Nuovo saggio critico di Marina
Caracciolo
Verso lontani orizzonti (Bastogi Editrice)
Esaminato l'itinerario poetico di Imperia Tognacci
Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade
Nel suo nuovo e
brillante saggio critico, Verso lontani
orizzonti (Bastogi Editrice), Marina Caracciolo passa in rassegna l'opera
poetica di Imperia Tognacci, esaminando ben undici titoli dell'autrice romana
nata a San Mauro Pascoli. In una scrittura sognante e snella, aderente ai testi
poetici con acribia ed empatia, la studiosa penetra nella poetica dell'interessante
poetessa, estrapolandone l'appassionato messaggio: "un senso di avventura inquieta
e misteriosa", esposto in "versi che esprimono in modo mirabilmente
immaginoso il desiderio incessante di proseguire verso un lontano
altrove". Un afflato metafisico le cui ricorrenti parole sono:
"scorrere, scia, itinerario, strade, percorso, fuga, via, vortice,
sentiero, volo".
Il viaggio, dunque, visto, si, come
esperienza concreta e affascinante, fatta di conoscenze al momento vive e
palpitanti, ma soprattutto come proiezione ultrafisica, al di là dei confini,
verso un mondo interiore che sprofonda nell'infinito. E tuttavia, scorrendo le
pagine, si scopre che questa tensione verso l'ignoto, questo trasporto per la
trascendenza, si sposa, nella poetessa, con un amore per la natura tutto immanente.
Fisica e metafisica legate a fil doppio, con singolare naturalezza, tra di
loro. Un senso avventuroso e itinerante del vivere coniugato con un canto di
filiale devozione per la terra. Amore a trecentosessanta gradi: per l'hic et nunc come per l'oltre e l'altrove. Stanzialità e
nomadismo, potremmo dire, fusi tra di loro.
Navigando in mare
aperto, Ulisse non fa che viaggiare nei propri stessi flutti e l'isola verso
cui tende non è altro che la propria ignota patria interiore. Varcare i confini,
pertanto, non significa altro che accedere in territori sconosciuti di se
stessi. Cosa fa Adamo, evadendo dall'Eden, se non fuggire da se stesso per
andare verso una terra promessa che già vive dentro di lui? E' là la
trascendenza, distinta e collegata con l'immanenza: due piani disgiunti e
allineati dello stesso Essere che si pone in viaggio nell'Esistere, nella patria
del Relativo. Ci sono fili invisibili che legano Sovrannaturale e Naturale tra
di loro. Non si spiegherebbe altrimenti quella "partecipazione corale
della Natura al dolore del Cristo", di cui parla la Caracciolo commentando
la Notte di Getsemani (2004),
dedicata dalla Tognacci al momento forse più drammatico della vita del Messia:
la notte nell'Orto degli Ulivi.
E' là, nell'ora
suprema della prova, dove sul Cristo grava un'estrema solitudine e pesa la
fredda indifferenza degli umani, che la Natura gli esprime tutta la sua commossa
partecipazione. Solo lei sembra in grado di comprendere, quasi il Cristo fosse
la voce del Creato stesso che invita l'uomo a tornare nelle leggi dell'amore
universale. Vero è che "le spensierate cicale intuiscono che il suo regno / non è di questo mondo", ma l'allusione riguarda il mondo
degli uomini e non direi il mondo naturale. Tant'è che gli uccelli del cielo,
stupefatti, "si allontanano bisbigliando verità che agli umani non è dato
di afferrare". A differenza dell'uomo, la Natura si direbbe partecipe e
consapevole dei progetti divini sul mondo. Non a caso il grande Artefice ha posto
in lei il suo tempio (e la poetessa avverte: non sarà mano d'uomo a costruire il suo tempio).
La Caracciolo pone
giustamente in evidenza le origini romagnole della Tognacci, nata e vissuta
nell'infanzia e nell'adolescenza a San Mauro Pascoli, fin quando non giungerà a
Roma dopo aver ottenuto una cattedra nella Capitale. Ed è certamente
l'ammirazione della poetessa per il Pascoli a rinvigorire la concezione
positiva della Natura che comunque le è propria, come lo fu del grande
romagnolo che, in leopardiana polemica, ebbe a definirla "madre dolcissima
e previdente". Vero è che la Natura, per Pascoli, è anche fonte di grandi
turbamenti, ma ciò è dovuto unicamente all'incapacità dell'uomo di accettare le
sue leggi. Tant'è che in X agosto, la
notissima lirica contenuta in Myricae,
dove egli giunge a dipingere il pianeta come atomo opaco del Male, è solo perché, a mio avviso, esso ospita quel
vampiro dei tre regni che corrisponde all'essere umano.
