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domenica 11 ottobre 2020

MARCO DEI FERRARI LEGGE: "LAURA E IL BOSCO DEGLI ULIVI" DI NAZARION PARDINI

L'ESTASI CATARTICA DI NAZARIO PARDINI: LAURA


Marco dei Ferrari,
collaboratore di Lèucade

Nazario Pardini non ci sorprende più.

La sua multiversa sensibilità interiorizzata nel "creare" lo conduce a verticismi incredibili.

In questo affresco lirico narrativo il Poeta celebra l'armonia del "creato" personificando nella storia di Laura la forza estatica dei flussi naturali che circondano memorie e sentimenti e ne celebrano intrecci e sviluppi.

La Natura è Laura con la sua campagna (il lavoro campestre), il Sole, la Luna, la stalla, i raccolti, le capre, i venti, il bosco...

La Natura è suo padre apparso nella voce del Monte, del podere, del lago, per indicare le necessità del "quotidiano" e per presentarsi nelle immagini impressive di gnomi e alberi parlanti.

La Natura è il percorso esistenziale degli umani, esponenza di momenti spirituali ed emotivi differenti che giustificano i comportamenti a significare la connessione fortissima tra immagini visionarie e presenze concrete.

Laura "vive" la Natura e partecipa nei versi del Poeta alla cromaticità dei sentimenti incorporabili nei tramonti, o nelle albe, o nelle giornate di pioggia, o nell'uva, o nell'erba, o in una vanga, o negli occhi celesti, o nel prunaio che vibrava al vento.

È un'estasi diffusa per ogni dettaglio e dimensionalità dalle profondità degli abissi celesti alla sua vita nella malinconia di un Sole dimezzato o di un filo d'erba in pericolo.

Ma il simbolismo estatico non è sufficiente per l'espressività totalizzante del Poeta: occorre una sensazione lirica superiore per narrare Laura nella Natura, il bosco degli elfi, la Luna sull'argine...

E Pardini la trova in sè stesso, nella sua metamorfica trasfigurazione che non significa propriamente un sognare, ma piuttosto un ritrovarsi protagonista dello scenario episodico in una rincorsa senza sosta delegata a Laura la sua ispiratrice per eccellenza.

Una rincorsa di attimi e gesti (mungere... seminare...) che trova nel padre e nella madre la testimonianza di presenza più emblematica e continua.

Il padre infatti non muore mai, ma vigila con la parola (liricamente espressiva) e con il suono ogni movimento di Laura accompagnandone finalità e incedere; la madre vive con Laura avvalendosi della sua preziosa attività campestre con un "ritorno" magico sulla scia di un podere fatato, sui frulli dei passeri, sul "brillìo" del lago, sulla strada degli ulivi, sul profumo del vento...

Ma ora "il ritorno" si trasforma sempre più in sistematica espressività spirituale del Poeta che assorbe nel suo itinerario ogni angolazione di ogni significanza per compensarsi in un vibrare di elevazione ontologica permanente.

Non è la conclusione di questo raffinato percorso narrativo/poetico, ma solo l'inizio di un'Innica che celebra l'essere della Natura "mediatore" tra gli esistenti possibili e l'Essere assoluto.

La "mediazione" poetica trova in Pardini la sua Laura, i genitori, la mente e il cuore, gli ambienti affini, i flussi viventi di un "presente" più che mai nell'estasi di una visione suggestivamente voluta.

Ma occorre un ulteriore passaggio interpretativo: infatti l'"essere" del Poeta è l'intuizione lirica che si manifesta nei versi progressivi di un "esistere" presente e concreto in ogni emanazione narrante.

Il sentire e la percezione interiore delle reazioni artistiche conseguenti caratterizzano e dimensionano pertanto tutti gli orizzonti finalizzando la "liberazione" creativa di ogni "mediazione" autenticamente vissuta nella trama poetica e negli scenari offerti a contesto.

Pardini si libera così da ogni condizionamento di memorie, affettività, amori, soggetti, eventi, per apparire al suo Io/Essere compiutamente purificato nella sublimità dell'estasi catartica.


  Marco dei Ferrari


Laura e il bosco degli ulivi

 

La vita di campagna l’arricchiva:

si fermava estasiata ad ammirare

il sole che diviso in semicerchi

per metà si dava alle acque 

e l’altra continuava a illuminare

le spiagge circostanti ed i poderi,

dove la luna poi sarebbe scesa

a sfarinarsi sull’argine del fiume.

Là si gustava le scene che il vespero

combinava con la sua malinconia;

era allora che la nuvola dei passeri

rientrava dai voli giornalieri, e lei

ci si mischiava con la mente ed il cuore.

Fingeva di andare lontano, in alto,

indossando le ali degli uccelli.

