L'ESTASI CATARTICA DI NAZARIO PARDINI: LAURA
Marco dei Ferrari, collaboratore di Lèucade |
Nazario Pardini non ci sorprende più.
La sua multiversa sensibilità
interiorizzata nel "creare" lo conduce a verticismi incredibili.
In questo affresco lirico narrativo il
Poeta celebra l'armonia del "creato" personificando nella storia di
Laura la forza estatica dei flussi naturali che circondano memorie e sentimenti
e ne celebrano intrecci e sviluppi.
La Natura è Laura con la sua campagna (il
lavoro campestre), il Sole, la Luna, la stalla, i raccolti, le capre, i venti,
il bosco...
La Natura è suo padre apparso nella
voce del Monte, del podere, del lago, per indicare le necessità del "quotidiano"
e per presentarsi nelle immagini impressive di gnomi e alberi parlanti.
La Natura è il percorso esistenziale
degli umani, esponenza di momenti spirituali ed emotivi differenti che
giustificano i comportamenti a significare la connessione fortissima tra
immagini visionarie e presenze concrete.
Laura "vive" la Natura e
partecipa nei versi del Poeta alla cromaticità dei sentimenti incorporabili nei
tramonti, o nelle albe, o nelle giornate di pioggia, o nell'uva, o nell'erba, o
in una vanga, o negli occhi celesti, o nel prunaio che vibrava al vento.
È un'estasi diffusa per ogni dettaglio
e dimensionalità dalle profondità degli abissi celesti alla sua vita nella
malinconia di un Sole dimezzato o di un filo d'erba in pericolo.
Ma il simbolismo estatico non è sufficiente
per l'espressività totalizzante del Poeta: occorre una sensazione lirica
superiore per narrare Laura nella Natura, il bosco degli elfi, la Luna
sull'argine...
E Pardini la trova in sè stesso, nella
sua metamorfica trasfigurazione che non significa propriamente un sognare, ma
piuttosto un ritrovarsi protagonista dello scenario episodico in una rincorsa
senza sosta delegata a Laura la sua ispiratrice per eccellenza.
Una rincorsa di attimi e gesti (mungere...
seminare...) che trova nel padre e nella madre la testimonianza di presenza più
emblematica e continua.
Il padre infatti non muore mai, ma
vigila con la parola (liricamente espressiva) e con il suono ogni movimento di
Laura accompagnandone finalità e incedere; la madre vive con Laura avvalendosi
della sua preziosa attività campestre con un "ritorno" magico sulla
scia di un podere fatato, sui frulli dei passeri, sul "brillìo" del
lago, sulla strada degli ulivi, sul profumo del vento...
Ma ora "il ritorno" si trasforma
sempre più in sistematica espressività spirituale del Poeta che assorbe nel suo
itinerario ogni angolazione di ogni significanza per compensarsi in un vibrare
di elevazione ontologica permanente.
Non è la conclusione di questo
raffinato percorso narrativo/poetico, ma solo l'inizio di un'Innica che celebra
l'essere della Natura "mediatore" tra gli esistenti possibili e
l'Essere assoluto.
La "mediazione" poetica trova
in Pardini la sua Laura, i genitori, la mente e il cuore, gli ambienti affini,
i flussi viventi di un "presente" più che mai nell'estasi di una
visione suggestivamente voluta.
Ma occorre un ulteriore passaggio
interpretativo: infatti l'"essere" del Poeta è l'intuizione lirica
che si manifesta nei versi progressivi di un "esistere" presente e
concreto in ogni emanazione narrante.
Il sentire e la percezione interiore
delle reazioni artistiche conseguenti caratterizzano e dimensionano pertanto
tutti gli orizzonti finalizzando la "liberazione" creativa di ogni "mediazione"
autenticamente vissuta nella trama poetica e negli scenari offerti a contesto.
Pardini si libera così da ogni
condizionamento di memorie, affettività, amori, soggetti, eventi, per apparire
al suo Io/Essere compiutamente purificato nella sublimità dell'estasi
catartica.
Marco
dei Ferrari
Laura e il bosco degli ulivi
La
vita di campagna l’arricchiva:
si
fermava estasiata ad ammirare
il
sole che diviso in semicerchi
per
metà si dava alle acque
e
l’altra continuava a illuminare
le spiagge
circostanti ed i poderi,
dove
la luna poi sarebbe scesa
a
sfarinarsi sull’argine del fiume.
Là si
gustava le scene che il vespero
combinava
con la sua malinconia;
era
allora che la nuvola dei passeri
rientrava
dai voli giornalieri, e lei
ci si
mischiava con la mente ed il cuore.
Fingeva
di andare lontano, in alto,
indossando
le ali degli uccelli.
Le
dispiaceva persino strappare
il
filo dell’erba,
cosciente
di togliergli la vita.
