Laura e il bosco degli ulivi
La
vita di campagna l’arricchiva:
si
fermava estasiata ad ammirare
il
sole che diviso in semicerchi
per
metà si dava alle acque
e
l’altra continuava a illuminare
le spiagge
circostanti ed i poderi,
dove
la luna poi sarebbe scesa
a
sfarinarsi sull’argine del fiume.
Là si
gustava le scene che il vespero
combinava
con la sua malinconia;
era
allora che la nuvola dei passeri
rientrava
dai voli giornalieri, e lei
ci si
mischiava con la mente ed il cuore.
Fingeva
di andare lontano, in alto,
indossando
le ali degli uccelli.
Le
dispiaceva persino strappare
il
filo dell’erba,
cosciente
di togliergli la vita.
Ne
respirava il selvaggio profumo
accostando
l’olfatto al prunaio
che
arzillo vibrava al vento del mare.
Laura.
I suoi occhi di un celeste marino
traevano
la profondità
dagli
abissi del cielo che trafitto
dal
passo degli uccelli, si spargeva
tra i
raccolti; fu proprio dal padre
che
aveva tratto l’amore per i campi,
e il
simbolico senso dei colori:
il rosso
del tramonto, il rosa dell’alba,
il
buio delle giornate di pioggia.
Chiedeva
spesso al padre
perché
la natura creasse tante gradazioni:
l’uva
rossa, l’uva bianca, l’erba verde,
la
luce brillante del sole.
Un
giorno il padre le si posò di fianco
con la
vanga a tracolla e il viso stanco.
Fece
appena a dire: “Mi sento male”
che
s’accasciò senz’anima vicino
alla
figlia che sbalordita vide
il
genitore tramortito a terra.
Pianse
e spaventata, chiamò ad alta voce
la
madre che in cucina preparava la cena.
Ma
tutto fu superfluo; fu la fine.
Toccò
a Laura prenderne le veci:
preparare
la stalla, mungere, seminare,
raccogliere,
pulire, essiccare,
fare
conserve e preparare fichi
in
zucchero al caramello, la sua specialità.
In
certi momenti,
quando
il sole si poggiava sulle viti,
vedeva
la figura del padre che arcigno
e
silenzioso annaffiava i raccolti
col
sudore; un sudore che spesso asciugava
alla
vecchia maniera,
strusciando
il braccio sulla fronte. Allora
Laura
si metteva seduta a dialogare
con l’immagine
del padre. Piangeva,
e
piangeva non tanto per la fatica,
quanto
per la solitudine che provava
in
mezzo alle distese, senza poter gridare
il suo
nome. Sì, un po’ si distraeva
quando
una tortora o una garzetta gli
gironzolavano
attorno. Che meraviglia!
Forse
era il padre che trasferitosi
nei
piumaggi degli uccelli, in licenza,
veniva
a trovare la figlia: “Laura,
sono
qui”, sembrava dicesse, e lei
si
accostava ai volatili con l’intenzione
di
accarezzarli, ma le sfuggivano di mano
e
schioccando le ali sparivano nel cielo.
Un
giorno Laura si mise a rincorrere
la
luna che bella rotonda e luminosa
si
sfarinava tra le viti come
latte
munto da poco dalle capre.
Corri
e corri si trovò vicina al monte
dove
non era mai stata; i tanti impegni
non le permettevano di viaggiare.
E sul
monte cominciò a camminare:
prese
una stradetta tra gli ulivi
e in
breve si trovò sulla cima.
Da là
vedeva il mondo: il lago, il podere,
gli
uccelli che piccoli
svolazzavano
in cielo ora assiepandosi
e ora
dividendosi in tanti rigagnoli.
Udì
una voce, sembrava venisse
dall’altro
mondo: “Laura come stai?
Sono
la voce di tuo padre che abita
nel
regno del cielo. Qui in alto,
sul
monte vicino alle nubi; figlia
sei
giunta, non volendo, nel mio regno,
ed io
ti vedo e ti sento; come vorrei abbracciarti,
ma non posso, posso soltanto parlarti:
non ti
perdere sul monte, torna a casa,
le
capre hanno bisogno di te.
La
cosa che più mi fa triste
è quella
di non poterti dare
l’aiuto
dei giorni in cui vivevo
accanto
al tuo respiro. Vai là,
io ti
sono vicino, sempre, con te,
in
ogni momento della vita.”.
