vita
vera era il mare dentro di lui, il mare che doveva uscire e farsi presente. La
vita vera era aspettare il tramonto con una persona da abbracciare prima che
venga la notte. Rivedeva come in un flash-back le amiche, gli amori che avevano
un po' esorcizzato la sua solitudine. Pensava all’amica chirurgo che l’aveva
operato a quell’ernia, al suo sorriso giovane ed entusiasta, pensava alla sua
paura di esistere, di non riuscire a mettersi con nessuna delle sue amiche
perché aveva paura del confronto con gli altri uomini più giovani e più danarosi
di lui. Pensava alla sua assurda miopia venuta fuori con l’alcool, che gli
faceva desiderare le donne più perfette e lineari che non avrebbero mai potuto
vederlo. Non se ne accorgeva eppure la vita stava sempre più andando verso
l’essenziale. Pensava, tutte le volte che stava per uscire da una situazione,
al suo grande amore, all’architetto, lei le diceva che la vita è chiedere,
mendicare ciò di cui si ha bisogno, allora perché lui non le aveva mai chiesto
di essere aiutato a lasciarsi andare? Lei era delicata e bellissima nelle forme
dolci e voluminosamente piccanti. Lui le portava spesso i fiori nel suo grande
studio sul lago quando andava a trovarla e leggeva le sue poesie.
La sua vita sarebbe cambiata con un sì. Lo
stesso sì di Girola ma nella commedia religiosa del “Miguel Manara”, lo stesso
sì che può cambiare la vita di una persona rispetto ad un’altra che non riceve
tale positivo bisillabo, lo stesso sì di Beatrice per Dante, un sì non detto ma
trovato espresso nel cuore di lei. Tutti i grandi cambiamenti, tutte le grandi
conversioni erano nate da un fatidico sì. Ormai i desideri di Pa’ erano sempre
gli stessi con una fisicità martoriata da quindici anni di clausura, voleva
solo un certo tipo di compagnia, “La felicità, diceva, è come il bisogno di Dio
e il bisogno d’infinito, quindi anche se stanno sempre nell’altra stanza è
importante che tu sappia che ci siano, il bimbo chiama sempre per sapere se la
madre è vicina ed è tranquillo solo se ha tale certezza anche se lei non gli è
davanti”. Una mattina di tarda primavera
Pa’ come al solito uscì per fare la spesa, si fermò a guardare varie vetrine e
poi vicino ad un’agenzia di viaggi: “Perché non partire, che senso ha rimanere
per tutta la vita in un luogo”. Mentre faceva tale considerazioni prese per un
viottolo di sterpaglie che lo portava lontano dalla via principale del suo
paese e dei suoi quartieri. Camminava come un bambino che ormai non voleva
trovare la strada di casa, tanto non ne aveva nessuna, intanto nella sua
memoria si accavallavano le memorie delle umiliazioni subite e dei dolori,
ricevuti da persone familiari grette e astute, pian piano il suo cuore
diventava sempre più leggero, man mano che incominciava a salire su quella
collina sentiva le sue gambe più leggere. Quando i suoi passi si fecero più
incalzanti sentì vicino a lui una strana presenza, che lui avrebbe osato dire
“mozartiana”.
