RECENSIONE A “NON E’ UN CASO” DI JACOPO
CHIOSTRI
Che cosa sono le coincidenze significative?
Quand’è che la spiegazione causale non basta ma si introduce qualcosa di
inspiegabile tra un evento e l’altro, che banalmente chiamiamo “caso”?
In questo intrigante romanzo, l’ultimo arrivato
del prolifico scrittore Jacopo Chiostri, si introduce qualcosa di insolito, che
forse per la prima volta salta all’occhio delle sue indagini. La parola chiave
è “sincronicità” e ogni tanto sembra richiamare alla memoria dell’inesauribile
commissario Gennaro, uno strano discorso che distrattamente aveva fatto col suo
predecessore a capo della squadra mobile De Fortis. Di ciò in seguito gli chiederà ragguagli,
impressionato dalla curiosa connessione tra gli eventi che tracciano la vicenda
su cui sta indagando, dove una giovane rom scompare durante un furto col
fratello in una villa, dopo aver rubato un cofanetto con dentro una pistola che
poi si scopre essere stata usata per uccidere a Torino un restauratore di
quadri antichi. Di mezzo c’è anche un oscuro pittore ucciso a Firenze mentre
cerca di mettere in salvo un misterioso quadro. Si scopre poi che lo stesso
quadro si trovava proprio nella villa dove è scomparsa la ragazzina, di
proprietà di un famoso medico fiorentino il cui segretario si occupa di
acquistare opere d’arte la sua collezione privata. Oltretutto il quadro in
questione sembra avere il dono dell’ubiquità fino a che non si scopre … ma non
dico assolutamente altro, per non preoccupare i lettori, perché il libro è
pieno di intrecci e suspense tipiche del miglior giallo che si rispetti e
merita il coinvolgimento totale. Ma, al solito, per il genio di Jacopo Chiostri
il libro non è solo questo. Infatti c’è qui un altro racconto dell’esperienza
d’anima del commissario, reduce dal bellissimo Hash Md5, dove la condanna della banalità del male si mescolava, in
una atmosfera quanto mai surreale, con l’umana compassione per la paradossale
disturbata natura dei personaggi. Qui invece si apre la prospettiva di un
misterioso senso che lo stesso Gennaro non riesce bene a decifrare, ma che lo
guida quasi magicamente ad una… “interiore” soluzione del caso. E per la prima
volta Gennaro comincia a pensare che ci sia un legame tra le cose o forse anche
un messaggio nascosto che guida la ricerca della verità.
E succede che con la sincronicità degli eventi,
con le coincidenze non casuali attraverso cui tutta la vicenda si dipana, ci si
muove come su di un’onda che all’improvviso si trasforma in particella, per poi
diventare ancora un’onda, e come materia e spirito i fenomeni si alternino e si
intreccino , come l’oggetto e il soggetto, o il fatto e la sua interpretazione.
E come nella fisica quantistica vale il
principio di indeterminazione di Heisemberg: perché niente si può sapere con
assoluta certezza, ma con un certo grado di approssimazione si può immaginare
come siano andate le cose, e qui l’intuizione di Gennaro gioca un ruolo
fondamentale, molto di più che la concatenazione di cause ed effetti che di
solito sembra prevalere nella logica razionale delle indagini. E “non è un
caso” che qui entrino anche in gioco i sentimenti di chi indaga.
Succede anche che diversi dei personaggi
implicati nella vicenda via via vengano uccisi, per una sorta di nemesi che la
giustizia terrena non può che constatare stupita…ed è come se il male,
muovendosi tra le più basse e le più alte sfere, si mostri come una drammatica
lotta per la sopravvivenza che si capovolge infine in una macabra danza di
morte. E qui il pessimismo del commissario -
e dello scrittore che vive profondamente nel personaggio - non può che
essere esasperato. Ma intanto il cuore batte di preoccupazione per Lucica, la
ragazzina rom, e per quello sguardo intenso del padre di lei che prega con un
mesto sorriso senza parole, e per quella povera madre, insieme forte e fragile
che non riesce, con tutta la sua intransigenza, ad impedire ai figli di andare
a rubare, costretti dalle condizioni di miseria in cui la famiglia vive. Gennaro spera fino all’ultimo di ritrovare la
ragazza, con la paterna complicità di chi non ha figli ma sa vivere con tutta
la sua sensibilità l’angoscia di quella famiglia, in fondo brava gente, pensa,
diversamente dal potente onorevole di turno implicato nella vicenda. E dalla
più larga piega del risvolto umano e sentimentale emerge anche un piccolo ma
significativo risvolto di denuncia, nell’implicita riflessione su una società
squilibrata dove la legge non riesce davvero ad essere uguale per tutti. E non
basta a risolvere il problema la pur grande serietà e umanità di qualcuno.
Un’umanità, quella di Gennaro, che va ben oltre lo spirito di legalità a cui lo
obbliga il suo ruolo e che trasmette ancora una volta commozione, mentre
indirettamente ci rivela il pensiero dell’autore su ciò che davvero conta nelle
nostre vite.
Giusy Frisina
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