POESIE DI MAURIZIO DONTE E MIEI RELATIVI COMMENTI
Maurizio Donte,
collaboratore di Lèucade
Inno
#rimeextravaganti
Nell'aria intorno in cui riluce a sera
l'aura sognante del pensare amore,
ecco discende dove il cielo annera
l'ultima eco che stempera il dolore.
Non più mi illudo, né il mio cuore spera
in mari aperti tinti dal colore
in cui cercare un sogno che si avvera.
Non provo nulla, non ho alcun rancore,
vedo soltanto un velo all'orizzonte
di tarde nubi che il pensiero occlude,
e vado solo senza saper dove
sopra il sentiero steso là di fronte,
tra fossi e sterpi mentre si rinchiude
l'idea che avevo senza aver le prove.
Il sonetto è intessuto di echi
fonico-ritmici,alla fine così come (almeno in qualche caso) all'interno dei
versi : da rilevare al riguardo la lunga consonanza che unisce le rime in A e
quelle in B ('sera'-'annera'-'spera'-'avvera' >
'amore'-'dolore'-'colore'-'rancore') ; la rima e la consonanza interne che
legano 'cuore' (v. 5) rispettivamente alle rime in B e a quelle in A ;
l'assonanza-paronomasia interna (v. 9) 'vedo'-'velo' e la parimenti interna consonanza
(nello stesso verso) tra 'soltanto' e 'orizzonte', laddove le quattro parole
anzidette ('vedo'-'soltanto'-'velo'-'orizzonte') figurano collocate nel verso
secondo una 'dispositio' che ricorda quella della 'traiectio' ;la consonanza
interna che lega 'pensare' (v. 2) alle rime in A e in B nonché a 'cuore' (v.
5),'pensiero' (v. 10) e 'sentiero' (v. 12) ; la rima interna
'pensiero'-'sentiero' ; l'assonanza interna
'ecco'-cielo'-'eco'-'vedo'-'velo'-'pensiero'-'sentiero'-'steso'-'avevo' ; la
rima interna 'cielo'-'velo' ; la consonanza interna 'cielo'-'velo'-'solo' ;
l'assonanza tra le rime in B (in '-ore') e le rime in C (in '-onte') e in E (in
'-ove') ; la consonanza interna-paronomasia 'vedo'-'vado' ; l'assonanza interna
'sentiero'-'steso'...Variegata concertazione fonico-ritmica (appunto
rimica, assonanzante e consonanzante nonché passibile, ovviamente,di ulteriori
eventuali approfondimenti) nella quale le parole implicate hanno spesso anche
un rilievo semantico e tematico centrale (è il caso perlomeno di termini come
'spera','amore','dolore','rancore','cuore','vedo','pensare','pensiero' e
'vado',in quanto indicativi della tormentata dimensione emotivo-sentimentale,
mentale-riflessiva ed esistenziale dell'io poetico-lirico ; ma anche di parole
quali 'sera','annera','colore','velo','orizzonte','cielo' ed 'eco', perché
raffiguranti almeno alcuni degli elementi più rilevanti del paesaggio naturale
cui assiste quell'io, paesaggio che a sua volta raffigura ed esprime - con
alcuni dei suoi elementi iconico-visivi e fonico-acustici - la
disillusa situazione interiore - ormai priva appunto di illusioni,di
speranze e di rancore - dell'io). Proprio questa articolata concertazione
fonico-ritmica,se da un lato evidenza la struttura metrica solo apparentemente
semplice e lineare ma in verità alquanto complessa del sonetto (il cui schema
strofico-rimico - ABAB-ABAB-CDE-CDE - rientra nondimeno nella più ampia e
consolidata casistica metrico-rimico-sonettistica italiana - e non solo - dai
Siciliani al Novecento : schema non a caso alquanto prediletto,tra gli
altri,dagli stessi 'Rerum vulgarium fragmenta'), dall'altro è essa stessa
direttamente funzionale alla rappresentazione e all'espressione poetico-liriche
appunto dello stato emotivo e riflessivo (improntato a un dolore d'Amore ormai
stemperato,di cui resta solo un' "ultima eco",e caratterizzato