Mentre camminava pensava tra sé: “il limite
è la possibilità di consistere”, cominciò a sentire una presenza accanto a lui:
qualcosa che lo avvolgeva, lo proteggeva dagli incubi della memoria e dai venti
della montagna. “Forse”, pensò, “è una presenza mozartiana”, perché per Pa’
Mozart era il bambino divino, la genialità che lui avrebbe voluto avere a dieci
anni, con queste considerazioni cominciò a sentire echi di voci e di canti di
ragazzi. Il suo passo era diventato sempre più incalzante, era come se tale
presenza lo sollevasse leggermente dal terreno erboso, odoroso di pioggia,
ancora bagnato di brina, per farlo arrivare prima alla sommità del sentiero
nascosto da cespugli stepposi e profumati di lamponi. Mentre cominciava ad
arrivare alla fine del viottolo pensava dove potesse aver visto tale sentiero
di cui comunque non aveva mai conosciuto l’esistenza, gli sembrava a momenti di
stare sul Gran Paradiso, a momenti sul Pollino, quasi sicuramente erano
paesaggi legati ai suoi Appennini, ma non ne era proprio sicuro, tutto però gli
era molto familiare. Quando le voci diventarono più insistenti e i canti si
fecero più nitidi si accorse di essere arrivato, dopo l’ultimo tornante, vicino
all’ultimo cespuglio. Vide tre ragazzi intenti a segnare su gli ultimi massi la
strada e chiese loro: “Ma dove siamo?”. Una ragazza dai capelli mielati intenta
fino allora a mettere a posto lo zaino si voltò verso di lui e gli disse
divertita: “Come, non sai, siamo vicino alla ‘grande baita’, vicino a ‘la casa
del Padre’, Pa’ non si era accorto di aver superato ottocento metri di
dislivello, che cosa era successo? Non gli importava di sapere, sentiva sempre
più costantemente una presenza, vicino, chi? Forse era un Angelo mozartiano.
Tra i ragazzi diciottenni, stanchi e lamentosi per il cammino percorso, si fece
di nuovo avanti la ragazza dai capelli mielati che lo invitava a finire il
percorso insieme a lei e lo prese per mano. Pa’, dopo un attimo di smarrimento,
accettò il tutto e cominciò a parlare. Venne a sapere che frequentava
l’università, che aveva avuto due delusioni d’amore che era stata spesso
sconfitta dalle emozioni e dalla vita. Aveva una voce sibillina così entusiasta
e gioviale che non sembrava dovesse essere di una donna arrendevole. “Però”,
pensava Pa’, “l’apparenza a volte inganna”. Con lei e con gli altri arrivarono
alla “Grande Baita”, entrarono e trovarono un grande camino acceso e una tavola
imbandita, dei bracieri rinfocolati da un vecchio montanaro dal sorriso dolce e
pieno d’azzurro e simpaticamente furbesco, si lavarono, mangiarono e alla fine
della serata giocarono vivacemente a carte. Intanto Pa’ sentiva che tutto
accadeva in quelle ore per riscaldargli il cuore. Nel disegno misterioso che
teneva i fili del suo destino ci doveva essere anche quell’avvenimento, così,
in quella serata di tarda primavera, Pa’ uscì da quel rifugio con lei e dopo
aver contato le stelle e dopo aver giocato a “Cime tempestose” lui,
naturalmente “lo zingarello”, e lei, la “principessa” si baciarono teneramente.
Pa’ si chiedeva dove fosse ma era troppo felice per porsi troppi banali
problemi: passarono insieme una settimana, tra camminate il mattino, e alla
sera a contare le stelle, tra canti, baci e abbracci. Quanto tempo fosse
passato non lo sapeva, una settimana, un anno, un secolo, un millennio? Dopo un
giorno lunghissimo di luce, almeno così a lui sembrava, dal poco senso
temporale che gli era rimasto, mentre erano vicini al grande tavolo per
l’approssimarsi della cena, Pa’ cominciò a meditare seriamente di voler vivere
con lei ma improvvisamente sentì su di lei la visurizzazione di un angelo,
percepì su di lei anche due lunghissime ali che lui maldestramente misurò, nei
segreti della sua coscienza. Mentre Pa’ aveva la sensazione di avvicinarsi al
momento della fine di tale insolito periodo aveva la percezione sempre più
nitida che la sua amica non fosse proprio un “animale terrestre”, ciò dipendeva
dal fatto che lei rispondeva alle sue domande, a quelle più inusitate e banali,
prima che lui le dicesse a voce. Così come in tutte le belle storie che
finiscono anche per Pa’ arrivò “il momento della mezzanotte”. Dopo saluti e
abbracci con tutta l’allegra brigata, si ritrovò con lei vicino al solito
