Silvano Trevisani. Le parole finiranno, non l’amore. Manni Editore. 2020
Iniziare
la mia esegesi con l’apporto di una pericope tratta da una mia recensione
equivale a avvicinarsi da subito all’impatto emotivo che l’autore prova nel
descrivere uno dei sentimenti immortali, che è il carburante dei poeti più
grandi da Saffo in poi, anche se lo fa, a volte, con uno sguardo ironico e
disincantato…
“…Due
grandi poeti (Saffo e Dante) che, sebbene in periodi molto diversi, riescono
con le loro note di universale armonia a dipingere l’amore come il sentimento
dei sentimenti, quello che gioca nella vita, nel bene o nel male, un ruolo
determinante, duraturo, empaticamente travolgente; a dimostrazione che certa
poesia, e dico di quella lirico-soggettiva più che di quella impegnata, non
sentirà mai il passare del tempo, dacché i sentimenti restano sempre gli
stessi, immutati, solidi nel divenire: “È l’amore il sentimento che pervade la
più bella canzone della Vita Nuova di Dante, “Il fascino di Beatrice”; così
pure l’Amore è l’impulso interiore che emerge con tutta la sua forza e la sua
spontaneità in “Passione d’amore” di Saffo, la lirica più famosa del mondo
definita “l’ode sublime”. Uno spirito eccelso in un corpo abnorme. Così veniva
vissuta, Saffo, dai Romantici. Una grande che si sperdeva nelle grinfie
dell’amore quasi a obliare le sofferenze della vita, lei di orrido aspetto ma
con un animo tanto potente da scardinare la voce degli dèi. La Saffo che
cercava di trovare la sua quietudine in una natura tempestosa, irruente,
violenta, tanto simile alle sue contrastanti dicotomie; forse il mare è
l’immagine che più si avvicina coi suoi turbamenti all’immensità di questo
sentimento…”. Parlare di Eros, non è
facile, si corre il rischio di cadere nel déja vu, nel già detto; d’altronde
l’anima della miglior poesia, e qui non
mi metto a citare autori che si sono distinti, è tutta giocata su l’immersione
di eros e thanatos. La vita è amore. L’amore è vita: due passioni che si
integrano a vicenda per dare come frutto l’elevazione del canto. Soffrire è
amore; ricordare è amore; sognare è amore; amore totale, plurale, che prende e
dà, che toglie e lascia un cuore in balia della saudade. Il poeta tocca tutti i
tasti di questa vicenda, ogni nota emozionale; fa suo ogni tremore, ogni
palpito che lo assale. D’altronde le cose passano ma questo sentimento resta
immortale, eterno per mano dei poeti che lo vivono e lo raccontano. E’ il
sentimento che vivevano gli antichi e che vivono i moderni con la medesima
intensità; sono diversi i costumi, i modi di vivere, le occasioni, ma l’amore,
quello vero, quello che si impossessa di te anima e corpo, è uguale nel corso
dei secoli. Di questo il poeta è convinto e questo scrive in versi di
ontologica presenza, in versi che
vibrano per la loro portata di eufonica scioltezza, in un tragitto di vita e di
amore dove tutto si dipana in uno scorrimento rimico che dà corpo e visività a
pensieri che covano nell’animo di Silvano Trevisani. Il verbo, attinente agli
input e alle meditazioni emotive, si risolve in iuncturae di esperite armonie
lessicali. Un linguismo dolce e ribelle, fluente e aspro che tende a reificare
quello che dentro urge. A volte si risolve in doppi settenari, a volte in endecasillabi
potenziati da accessori di effetto contrattivo ed estensivo, o in un certo
numero di corrispondenze foniche, per dare armonia e euritmica scorrevolezza al
dettato poetico; ad un dire che si fa sostanza e concretezza di un sentimento
libero e concreto. Insomma poesia vita, vita poesia. E la vita c’è tutta in
questa silloge polifonica e proteiforme. C’è nei suoi allunghi sinestetici,
nelle sue fughe oltre la siepe, nei suoi abbandoni esistenziali, nei suoi
azzardi iperbolici: amore, memoriale, onirico, realismo lirico, oggettivazione
panica, coscienza delle ristrettezze in cui l’uomo è destinato a vivere. E gli
abbrivi trovano sempre posto e collocazione in un viaggio fonico di urgente
resa epistemologica, nei vari momenti in cui la vita si frastaglia: La Storia,
La notte, Gli amici: “… Gli amici sono dolci strade/ che si separano/ per non
incontrarsi mai più./Si posseggono solo nel passato” (Gli amici); Il dolore “…
Scavarono trincee/ dentro/ e anche oltre./A rinserrare i fantasmi/, della
felice età” (Il dolore). Il poeta racconta, con estrema lucidità, aiutato da