Illazione, questa? non
direi, se è vero che nella metafora della rondine uccisa dal cacciatore, similmente
all’uccisione del padre per mano di un assassino, il poeta considera la natura stessa
come vittima delle efferatezze umane. La malvagità e l’ingiustizia che il
Pascoli lamenta riguarda il mondo degli uomini e non il mondo naturale. La Natura
è sempre allineata con le leggi dell'equilibrio cosmico, mentre l'uomo, per
potersi vagamente avvicinare a tanto, è chiamato a compiere un faticoso
tragitto interiore. In Odissea pascoliana
(2006), la poetessa affronta esattamente questa tematica "in una forma
lirica, dice la Caracciolo, ma anche, e non di meno epica". Sensibilità
orfiche ed omeriche splendidamente fuse tra di loro.
La Caracciolo, parlando
di questa poetica sviluppatasi sulla scia pascoliana, dice espressamente:
"Si consideri che confidenziale e privato non vuol dire chiuso in se
stesso: ovunque si percepisce un brivido d'infinito, un respiro universale".
Nessun cedimento, pertanto, al bolso intimismo, ma neppure alla retorica del fatuo
eroismo. Orfismo ed Ulissismo bilanciati tra di loro. Viaggio, dunque, all'interno dell'anima, come periplo della
misteriosa isola interiore. Ne La porta
socchiusa (2007), opera ispirata da un viaggio in Terra Santa, la Tognacci
espone, scrive la Caracciolo, un "itinerario difficile ma meraviglioso,
dell'Uomo alla scoperta di se stesso, alla ricerca di una spiegazione
plausibile per gli enigmi più oscuri, soprattutto per quello più insondabile e
drammatico di ogni altro: il mistero del male del mondo e della
sofferenza".
Orfeo ed Ulisse sono
due viaggiatori. C'è tuttavia una differenza sostanziale tra i due: mentre il
primo si arresta, il secondo continua perennemente a viaggiare (apparentemente
fuori, ma in realtà dentro se stesso). Cosa fa Orfeo, di ritorno dall'Ade, con
l'ombra, che lo segue, di Euridice? trasgredisce il divieto di voltarsi per
guardarla e paga l'insubordinazione con la follia. Fine del viaggio. Ulisse, invece,
indomabile, ricostruisce sempre il vascello distrutto dai marosi. Il primo ha
un concetto perentorio del limite, mentre il secondo lo considera una pausa di
un viaggio infinito. Ulisse è l'allegoria dell'uomo che si appella alle proprie
risorse interiori, facendosi umile di fronte al proprio mistero. Non è - come
si è voluto dipingere - un titano che sfida il mistero, bensì un uomo che sfida
se stesso, la propria umanità, incline a sigillare la coscienza di fronte al
mistero.
Un Ulisse tuttavia,
quello di Imperia, che non misconosce la pietas,
quella dolcissima compassione per
l'umana sofferenza, che non funge da freno, bensì da stimolo per l'evoluzione.
Ciò emerge particolarmente, secondo Marina, nel poemetto Il prigioniero di Ushuaia, nato da un viaggio della poetessa nella
Patagonia argentina, in Antartide, dove si svolge un dialogo significativo tra un
prigioniero condannato ai lavori forzati e una donna venuta da lontano, tesa a
consolarlo. Nessun pietismo stucchevole, nessun blocco dell'esperienza di
fronte al dolore: "Una potenza sconosciuta, scrive Marina, costringe ad avanzare, proseguendo su una
strada che da concreto itinerario si muta in pellegrinaggio dello spirito: Oltre il buio del pensiero / onde misteriose
ci sospingono, / mentre da lontano ci chiama / il tempio dell'infinito".
Il lago e il tempo (2009) è un'opera fondamentale che rappresenta un
punto di svolta nella produzione poetica della Tognacci. Qui si affronta, scrive
la Caracciolo, il tema della memoria (della madre principalmente). Una memoria
che non attira a sé la poetessa, soffocandola nelle sue spire, nel suo limbo
confortevole e illusorio, intimistico, fatto "di sicurezza e di pace",
ma una memoria odissiaca che la spinge in avanti e la prepara ad affrontare le
prove future della vita. Qui, scrive Marina, "lo smarrimento che conduce
alla ricerca appassionata di braccia familiari e protettive finisce per convergere
nell'apertura alla dimensione superiore dell'infinito". E ciò perché la
poetessa, "pur rivelandosi sempre molto sensibile al dolore e alle rovine
che affliggono il mondo, non consente mai al pessimismo di prevalere, di
sopraffare ogni fede nel futuro e diventare disperazione".
Una poesia, dunque,
che oscilla tra orfismo ed ulissismo, spesso fondendoli tra di loro. Ne Il richiamo di Orfeo, licenziato nel
2011, la Tognacci "si chiede quale ruolo e quale destino abbia la Poesia
nella nostra epoca". Così Euridice diviene la Poesia stessa e la poetessa
esorta il mitico cantore a non abbandonarla al suo destino, a non arrestarsi
nella sua ricerca, "ma proceda sempre oltre nel suo cammino e si slanci
oltre il muro di cinta delle convenzioni per
emigrare in galassie primordiali". E Marina commenta: "Nel mito
raccontato dai Greci Euridice sprofonda di nuovo nell'abisso e l'infelice sposo
torna sconsolato e piangente nel mondo dei vivi. Ma questa è un'altra storia:
qui Orfeo non si volta indietro dimenticando la promessa fatta agli dèi degli
Inferi. E la Poesia non può morire, essa è immune dal tarlo del tempo e può
sconfiggere l'eterno oblio dell'Ade".