cespuglio, ma mentre la baciava lei scomparve e vicino a lui, rimase un fiore
di incomparabile bellezza e profumo, a metà tra il giglio e la dalia, che
cominciò a scatenare in lui non solo rimpianti, ma anche desideri e vibrazioni
meravigliose per una vita dove niente sia banale perché sia sempre presente il
tutto; dove il senso della finitezza respiri con l’infinito nell’istante
vissuto, poiché, non è mai censurato nulla e tutto si riconosce come sintomo di
Dio che fa capolino nella tua esistenza. Pa’ aveva capito tutto ciò attraverso
l’amore insieme ad un bisogno tangibile di concretezza che lei gli aveva
suscitato. Pa’ aveva capito che spesso i limiti fisici, psicologici, sono una
grazia, perché solo allora avviene la svista, e quindi la concretezza, succede
di imbattersi con la strada di montagna dove incontri qualcuno che ti fa venire
la voglia di innamorarsi. Allora chi è l’angelo, quello che incontri, quello
che vorresti incontrare? Pa’ aveva ricevuto nel fiore intenso e profumato una
staffetta dell’angelo e lui doveva affrettarsi a darlo ad un’altra persona,
diventando egli stesso amore, forse anche innamorarsi facendo innamorare,
difficile cosa quando non si è l’Angelo incontrato; mentre meditava tali cose,
il fiore profumava sempre di più, all’improvviso sentì il bip del cellulare,
era la madre che lo invitava ad affrettarsi a portare la spesa del pranzo.
Breve Biografia di Angela Cuomo
Angela Cuomo vive a Genzano di Roma, docente di
lettere in un liceo della zona, ha vinto nel 2004 il premio nzionale di poesia
‘Ossi di Seppia’ad Arma di Taggia (Imperia) con degli inediti, poi ha
pubblicato la raccolta ‘Scrosci di silenzio’, ha partecipato a vari concorsi di
poesia ottenendo menzioni, premi speciali e classificandosi nella terna dei
vincitori come nel giugno scorso2019 al premio
‘Il giardino segreto dell’anima’a Tramonti (Amalfi). E’ stata
organizzatrice di eventi letterari. La sua ultima raccolta inedita che
comprende varie sillogi si intitola ‘Dove il giorno è più lungo’.
E' una storia bellissima, scritta in punta di penna, con sobbalzi di fantasia e pronti ritorni di grande emozione. Fantasia e Realtà sono così bene intrecciate che ci puoi stare comodamente in mezzo e non ti accorgi quando l'una ti stringe o l'altra ti lascia andare. Così sei in un Altrove, dove trovi una compagna di viaggio che ti rende felice: la Riflessione.
RispondiEliminaComplimenti all'Autrice di questo racconto che non ha definizioni, ma si allarga fino all'infinito...
Edda Conte.
Grazie mille cara amica poeta. L'ho scritto ispirandomi anche un po' ad un amico che purtroppo ho perso di vista che viveva alla Zeichen , però non completamente fuori dalla società.
EliminaUn racconto psicologico, surreale, dove si narra il sofferto superamento di una condizione psichica che costringe all'isolamento e ad una sorta di stagnante attesa. Pà "era arrivato ad una certa età vivendo di speranza", con un pungente dolore di non sentirsi adeguato alla vita. Le delusioni amorose lo avevano spinto in una depressione insuperabile e si era gettato nell'alcol, nell'insana e inconscia pretesa di aspettative e doni dovuti, senza doverli conquistare. All'improvviso la svolta: si trova a camminare, nel sogno, in un sentiero di montagna dove avverte sempre più vicina una "presenza mozartiana", la presenza di un Angelo che lo invita ad "una vita dove niente sia banale perché sia sempre presente il tutto". Così può uscire dal sogno con il desiderio di affrontare finalmente la vita, con determinazione e concretezza. Una prosa bellissima.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Franco Campegiani
Grazie mille Franco, hai colto l'essenza, come al solito.Io sono un po' tutti i personaggi.Mi sono ispirata ad un amico che viveva un po' alla Zeichen e che mi invitava a scrivere quasi come autoterapia . Poi ho sempre amato la prosa poetica , alcuni brani di prosa poetica sono anche nella mia prima raccolta per ora pubblicata'Scrosci di silenzio'
RispondiEliminaQuesto intenso racconto , scritto in maniera impeccabile, esplora le emozioni e la psiche del personaggio che dopo tanti tormenti ed insoddisfazioni riesce a trovare uno spiraglio di luce per iniziare un nuovo percorso di vita, ti coinvolge da voler sapere l'epiloto il prima possibile. Complimenti Angela !