una ricchezza verbale che fa invidia, tutto del suo esistere: la brevità del
tempo concessoci, il valore delle memorie, l’inutilità dei perché senza
risposta: “… Dio ci chiede/di restare bambini anche quando/ il calcolo dei
giorni affonda i teoremi,/le sostanze, li rende vivi ma noi siamo/ come siamo e
se continua/ quella porta a sbatterci contro/ il suo senso/ potrei anche
sperdermi/ e restare, così, senza risposte” (Senza risposte). Possiamo pure
interrogare il destino, chiedere perché noi siamo qui invece che là, domandare
perché si vive, e quale sia lo scopo di tale vita; ma tutto è inutile, non ci
sono risposte e noi ci tormentiamo in questo labirinto esistenziale. Ma
tormentarci significa anche vivere, esserci, toccare la nostra pelle, sfiorare
i nostri gomiti, l’unica risorsa che abbiamo per una conferma. L’opera divisa
in ben undici sezioni ci dà la giusta dimensione di una inquietudine oggettiva
e universale dell’uomo; del suo travaglio quotidiano; del suo cammino da via
crucis. Il fatto sta però che il poeta medita sulle cose, su tutto ciò che gli
capita, e per essere sinceri, tirando le somme, salva quei sentimenti per cui
vale la pena vivere, tipo l’amore, la fratellanza, il bene, la gioia di vivere,
la generosità. In fin dei conti se si considera il tempo prestatoci dalla
morte, sono poche le cose che ci restano da fare; dunque facciamole, senza
perderci in chiacchiere, forse è l’unico sistema per sentirci a posto con noi
stessi: “… Dona/ quello che ti è rimasto,/chi lo riceverà sei tu stesso./
Perché gli altri sono il tuo specchio,/se ti sorridono/ è perché tu ridi
loro,/se svaniscono è che non sanno ancora/ che ogni loro desiderio sei tu”
(Esercizi per uomo solo).
Poesia agile, fresca, di epigrammatica inclusione questa di Trevisani, che attinge dall’anima, dalla natura, dalle vicende esistenziali gli input che ne fanno la substantia, “perché, come scrive T. S. Eliot in East Coker, nel secondo dei Quattro Quartetti: “C’è un tempo per la sera sotto la luce stellare, un tempo per la sera sotto la lampada accesa, (…) L’amore è ancora più di se stesso quando qui ed ora perde d’importanza.” O tirando in ballo quello che è stato scritto su alcuni miei versi sull’amore: “Il modo in cui Pardini personifica la morte richiama alla mente il grande Shakespeare, quando Romeo giunto nella tomba dei Capuleti, vedendo Giulietta morta, esclama: “Ah, cara Giulietta, perché sei ancora così bella? Dovrei credere che anche la Morte senza corpo può innamorarsi, che lo scarno mostro aborrito vuol tenerti qui, nelle tenebre, come sua amante?”. E innumerevoli possono essere le citazioni di grandi poeti sul tema dell’amore, ma veniamo ai versi del Nostro; e traiamo alcuni lacerti dal suo “poema”, dove il verso, limpido e scarno, senza troppe parafrastiche inclusioni, si fa spontaneo e concreto nella reificazione di questo gioco “E forse è l’allegria della nostra esiguità/…/ quel che restava del cammino/ fu solitudine e noi di nuovo insieme,/storditi per essere noi soli, in mezzo a loro,/estranei a tutti gli altri: innamorati./ Ma quanta strada abbiamo fatto in volo!?”. E forse è proprio volando che l’uomo si sente libero e scopre quel senso di libertà che lo avvicina il più possibile al cuore dell’amore. Le ciel èst par-dessus le toit, direbbe Paul Verlaine.
Nazario Pardini
L'eccellente Nazario in questa pagina ha svolto l'esegesi di un'Opera dal fascino superbo. L'idea di parlare del sentimento universale legandosi a due simboli come la prima poetessa della storia e il nostro poeta fiorentino, che è stato ed è simbolo di un'intera cultura, rappresenta un'operazione artistica di autentica identificazione della Poesia con la vita, come sottolinea il sommo recensore. L'amore vive nelle inquietudini di Saffo, nei riferimenti filosofici e teologici del Dolce Stil Novo, è sentimento sublime e travagliato, e non potrebbe essere altrimenti, visto che già Seneca lo definì 'una forma di amicizia dissennata'. La forza espressiva della recensione di Nazario consente di viaggiare sul registro dell'amore attraverso molti grandi della Letteratura e di innamorarsi - mi si perdoni la ripetizione - del testo di Trevisani. Abbraccio forte il nostro mentore e rivolgo un caro saluto ammirato all'Autore del libro.
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