Le dispiaceva persino strappare

il filo dell’erba,

cosciente di togliergli la vita.

Ne respirava il selvaggio profumo

accostando l’olfatto al prunaio

che arzillo vibrava al vento del mare.

Laura. I suoi occhi di un celeste marino

traevano la profondità

dagli abissi del cielo che, trafitto

dal passo degli uccelli, si spargeva

tra i raccolti; fu proprio dal padre

che aveva tratto l’amore per i campi,

e il simbolico tratto dei colori:

il rosso del tramonto, il rosa dell’alba,

il buio delle giornate di pioggia.

Chiedeva spesso al padre

perché la natura creasse tante gradazioni:

l’uva rossa, l’uva bianca, l’erba verde,

la luce brillante del sole.

Un giorno il padre le si posò di fianco

con la vanga a tracolla e il viso stanco.

Fece appena a dire: “Mi sento male”

che s’accasciò senz’anima vicino

alla figlia che sbalordita vide

il genitore tramortito a terra.

Pianse e spaventata, chiamò ad alta voce

la madre che in cucina preparava la cena.

Ma tutto fu superfluo; fu la fine.

Toccò a Laura prenderne le veci:

preparare la stalla, mungere, seminare,

raccogliere, pulire, essiccare,

fare conserve e preparare fichi

in zucchero al caramello, la sua specialità.

In certi momenti,

quando il sole si poggiava sulle viti,

vedeva la figura del padre che arcigno

e silenzioso annaffiava i raccolti

col sudore; un sudore che spesso asciugava

alla vecchia maniera,

strusciando il braccio sulla fronte. Allora

Laura si metteva seduta a dialogare

con l’immagine del padre. Piangeva,

e piangeva non tanto per la fatica,

quanto per la solitudine che provava

in mezzo alle distese, senza poter gridare

il suo nome. Sì, un po’ si distraeva

quando una tortora o una garzetta gli

gironzolavano attorno.  Che meraviglia!

Forse era il padre, che, trasferitosi

nei piumaggi degli uccelli, in licenza,

veniva a trovare la figlia: “Laura,

sono qui”, sembrava dicesse, e lei

si accostava  ai volatili con l’intenzione

di accarezzarli, ma le sfuggivano di mano

e schioccando le ali sparivano nel cielo.

Un giorno Laura si mise a rincorrere

la luna che bella rotonda e luminosa

si sfarinava tra le viti come

latte munto da poco dalle capre.

Corri e corri si trovò vicina al monte

dove non era mai stata; i tanti impegni    

 non le permettevano di viaggiare.

E sul monte cominciò a camminare:

prese una stradetta tra gli ulivi

e in breve si trovò sulla cima.

Da là vedeva il mondo: il lago, il podere,

gli uccelli che piccoli

svolazzavano in cielo ora assiepandosi

e ora dividendosi in tanti rigagnoli.

Udì una voce, sembrava venisse

dall’altro mondo: “Laura come stai?

Sono la voce di tuo padre che abita

nel regno del cielo. Qui in alto,

sul monte vicino alle nubi; figlia

sei giunta, non volendo, nel mio regno,

ed io ti vedo e ti sento; come vorrei abbracciarti,

ma  non posso, posso soltanto parlarti:

non ti perdere sul monte, torna a casa,

le capre hanno bisogno di te.

La cosa che più mi fa triste

è quella di non poterti dare

l’aiuto dei giorni in cui vivevo

accanto al tuo respiro. Vai là,

io ti sono vicino, sempre, con te,

in ogni momento della vita.”.

Si mise in marcia Laura e attraversò

il bosco degli ulivi; qui si presentò

un personaggio strano, disumano,

a forma di albero nodoso: “Laura,

non ti perdere in questa strada folta,

segui la scia che io ti segnerò; e torna presto

a casa dove tua madre stanca e senza forze

non potrà sopperire a lungo al gran lavoro.

Altri gnomi le si affollarono attorno

 e tutti ripetevano le stesse parole.

Laura camminò più spedita, ma non riusciva

a trovare la strada di casa; a questo punto

l’amica più cara la affiancò,

facendo con lei la strada del ritorno.       

Il lago brillava dei raggi della luna,

la natura era bella, mai come allora,

bevve, si rinfrescò, e chiese ad un passero

di accompagnarla alla sua terra.

Le svolazzava attorno, e cinguettava,

guidandola coi frulli delle ali.

Finché vide sua madre che spargeva

il granoturco alle galline sul cortile.

Abbracciò la madre, e felice, imbracciò

la vanga. La voce di suo padre

dal monte osservava la figlia

non più sola, ma in compagnia di un suono

che il vento di monte le portava.             

 

 

 

 

 

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