RispondiEliminaC'è chi vive e chi si lascia vivere.La vita va vissuta fino in fondo.Bravissima Angela
RispondiEliminaC'è chi vive e chi si lascia vivere.La vita va vissuta fino all'ultimo.
RispondiEliminaC'è chi vive e chi si lascia vivere.La vita del personaggio del racconto è vissuta fino in fondo.Grazie Angela
RispondiEliminaLa vita di questo personaggio è vissuta fino in fondo.Grazie Angela per questo elogio alla vita
RispondiEliminaDopo aver letto “Oltre la siepe “ mi sono resa conto , con maggiore coscienza , di quale intensa sensibilità ed intelligenza sia la mia amica e collega Prof.ssa Angela Cuomo.
RispondiEliminaEssere insegnante certamente ha indotto la nostra Artista ad “ imbastire “ una trama da una parte programmatica e dall’altra innovativa nell’ottica di essere orizzonte e contingenza allo stesso tempo.
Con il personaggio del racconto ognuno di noi ci si può identificare…
Che bella quella sensazione di rabbia e ribellione allo stesso tempo nei confronti del mondo adulto controverso!
Spesso e volentieri si tratta più della realtà adulta esterna che dei nostri genitori. Purtroppo se i genitori sono deboli ricalcano quel senso del dovere per compiacere il sistema esterno che si realizza grazie al “sacrificio” dei loro figli.
Pà quando rifiuta tutto questo, ossia negare la propria vita sceglie l’estremo per poter vivere.
Conoscere la “donna architetto” per Pà è vivere finalmente!
Ma questo “finalmente” diventa straziante, devastante…È simile alla descrizione che fa Freud dell’Es, rimandando ovviamente alla Volontà di vivere di Schopenhauer…
Ma nonostante l’alcol, la perdita di lavoro Pà si identifica con la sua intelligenza che gli dona la consapevolezza di camminare, di sentire i profumi e…di sentire accanto a sé l’Angelo.
Angelo che gli dona la pace, l’armonia nell’abbraccio, nei baci che allietano l’esserci per giungere ad una baita speciale, e perdere il senso spazio temporale per poi ritornare alla realtà.
Ma ciò non è un mistero perché Pà ha mostrato di essere semplicemente se stesso nella sua trasparenza di essere.