Euridice (la Poesia)
non può abbandonare il mondo dei vivi. E se proprio deve morire, che sia per
rinascere dalle proprie ceneri come l'araba fenice. Ci troviamo nel cuore del
mito più arcaico e dell'animismo più antico. Nel cuore di quella visione
originaria del mondo che considera l'essente tanto più lontano quanto più
vicino all'ente: trascendenza ed immanenza, non fusi, ma in relazione
strettissima tra di loro. Un Oltre non esterno, ma interno all'Io. Una fisicità
che non è oblio dello spirito, ma suo richiamo dolcissimo. Ed è un approdo all'animismo
sacrale (da non confondere con il feticismo, né con il panteismo), cui la
poetessa dà voce particolare in Nel
bosco, sulle orme del pastore (2012).
Ci troviamo dunque in un bosco, nei silenzi e nei sussurri silvani, dove appare il mitico pastore Aristeo, che, "simile al famoso Pan, da sempre abitatore dei boschi e custode delle greggi, assume talora tratti spiccatamente biblici e diviene simile al mite Abele, che offriva a Dio agnelli in sacrificio; altrove sembra invece raffigurare proprio il Buon Pastore, Colui che pasce le sue pecore e cerca con tanto amore quella smarrita". Questo viaggio nell'anima è certamente un avanzare, ma anche un sostare per ripartire con rinnovate energie lungo il sentiero della conoscenza. Si legga Là, dove pioveva la manna, diario di un lungo viaggio in Giordania della poetessa del 2015, ma soprattutto si legga La meta è partire (2020), dove viene decisamente chiarito il ruolo dinamico della Memoria. Una Memoria in fieri, proiettata in avanti, una valanga che "va oltre: inarrestabile / è l'onda della vita".
Franco Campegiani
Stupenda recensione, caro Franco, un'interpretazione filosofica che indaga e approfondisce, e nello stesso tempo supera, va ben oltre - direi - la mia indagine, etica ed estetica, sì, ma sostanzialmente letteraria. Credo insomma che tutta (o quasi tutta) la poesia della Tognacci ben esprima ciò che, tra altre considerazioni, ho desiderato sostenere nell'introduzione del libro: "Ben poche realtà, invero, sono in grado di aprire orizzonti e immagini di poesia come il viaggio, qualsiasi connotazione esso si trovi ad avere ... nel desiderio senza fine di una conoscenza che disveli fonti di verità e di certezza". Grazie del tuo illuminante e perspicace commento! Un abbraccio. Marina
RispondiEliminaRICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaCarissimo Franco,
la mia riconoscenza per il profondo e speculativo articolo sulla monografia che Marina Caracciolo ha dedicato alla mia produzione poetica. Hai saputo cogliere con molta perspicacia tutti gli aspetti del mio poetare in cui mi ritrovo pienamente.
Come sempre quando ti ascolto o leggo i tuoi elaborati non posso fare altro che esprimerti tutta la mia ammirazione.
Ti ringrazio per questo tuo graditissimo lavoro e ti invio cari saluti.
Imperia Tognacci
Franco caro, dedichi questa recensione da manuale alla cara Marina Caracciolo, che ebbi l'onore di conoscere in occasione di un evento dedicato al comune amico Sandro Angelucci, e la presenti in veste di saggista tesa a recensire l'opera poetica di Imperia Tognacci, altra donna e Poetessa che ho avuto la fortuna di incontrare e di apprezzare grazie agli eventi romani. Dipingi la voce snella e fruibile di Marina, indimenticabile, che tratteggia 'stanzialità e nomadismo' negli undici titoli dell'Autrice. Un connubio di donne che lascia sognare. E il Sogno lo alimenti tu, Amico mio, illustrando il concetto di viaggio, ben tratteggiato da Marina con i suoi riferimenti a Euridice (La Poesia), indissolubilmente legata al mondo dei vivi, e i tuoi geniali richiami a Orfeo e Ulisse, simboli del viaggio per eccellenza. Imperia sembra aver l'attitudine a sostare nell'anima, e la sacralità del suo concetto di Poesia è messo in risalto proprio da questa stanzialità, non feticista, ma interna alle esigenze più profonde dell'Io. Difficile commentare la perfezione, più semplice e giusto inchinarmi a tanta Arte e tributare il mio umile plauso a te, Franco, instancabile critico, Poeta, Fiolosofo, a Marina, anch'ella ottima Poetessa, Critico e Saggista e a Imperia, che qui si diletta in Poesia, ma avrà senz'altro altre doti.Un abbraccio circolare a tutti e al nostro insostituibile Condottiero!
RispondiEliminaBello, il tuo sensibilissimo e acuto commento, cara Maria.
RispondiEliminaUn abbraccio grande e colmo di poesia!