Si
mise in marcia Laura e attraversò
Il
bosco degli ulivi; qui si presentò
un
personaggio strano, disumano,
a
forma di albero nodoso: “Laura,
non ti
perdere in questa strada folta,
segui
la scia che io ti segnerò; e torna presto
a casa
dove tua madre stanca e senza forze
non
potrà sopperire a lungo al gran lavoro.
Altri
gnomi le si affollarono attorno
e tutti ripetevano le stesse parole.
Laura
camminò più spedita, ma non riusciva
a
trovare la strada di casa; a questo punto
l’amica
più cara la affiancò,
facendo
con lei la strada del ritorno.
Il
lago brillava dei raggi della luna,
la
natura era bella, mai come allora,
bevve,
si rinfrescò, e chiese ad un passero
di
accompagnarla alla sua terra.
Le
svolazzava attorno, e cinguettava,
guidandola
coi frulli delle ali.
Finché
vide sua madre che spargeva
il
granoturco alle galline sul cortile.
Abbracciò
la madre, e felice, imbracciò
la vanga.
La voce di suo padre
dal
monte osservava la figlia
non
più sola, ma in compagnia di un suono
che il
vento di monte le portava.
Un sogno, una dolcissima illusione, ma c'è sempre una verità in fondo all'illusione... Laura corre verso una voce amica che la porta fuori da se stessa, la fa evadere dal mondo. Quando tuttavia si ferma per ascoltare veramente quella voce, si accorge che quella le chiede di tornare sui suoi passi, nella sua vita giornaliera, per prendersi cura delle persone e delle cose amate che hanno bisogno di lei. Grande poesia, dove, con tratti sognanti e lievi, altamente metaforici, si svela il vero ruolo della metafisica e della trascendenza.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Nazario mio, suppongo, come l'amico Franco, che in questa lirica viaggi su un registro fiabesco - onirico, ma al tempo stesso riesci a compiere un operazione stilistica di rara difficoltà. Il tuo potrebbe definirsi un Cantico dedicato a Laura, a questa fanciulla figlia della vita di campagna. Poco importa se sia esistita, conta l'armonia del creato ch'ella respira, 'le scene che il vespero combinava con la sua malinconia', le corse dietro alla luna; 'la nuvola dei passeri (che)
RispondiEliminarientrava dai voli giornalieri' ai quali
'si mischiava con la mente ed il cuore'. Laura non è felice. In questi versi rotondi, perfetti, tutto si compie con un senso di poesia e di verità difficilissimi da coniugare. Non c'è enfasi. E la morte del padre della ragazza segna l'improvviso cambio di vita, rende l'idea di quanto crescere può fare molto male, in quanto scortica l'anima, dà la consapevolezza di come tutto può cambiare. Tu sei il re della saudade e affreschi la solitudine di Laura mettendo in luce che la presenza degli assenti nella memoria dei vivi sa essere più potente della morte. Questa lirica conferma la mia idea che le eredità sono state inventate dal diavolo, mentre hanno valore le trasmissioni che avvengono in vita. La fanciulla eredita la vanga, il lavoro del padre e il 'suono che il vento di monte le portava'. Quanti messaggi in questo cantico, Amico mio Poeta! Muoversi nei tuoi versi è scivolare in un meraviglioso utero denso di sensazioni, di suoni, di profumi. E' rinascere. Grazie per tanta ricchezza. Ti ho nel cuore!
"era allora che la nuvola dei passeri
RispondiEliminarientrava dai voli giornalieri, e lei
ci si mischiava con la mente ed il cuore.
Fingeva di andare lontano, in alto,
indossando le ali degli uccelli".
Fantastico il narrare poetico di un vero maestro della parola. Fantastico e allo stesso tempo estatico, realistico e pregno di vite da altri vissute.
In questo splendido racconto, il Professor Pardini mette in luce e manifesta il suo sapere, la sua immensa cultura e la sua grande e dolce sensibilità. Alcune persone sono un vero e proprio "Patrimonio dell'umanità " e il Prof. Pardini lo è in tutto e per tutto. Un vero e grande patrimonio che spinge a volgere lo sguardo verso l'arte pura e vera. Verso ciò che contraddistingue gli esseri umani da ogni altro essere vivente (in tutti i sensi). Pochi ma buoni anzi, ottimi, eccelsi ed eccellenti sia per quello che fa, sia per quello che dice.
Troppo bello per essere vero... il sogno, eppure c'è, si muove e, per nostra fortuna, esiste.
Certo che esisterà per sempre, dolcemente continuo a sognare.
Grazie, grazie e mille volte grazie.
Josye Traulcer