Alfonsina Malandrino
Complimenti ad Angela. La narrazione sembra prenderci per mano ed accompagnarci in un viaggio dal passo psicanalitico che ha insieme la leggerezza dell'adolescenza e la profondità di un percorso iniziatico: misterioso, onirico ma luminoso al tempo stesso, come nella chiusura inaspettata e ristoratrice. Sara Calì
RispondiEliminaNel racconto di Angela il protagonista Pa vive ,sotto gli occhi della madre intenta a"sorvegliare e punire",una vita scontata,ovvia e banale nell'angusta "stanza della tortura"dove l'orizzonte dei sogni e delle speranze diventa prima lasco poi nebuloso. Pa " uomo senza qualità" è avviato al declino e alla regressione.Sotto il sole nero egli si era smarrito per il peso di amori incompiuti e il senso estremo dell'inadeguatezza appena lenito da un vago femminino consolatorio che sarebbe stato l'unica strada per uscire dalla marginalità, rientrare nel gorgo della vita e ripartire verso praterie sconosciute. Eppoi la ragazza mielata come "angelo necessario".Si avviano insieme,come Petrarca e il fratello ascendono al monte Ventoso,per arrivare in cima alla grande baita dove farsi inondare dalla luce(Secretum).Il racconto di Angela è una grande matafora dell'esistenza.Pa siamo noi,Pa rappresenta le tenebre che ottundono i nostri occhi quando non vedono più le aurore e,nel contempo,ci lancia una ciambella di salvataggio.Il sentiero della salute,questa volta,non è un camminamento limaccioso e irto ma un'epifania,un'intuizione profetica e improvvisa che ci fa riconoscere l'angelo che ci sta accanto e che ha deciso di restarci,nonostante i suoi andirivieni.
RispondiEliminaCarmelo Ucchino
RICEVO E PUBBLICO
EliminaLa tua analisi mi ha molto colpito. E’ bellissima piena di riferimenti letterari. Mi ha colpito l’ascesa al monte Ventoso di Petrarca. In fondo molti grandi autori parlano della salita ad un monte, ad esempio Dante verso il colle luminoso su cui viene bloccato dalle tre fiere e soprattutto l’ascesa del Purgatorio . Pavese ne ‘La casa in collina’ . Leopardi. Insomma ti ringrazio tantissimo per la tua attenzione
Angela Cuomo
Angela Cuomo ci conduce alla scoperta di un'anima tormentata e irrisolta, per la quale l'emozionante attesa della felicità si degrada piano piano nell'amaro gusto di una solitudine rassegnata, tra le quattro mura di una stanza nebbiosa. Ma qualcosa accade, qualcuno si fa presente, e subito l'anima sperduta è condotta a rialzare lo sguardo.
RispondiEliminaGrazie Angela, per questa delicata meditazione sul dolore e sulla speranza.
Pa'è un personaggio onirico, che affiora delicatamente, privato dei suoi tratti fisici ma vivo e nitido nella sua personalità. Viaggio in un'interiorità tormentata e sofferta, il racconto propone in Pa'una critica ai valori banali della società dei consumi, ma nello stesso tempo fa affiorare le incertezze e le debolezze di un cinquantenne che faticosamente cerca il senso della propria esistenza.
RispondiEliminaGrazie, Angela, il tuo bellissimo racconto è anche per noi un'esperienza di riflessione.
Quando Angela Cuomo mi ha invitato a leggere e commentare "Oltre la siepe" ha definito il suo testo "un miniracconto". Direi che il racconto non è "mini" in nessun senso, né come lunghezza né come livello di elaborazione e di capacità di narrare, con alternanze, richiami e assonanze poetiche, rapsodiche, in costante contrasto tra passioni e riflessioni.Sono lieto del piccolo "sviamento", perché questo racconto mette in evdienza anche il lato narrativo della poetessa Cuomo, e, in nuce, potrebbe, chissà, anche contenere le basi per la costruzione di una storia di più ampio respiro, magari un racconto lungo o un romanzo.
RispondiEliminaUna cosa è certa: il racconto si leggere volentieri, per la consistenza del livello del ricordo con l'empatia di fronte alle emozioni, alle pulsioni, al fertile contrasto tra morale e istinto, inclinazione naturale, deisderio e destino.
L'auspicio di ulteriori (mini)racconti per Angela e un caro saluto anche a Nazario Pardini che ha ospitato questo suo scritto.