Ne
respirava il selvaggio profumo
accostando
l’olfatto al prunaio
che
arzillo vibrava al vento del mare.
Laura.
I suoi occhi di un celeste marino
traevano
la profondità
dagli
abissi del cielo che, trafitto
dal
passo degli uccelli, si spargeva
tra i
raccolti; fu proprio dal padre
che
aveva tratto l’amore per i campi,
e il
simbolico tratto dei colori:
il
rosso del tramonto, il rosa dell’alba,
il
buio delle giornate di pioggia.
Chiedeva
spesso al padre
perché
la natura creasse tante gradazioni:
l’uva
rossa, l’uva bianca, l’erba verde,
la
luce brillante del sole.
Un
giorno il padre le si posò di fianco
con la
vanga a tracolla e il viso stanco.
Fece
appena a dire: “Mi sento male”
che
s’accasciò senz’anima vicino
alla
figlia che sbalordita vide
il
genitore tramortito a terra.
Pianse
e spaventata, chiamò ad alta voce
la
madre che in cucina preparava la cena.
Ma
tutto fu superfluo; fu la fine.
Toccò
a Laura prenderne le veci:
preparare
la stalla, mungere, seminare,
raccogliere,
pulire, essiccare,
fare
conserve e preparare fichi
in
zucchero al caramello, la sua specialità.
In
certi momenti,
quando
il sole si poggiava sulle viti,
vedeva
la figura del padre che arcigno
e
silenzioso annaffiava i raccolti
col
sudore; un sudore che spesso asciugava
alla
vecchia maniera,
strusciando
il braccio sulla fronte. Allora
Laura
si metteva seduta a dialogare
con l’immagine
del padre. Piangeva,
e
piangeva non tanto per la fatica,
quanto
per la solitudine che provava
in
mezzo alle distese, senza poter gridare
il suo
nome. Sì, un po’ si distraeva
quando
una tortora o una garzetta gli
gironzolavano
attorno. Che meraviglia!
Forse
era il padre, che, trasferitosi
nei
piumaggi degli uccelli, in licenza,
veniva
a trovare la figlia: “Laura,
sono
qui”, sembrava dicesse, e lei
si
accostava ai volatili con l’intenzione
di
accarezzarli, ma le sfuggivano di mano
e
schioccando le ali sparivano nel cielo.
Un
giorno Laura si mise a rincorrere
la
luna che bella rotonda e luminosa
si
sfarinava tra le viti come
latte
munto da poco dalle capre.
Corri
e corri si trovò vicina al monte
dove
non era mai stata; i tanti impegni
non le permettevano di viaggiare.
E sul
monte cominciò a camminare:
prese
una stradetta tra gli ulivi
e in
breve si trovò sulla cima.
Da là
vedeva il mondo: il lago, il podere,
gli
uccelli che piccoli
svolazzavano
in cielo ora assiepandosi
e ora
dividendosi in tanti rigagnoli.
Udì
una voce, sembrava venisse
dall’altro
mondo: “Laura come stai?
Sono
la voce di tuo padre che abita
nel
regno del cielo. Qui in alto,
sul
monte vicino alle nubi; figlia
sei
giunta, non volendo, nel mio regno,
ed io
ti vedo e ti sento; come vorrei abbracciarti,
ma non posso, posso soltanto parlarti:
non ti
perdere sul monte, torna a casa,
le
capre hanno bisogno di te.
La
cosa che più mi fa triste
è quella
di non poterti dare
l’aiuto
dei giorni in cui vivevo
accanto
al tuo respiro. Vai là,
io ti
sono vicino, sempre, con te,
in
ogni momento della vita.”.
Si
mise in marcia Laura e attraversò
il
bosco degli ulivi; qui si presentò
un
personaggio strano, disumano,
a
forma di albero nodoso: “Laura,
non ti
perdere in questa strada folta,
segui
la scia che io ti segnerò; e torna presto
a casa
dove tua madre stanca e senza forze
non
potrà sopperire a lungo al gran lavoro.
Altri
gnomi le si affollarono attorno
e tutti ripetevano le stesse parole.
Laura
camminò più spedita, ma non riusciva
a
trovare la strada di casa; a questo punto
l’amica
più cara la affiancò,
facendo
con lei la strada del ritorno.
Il
lago brillava dei raggi della luna,
la
natura era bella, mai come allora,
bevve,
si rinfrescò, e chiese ad un passero
di
accompagnarla alla sua terra.
Le
svolazzava attorno, e cinguettava,
guidandola
coi frulli delle ali.
Finché
vide sua madre che spargeva
il
granoturco alle galline sul cortile.
Abbracciò
la madre, e felice, imbracciò
la
vanga. La voce di suo padre
dal
monte osservava la figlia
non
più sola, ma in compagnia di un suono
che il
vento di monte le portava.
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