altresì dalla mancanza di illusioni,di speranze e di "rancore"
rispetto al "sogno" amoroso "che [non] si avvera"
nonché da un offuscamento-occlusione del pensiero che fa "chiudere"
l'idea-sogno d'Amore concepita e sperata "senza [averne] le prove" di
conferma) dell'io del poeta. La tecnica rappresentativo-iconico-poetica
adottata dall'Autore è verosimilmente rapportabile a quella del
'correlativo-oggettivo',che (certo non ignota ai poeti italiani - e non solo -
dei primi secoli e dei successivi,oltre a essere presente - tra gli altri -
anche ai poeti greci e latini : penso solo a certi episodi e 'loci' delle
ecloghe pastorale-bucoliche virgiliane...) largo impiego avrebbe trovato in
particolare nei poeti dell'età contemporanea (non ultimi gli stessi Pascoli e
Montale). Così il cielo che "annera","l'ultima eco che stempera
il dolore",il "velo all'orizzonte/ di tarde nubi che il pensiero
occlude" ed elementi naturale-paesaggistici altrettanto desolati e cupi
come i "fossi" e gli "sterpi" (di sia pur molto vaga
memoria linguistico-stilistico-intertestuale dantesca - penso a certi elementi
espressivi e a determinate immagini fosche delle 'Rime petrose' ma anche,e
correlativamente,a determinati elementi lessicali e luoghi dell''Inferno' come
gli "sterpi" cui si allude nel canto XIII - dedicato a Pier Della
Vigna e all'allucinato e sconvolgente paesaggio sterposo e desolato della
'selva degli impiccati-suicidi' - le fosse-bolge dell'ottavo cerchio infernale
- e, conseguentemente, montaliana,se è vero che fin dall'iniziale 'osso di
seppia' "Meriggiare pallido e assorto" il linguaggio poetico di
Montale si richiama altresì,e non soltanto, a diversi degli aspetti lessicali e
stilistici "bassi","concreti" e "realistici" -
pertinenti come tali al 'sermo mediocris et humilis' ovvero allo stile insieme
'comicus' ed 'elegiacus' - delle 'Rime petrose' e dell''Inferno' danteschi...)
non possono non esprimere e raffigurare (in forma di corrispettivo,di commento
e di contrappunto iconico-visivo-cromatico-paesaggistici) giustappunto lo stato
di disillusione, mancanza di speranza, offuscamento del pensiero e
'pietrificazione' ("Non provo nulla,non ho alcun rancore") dell'io
poetico,non senza la presenza (del resto necessaria,inevitabile e per certi
aspetti "dichiarata" in un'opera come "Il Canzoniere" di M.
Donte) di echi petrarcheschi e petrarchistici (si pensi solo al verso "e
vado solo senza saper dove", necessariamente memore,sia pure
indirettamente,del celebre sonetto petrarchesco "Solo et pensoso i più
deserti campi" e di altri luoghi testuali dei "Rerum vulgarium
fragmenta') e di qualche suggestione crimatico-paesaggistico-emotiva (comunque
molto vaga,sfumata e implicita) foscoliana (cfr. il sonetto 'Alla sera'),
laddove in ogni caso detti indistinti e appena vagamente allusi richiami
intertestuali (almeno petrarcheschi e foscoliani) vengono smistati,assimilati e
rielaborati dalla scrittura dontesca in un discorso poetico-lirico comunque e
sempre funzionale alla descrizione e all'approfondimento autoanalitici di uno
stato interiore,emotivo e mentale-riflessivo tutto personale e individuale
(ancorché pur sempre legato al 'pensiero d'Amore',alla 'fin'Amor',alla
'Minne',il 'pensiero d'Amore' dei Minnesänger, ossia i poeti lirici cortesi
tedeschi dell'età medioevale).
Sirventese II
Va via la nebbia e si ritorna a sera:
scende sui monti e l'aria si fa
nera,
ma la speranza mia giammai s'avvera.