Ivano Mugnaini
"Oltre la siepe". È impossibile non cogliere l'intensità del racconto di Angela. In poche pagine viene perfettamente descritta l'essenza della condizione umana. Emerge l'interorita di una persona quasi astratta ma con le pulsioni ed i pensieri che possono essere di tutti noi. È la dimensione in cui tutti viviamo, l'inconvenienza di esistere, non sappiamo come e perché siamo venuti al mondo ma sappiamo che la nostra esistenza è a termine. Vogliamo vivere per essere felici, ma la nostra vita è fatta di un passato ormai alle spalle e di un futuro che non conosciamo. Rimane solo il presente, un attimo fuggente che non ci garantisce la felicità. È inevitabile pensare a Giacomo Leopardi (non solo nel titolo del racconto). Così siamo portati oniricamente a vivere tra realtà e immaginazione.
RispondiEliminaAd Angela un grazie di cuore.
Ettore Franceschi
"Oltre la siepe". È impossibile non cogliere l'intensità del racconto di Angela. In poche pagine viene perfettamente descritta l'essenza della condizione umana. Emerge l'interorita di una persona quasi astratta ma con le pulsioni ed i pensieri che possono essere di tutti noi. È la dimensione in cui tutti viviamo, l'inconvenienza di esistere, non sappiamo come e perché siamo venuti al mondo ma sappiamo che la nostra esistenza è a termine. Vogliamo vivere per essere felici, ma la nostra vita è fatta di un passato ormai alle spalle e di un futuro che non conosciamo. Rimane solo il presente, un attimo fuggente che non ci garantisce la felicità. È inevitabile pensare a Giacomo Leopardi (non solo nel titolo del racconto). Così siamo portati oniricamente a vivere tra realtà e immaginazione.
RispondiEliminaAd Angela un grazie di cuore.
Ettore Franceschi
"Oltre la siepe". È impossibile non cogliere l'intensità del racconto di Angela. In poche pagine viene perfettamente descritta l'essenza della condizione umana. Emerge l'interorita di una persona quasi astratta ma con le pulsioni ed i pensieri che possono essere di tutti noi. È la dimensione in cui tutti viviamo, l'inconvenienza di esistere, non sappiamo come e perché siamo venuti al mondo ma sappiamo che la nostra esistenza è a termine. Vogliamo vivere per essere felici, ma la nostra vita è fatta di un passato ormai alle spalle e di un futuro che non conosciamo. Rimane solo il presente, un attimo fuggente che non ci garantisce la felicità. È inevitabile pensare a Giacomo Leopardi (non solo nel titolo del racconto). Così siamo portati oniricamente a vivere tra realtà e immaginazione.
RispondiEliminaAd Angela un grazie di cuore.
Ettore Franceschi
"Oltre la siepe". È impossibile non cogliere l'intensità del racconto di Angela. In poche pagine viene perfettamente descritta l'essenza della condizione umana. Emerge l'interorita di una persona quasi astratta ma con le pulsioni ed i pensieri che possono essere di tutti noi. È la dimensione in cui tutti viviamo, l'inconvenienza di esistere, non sappiamo come e perché siamo venuti al mondo ma sappiamo che la nostra esistenza è a termine. Vogliamo vivere per essere felici, ma la nostra vita è fatta di un passato ormai alle spalle e di un futuro che non conosciamo. Rimane solo il presente, un attimo fuggente che non ci garantisce la felicità. È inevitabile pensare a Giacomo Leopardi (non solo nel titolo del racconto). Così siamo portati oniricamente a vivere tra realtà e immaginazione.
RispondiEliminaAd Angela un grazie di cuore.
Ettore Franceschi
"Oltre la siepe". È impossibile non cogliere l'intensità del racconto di Angela. In poche pagine viene perfettamente descritta l'essenza della condizione umana. Emerge l'interorita di una persona quasi astratta ma con le pulsioni ed i pensieri che possono essere di tutti noi. È la dimensione in cui tutti viviamo, l'inconvenienza di esistere, non sappiamo come e perché siamo venuti al mondo ma sappiamo che la nostra esistenza è a termine. Vogliamo vivere per essere felici, ma la nostra vita è fatta di un passato ormai alle spalle e di un futuro che non conosciamo. Rimane solo il presente, un attimo fuggente che non ci garantisce la felicità. È inevitabile pensare a Giacomo Leopardi (non solo nel titolo del racconto). Così siamo portati oniricamente a vivere tra realtà e immaginazione.
