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sabato 5 settembre 2020

VALERIA SEROFILLI: "TARANTA D'INCHIOSTRO". PRESENTA FRANCO DONATINI


Taranta di inchiostro
Valeria Serofilli




Valeria Serofilli, è nota poetessa, non solo a livello Pisano, ma anche nazionale: docente di lettere, presidente e fondatrice del prestigioso premio internazionale Astrolabio di poesia, racconto e fiaba, autrice di importanti raccolte poetiche, tra cui La Tela di Erato,  Nel senso del Verso, Amalgama, raccolta di poeti contemporanei, i testi Vestali e Ulisse, che ho già avuto l’onore di recensire, organizzatrice di incontri letterari a Pisa, di cui le raccolte, I Quaderni dell’Ussero e I Blu Book.
Questa sua nuova opera, Taranta di inchiostro, rispetto alle precedenti, presenta interessanti novità sia sul piano del significato che del significante.
L’originalità del titolo evoca subito quanto ho appena detto. Dalla solarità mediterranea e dal classicismo delle opere precedenti, questa raccolta ci porta nel mistero e nell’inquietudine dell’esistenza. La Taranta evoca il paradigma di questa trasformazione, la Taranta rappresenta nella tradizione pugliese, una medicina contro il malessere generato dal morso del ragno, appunto la tarantola, contratto dai contadini salentini impegnati in estate nel lavoro dei campi. Il tarantismo è appunto questa malattia, che proprio si combatte attraverso la Taranta, una terapia di tipo coreutico, durante la quale il malato cade in uno stato di trance, sottoponendolo a una sorta di esorcismo musicale.
Questo fenomeno di tipo antropologico, si collega nell’opera di Valeria a una condizione di travaglio interiore che la forza della poesia è in grado di cogliere e rappresentare in maniera efficacie.
Nell’immagine della Taranta c’è una doppia valenza quella della malattia e quella della guarigione, un contrasto intrinseco sul piano semantico, una sorta di ossimoro che fa parte della comunicazione poetica ma soprattutto dell’essenza della vita.
La tela del ragno, la prima sezione della silloge, è il punto di partenza per una analisi esistenziale e soprattutto filosofica del mondo. L’elemento filosofico, spesso sotteso al mito, è sempre presente nelle poesie di Valeria e in questo caso ancora di più. La tela del ragno, da percorso di Conoscenza, si apre a problematiche etiche, sociali e umane e diviene la Ragnatela del mondo, in cui si collocano i drammi di oggi, l’Africa come riferimento alla condizione di arretratezza e di emarginazione, il Burka a rappresentare la drammatica condizione femminile in certe realtà, e infine l’evocazione del passato, in cui ricompaiono i temi tanto cari alla sua cultura classicista, la tela di Penelope e l’epopea luminosa di Ulisse.
Ma non si ferma qui! Ecco allora che nasce spontanea la questione: c’è qualcosa Al di fuori della Tela, ultima sezione della silloge? C’è qualcosa che può sfuggire o liberarci seppur per un momento da questa tela, da questo ordito in cui tutto sembra essere vincolato, in cui un destino precostituito sembra tenere prigioniero l’uomo e le sue azioni?
Quest’ultima sezione ci dà la risposta. Sono gli affetti, le piccole grandi cose che la nostra quotidianità ci consente di vivere, al di fuori di un destino, seppur predefinito.
È il grande enigma ossimorico mai risolto tra predestinazione e libertà dell’individuo.
E poi le sezioni dedicate ai poeti, che rappresentano un riferimento nell’esperienza poetica di Valeria, l’ermetismo e il simbolismo della prima fase di Luzi, mai così presente come in questa silloge, che esprime essenzialmente l’angoscia dell’esistenza e poi l’inquietudine e l’amarezza della fase successiva, che si stempera qui negli affetti, nella serenità della quotidianità, nel vivere la propria femminilità in maniera delicata e intrigante come nella Donnagatto, l’umorismo liberatorio del Chissà dall’alto che risate, la gratitudine materna della Lettera al figlio, in cui si capovolge il rapporto della maternità, intesa come dono del figlio verso la madre.
Anche la versificazione si identifica in maniera mirabile con la condizione interiore e in particolare con lo stato d’animo che è quello di una riflessione profonda sulla vita, sul nostro destino, su chi in qualche modo pilota il nostro percorso esistenziale. Questa interazione forte tra significato e significante è l’essenza della poesia, almeno per chi come me, crede ancora che esista una differenza tra fare poesia e prosa. Le cesure nel verso, gli enjambement riescono in maniera pregnante a esprimere la tensione poetica e il coinvolgimento interiore che si respirano in queste liriche. 
Resta alla fine una domanda, importante sul piano poetico, ma soprattutto rilevante su quello filosofico che è un elemento dominante di questa silloge.
Chi è veramente il ragno che costruisce pazientemente la sua tela, che le frequenti cesure tendono ahimè a provocarne soluzioni di continuità? Forse il ragno è l’uomo, oppure il destino, oppure il poeta stesso, o forse più precisamente è il demiurgo, che ha in sé allo stesso tempo il potere di dominare il fato e la debolezza di subirlo, mentre la tela è la sua vita di cui egli è artefice e contemporaneamente vittima.

Prof. Franco Donatini, Università di Pisa










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