La "preghiera" di Nazario
Pardini
(Alla LUNA)
In questa "vocazione" Pardini
si rivolge la Luna nel duplice stato d'animo onirico dell'esaltazione di
un'apparizione dolce e mistica e di una deludente ingannevole, consunta
presenza Celeste.
La Luna è il "sogno" del Poeta,
è il complice desiderio della tenerezza dell'anima che coglie il passo della
Ninfa sul lago, e ne accompagna l'impatto cromatico con la vaghezza di ebrezze
misteriose che la gioventù enfatizza, trasformando i contorni di immagine nelle
notti di luce.
E tutto il "mondo" si
confonde nella visione del "dono" lunare: occhi, anima, pelle, seno,
sogno, lago, ninfee, cantori pagani, misteriose presenze...
Ma la visione della memoria non può
durare a lungo: si atrofizza con l'autunno e la Luna "perde" se
stessa contemporaneamente.
Il Poeta la richiama alla serietà della
visione (ora che cosa sei?), ne denuncia la luminosità caduca e fatua,
sottolineando la debolezza di una promessa che si trasforma in "bugia"
atroce dell'inganno.
La Luna ha dunque perso il proprio
fascinoso "sogno": è solo apparenza pallida, fantasma disperato e
caduto dal "cielo" per divenire "terrestre" nel simbolo
onirico, quindi difettoso e zeppo di ombre lamentose che nulla possono
condividere con l'illusione divina primitiva.
Il "notturno" di Pardini è
solo una chimera lontana e fuggitiva, rifugio di sogni impossibili, drammaticamente
terrestri e senza vie apparenti d'uscita trascendente.
Ma non tutto termina nell'inganno.
La forza lirica del Poeta non si ferma,
ma contrasta la negatività dell'apparizione più vera con una trasformazione/inversione
spirituale di estrema profondità emotiva.
Non è la beffa lunare che vince la
sfida, ma la divinità dell'Essere che guida il meditare e ne circonda il
sofferto con la "preghiera" di una sincera elevazione/invocazione
notturna.
Il dolore si attenua prodigiosamente,
l'autunno svanisce, l'oracolo lunare riprende quota e forse il Poeta nella "preghiera"
(o invocazione) vorrebbe recuperare il momento perduto di una luce povera e
fioca che solo in apparenza potrebbe abdicare lasciando il suo "celeste"
sito.
La "sublimazione trasversale"
si è compiuta.
E la preghiera si trasforma
ulteriormente, spinta dalla incidenza lirica dell'Essere/Poesia, in richiamo
implicito e non scritto ma fortemente presente nel "dono" iniziale
(perleo) degli spasmi amorosi e degli slanci giovanili che non possono terminarsi
in una stagione, ma occupano un tempo poetico immemorabile.
La "Luna" di Pardini è dunque
"sogno" donato o dono sognato, in un connubio esaltante di sensazioni
e passioni delicatissime che si scoprono nella sonorità dell'Armonia lirica e
si distillano attimo per attimo, senza tempo spaziato, in una dimensione
trascendentale di intuizioni impressive rapidissime come la "luce" di
quella Luna ambivalente che solo una preghiera onirica può valorizzare ed
invocare.
La "preghiera" di Nazario
Pardini Poeta luminoso di catartiche memorie e presenze.
Marco
dei Ferrari
Alla luna
Tu mi donavi un mondo e ti sforzavi
a farlo perleo agli occhi inteneriti
e all’anima feconda, quanto basta,
di spasimi e di slanci. Gocciolavi
le stille di dolcezza sulla pelle
di lei, che svariava nel colore
latteo delle ninfee, camminando
lungo il ciglio del lago. Tutto era vago .
al lume che addolciva il troppo vero
sulle piaghe del seno. Lei incedeva
distante. Ricordava
le tenui ninfe ch’io spesso leggevo
sparire e riapparire in sogni flebili
di pagani cantori. Ricordava
mistiche ebbrezze, immagini negate,
parvenze di misteri giovanili
intrise di notturni. Ma è settembre.
E ora cosa sei pallida luna!
A cosa mi somiglia il tuo pallore
sfumato nei canneti di lacustri
rumori. Solamente
una povera luce che non brilla,
che fragile si estenua nella notte
consumandosi stanca. Solamente
la parvenza più povera che prova
a imitare una stella. Ma io lo so
che tu non hai la forza. Servi solo
a rifugiare male le menzogne,
e l’ombre che tanto si atteggiano,
mimetizzate, a sogni che poi ingannano.
Ora ti vedo, luna, nella tua
disperazione simile a un fantasma
che piange e si lamenta con la voce
di nibbi e di gipeti. Tu non eri,
ora lo vedo, a rendermi fatali
e divini i notturni. Era soltanto
lo sguardo suo celeste che predava
alla notte cobalto il mio dolore
per renderlo preghiera,
d’oltresera.
Da Alla volta di Lèucade, Baroni Editore, collana Mediterranea, 1999
Mi inchino a un grande critico che sa oscurare ogni lettura della lirica del nostro amato Nazario con la sua capacità ermeneutica e con una profondità analitica impressionante. Marco è uomo di autentica Cultura, che si dedica a essa con costante, infaticabile passione. Un uomo, un Poeta, un recensore che lascia nudi di parole e ricchi di riflessioni. Mi permetto di abbracciare entrambi!
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