RispondiEliminaAd Angela un grazie di cuore.
Ettore Franceschi
Complimenti. Racconto di grande respiro che tocca il mistero del vivente.
RispondiEliminaRICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaLa tua analisi mi ha molto colpito. E’ bellissima piena di riferimenti letterari. Mi ha colpito l’ascesa al monte Ventoso di Petrarca. In fondo molti grandi autori parlano della salita ad un monte, ad esempio Dante verso il colle luminoso su cui viene bloccato dalle tre fiere e soprattutto l’ascesa del Purgatorio . Pavese ne ‘La casa in collina’ . Leopardi. Insomma ti ringrazio tantissimo per la tua attenzione
Angela Cuomo
Un questo racconto c'è tutto. La vita, la morte, la resurrezione, le speranze, le delusioni. Ma si scorge anche la sofferenza vera di chi prende coscienza dei propri limiti e non sa tradurre la consapevolezza in azione. Condizione troppo comune nella nostra società che non protegge i deboli e non crea condizioni di riscatto umano. Ne emerge un quadro desolante ma nello stesso tempo uno stimolo forte a chi può fare di più per cambiare il corso delle cose. Grazie Angela.
RispondiEliminaRICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaAd Alfonsina Malandrino
Carissima il tuo commento mi ha commosso. La tua analisi sui genitori di una volta è veramente centrata così la reazione del protagonista. Quindi analisi psicologica finissima e riferimenti culturali ne fanno un commento di grande spessore Grazie
Ad Ivano Mugnaini
Grazie Ivano per la tua analisi sulla mia narrazione, elaborazione, e puntualizzazione sul rapporto empatia ed emozione. Mi ha felicemente colpito che tu abbia apprezzato la mia narrazione e l'auspicio che possa procedere all'elaborazione di un romanzo breve.Grazie
A Sara Calì
Grazie Sara hai puntualizzato un aspetto , credo molto vero forse definibile come flusso di coscienza il passare dalla realtà al sogno senza che il lettore se ne accorga, presente nella narrazione. Tu con la tua esperienza di critico letterario hai rilevato l'aspetto onirico del personaggio. Grazie
Angela Maria Cuomo
Angela Cuomo ha il dono della capacità letteraria. Ogni racconto, ogni poesia, sono gioielli da indossare.
RispondiEliminaRICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaCommento di Francesca Chiodo
Cara Angela,mi è piaciuto leggere e rileggere il racconto perché ho provato un grande coinvolgimento. Paragono la descrizione dei sentimenti al moto di un pendolo che dai desideri si muove verso la realtà,passando attraverso i sogni.E’ un moto perpetuo, non si arresta mai perché è sempre alla ricerca di stabilità…
Francesca 1954
Mi perdo nell'universo simbolico del bellissimo racconto di Angela e sprofondo fin dall'inizio in un gioco di riflessi..come di un labirinto degli specchi...di me madre, donna,..uomo.La percezione del limite della quotidianità esistenziale di Pa' è quella di ognuno di noi e la possibilità, anzi la certezza del riscatto mi conforta dalla sofferenza delle tante "cadute"nel sentiero della vita. Prosa delicata, attenta, efficace ...pronta ad accompagnare il cammino comunque affascinante di un uomo verso la trasfigurazione dell'umana spiritualità.
RispondiEliminaUn racconto veramente sorprendente. Inizia che sembra una descrizione, una stasi e invece, proprio senza farcene accorgere, ci porta lungo la vita del protagonista, nell'intimo delle sue esperienze e, sempre senza farcene accorgere, ci rivela l'indicibile, un piccolo germoglio di speranza, che non è leggerezza ma è lieve profondità, come la spinta di Archimede. Mi ha colpito inoltre la scelta delle parole, per la loro sottile e guizzante diversione dall'attesa, per il loro saper pescare in un attimo nella rete delle emozioni e delle esperienze. Complimenti, Angela!
RispondiEliminaRICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaQualcuno ha detto che per definire livello letterario di un’opera, uno dei sicuri parametri di valutazione possa essere riscontrato sin nelle prime righe di un racconto o di un romanzo; e che in quelle righe uno scrittore, degno di essere definito tale, sia già in grado di anticipare e promettere ciò che svilupperà nel prosieguo: in nuce, come in un raccourci microscopique, lì in quel primo approccio è già contenuta la sintesi e la promessa del soggetto di un racconto, la trama, la qualità letteraria, il tono, lo stile.
In ossequio a questa definizione, nel recarmi in una libreria, in un remainder o bancarella per l’acquisto di un testo letterario che potesse soddisfare la mia sete di lettrice, mettevo in pratica quell’indicazione di cui in realtà non ero al tempo a conoscenza: prendevo il volume tra le mani, ne leggevo il titolo, il nome dell’autore e poi ne sfogliavo cautamente le pagine, per soffermarmi sulle prime righe che scorrevo avidamente al fine di comprendere se quel testo facesse al caso mio, se fosse in grado di dare una risposta adeguata alla mia ricerca e sapesse rapirmi in un mondo che valesse la pena esplorare.
Dalla lettura di quelle prime righe già sapevo se l’autore m’avrebbe deluso o annoiato, se mi stessi trovando davanti a un gigante della Letteratura o a un mediocre scribacchino; e intuivo se, seppur mascherato dietro una penna felice, l’autore stesse offrendo una bellissima ma eterea bolla di sapone, pronta a scoppiare per inconsistenza e vacuità al primo refolo di vento.
Così, quando ho iniziato a leggere il racconto di Angela Cuomo, “Oltre la siepe”, ho applicato in automatico quel vaglio inconscio; e al termine del primo capoverso, il mio animo si è aperto in un sorriso di soddisfazione e appagamento: mi trovavo davanti a un testo ben scritto, narrato con un linguaggio alto, poetico, che prometteva rivelazioni e forse anche colpi di scena sul protagonista, fotografato nella semplice azione di alzarsi al mattino, ma pronto ad inciampare da subito nell’antagonista: “ritrova i soliti giochi di ombra e di luce, le solite finestre esposte al sole, il solito torpore d’ambra, il solito sorriso canuto e cattivo della madre”.
Una promessa esaltante, che il resto del racconto non sconfessa.
L’autrice segue il proprio personaggio calandosi nelle sua realtà mentale e fisica, spirituale.
Come già avveniva per i testi di Elsa Morante, non è decisivo per me seguire le involuzioni ed evoluzioni del personaggio, che in questo racconto pure sa regalare al lettore spaccati di vita avvincenti, calati in un mondo puntuale dove nulla è lasciato al caso, ma lasciarsi permeare dalla bellezza della prosa, che spesso si fa verso, fraseggio; e non a caso utilizzo il termine “fraseggio”, che si palesa quando la scrittura sfiora il sublime, si fa musica e ti avvolge come in un soffice bozzolo da cui speri di non dover più uscire, così come avviene nel presente racconto: l’alta qualità del linguaggio, il tocco delicato e raffinato, l’atmosfera rarefatta e piena di rimandi, riescono a evocare un mondo conchiuso in sé, che ti trasporta in un’avventura di cui non conosci l’epilogo, eppure sai che se ti lascerai guidare docile, curioso e fiducioso, al termine del viaggio sarai ricompensato, e ne uscirai più ricco poiché ti è stata donata una piccola, preziosa perla da custodire nel cuore per sempre.
Questo ho sempre cercato in un testo che possa definirsi Letterario, sì con la L maiuscola.
E in questo racconto di Angela Cuomo, l’ho trovato.
ANTONELLA GRASSI