Voce mi culla
della sì dolce e cara mia fanciulla:
tanto mi piace, eppur non spero nulla,
sempre m'illudo e questo mi trastulla
e di lontano
viene e risuona la mia cetra piano,
e intanto cala il giorno, a mano, a mano
e dall'amor per lei son preso invano.
Maurizio Donte
Il sirventese o serventese, genere metrico-poetico
di importazione trobadorico-occitanico-provenzale (il termine deriva
all'italiano appunto dal vocabolo occitano 'sirventes', a sua volta legato
etimologicamente alle parole 'servo' e 'servire' ; nella poesia medievale in
lingua 'd'oc' detto genere versificatorio-poetico veniva o poteva essere
destinato a temi e motivi soprattutto politico-civili o morale-didascalici,
quantunque non mancasse la sua destinazione anche a contenuti di diversa
tipologia),non ha incontrato una grande fortuna nell'àmbito della poesia e
della metrica italiane,e ciò a differenza da due generi metrici anch'essi
d'importazione occitanico-provenzale divenuti nondimeno già nel secolo XIII due
delle forme versificatorie canoniche, istituzionali e fondamentali della nostra
poesia come la canzone (derivata - a partire dai Siciliani - dalla 'canso' in
lingua 'd'oc', termine a sua volta proveniente dal latino medievale 'cantio') e
la ballata o 'canzone a ballo' (quest'ultima derivata dalla 'balada', peraltro
ben presto assai diffusa anche nella lirica oitanica dei trovieri e poi in
quella francese moderna e contemporanea). Nella poesia italiana il sirventese
ha in effetti prodotto ben pochi testi, peraltro caratterizzati da una certa
varietà di schemi metrico-strofico-rimici,i più conclamati tra i quali sembrano
essere la strofa tetrastica (o quartina) di endecasillabi oppure quella
(eterometrica) costituita da tre endecasillabi monorimi seguìti da un quinario
e dunque strutturata secondo lo schema AAAb, laddove la strofa successiva si
lega alla precedente per via della rima che unisce il quinario della prima ai
tre endecasillabi della seconda : concatenazione rimica che continua nelle
strofe successive,ragion percui tale variante metrico-ritmica del sirventese
italiano (nota precisamente come 'sirventese caudato',ove il verso di coda di
ciascuna strofa è appunto il pentasillabo finale) esibisce lo schema AAAb -
BBBc - CCCd - [...] - YYYz, laddove il verso explicitario e conclusivo rimane o
dovrebbe restare irrelato e quindi non rimato. Consimile variante metrica del
nostro sirventese interessa più che altro perché fu verosimilmente tenuta
presente dallo stesso Dante (al pari dello schema rimico concatenato delle
terzine del sonetto : CDC - DCD) nel ricavare e (a quanto pare) inventare la
struttura metrico-rimico-ritmica del suo 'sacrato poema' ovvero (com'è ben
noto) la 'terzina incatenata' o 'terzina dantesca' o 'terza rima',schema
strofico e rimico nella cui creazione lo scrittore fiorentino dovette tenere
presenti (oltre alla risaputa simbologia numerica religiosa cristiana alludente
al dogma della Trinità e pertanto facente del numero tre e dei suoi multipli
uno dei simboli della Divina Perfezione,e oltre alla scansione triadica del
sillogismo ternario di aristotelica e neoaristotelico-scolastica derivazione)
proprio lo schema rimico concatenato delle terzine sonettistiche e quello
relativo alla quanto mai desueta variante metrico-ritmica del sirventese
caudato (a dimostrazione del fatto che anche sul piano delle strutture espressive
- linguistiche e plurilinguistiche, stilistiche e pluristilistiche
così come metriche e ritmiche - la 'Divina Commedia' persegue un approccio di
fusione sincretistica tra molteplici e differenti componenti : sincretismo in
effetti da essa perseguìto anche sul piano dei modelli,delle fonti e delle
presupposizioni culturali - scientifiche,tecniche,religiose, filosofiche,
storiche,ecc. - ,che in essa sono effettivamente tanto
biblico-ebraico-cristiane quanto classico-pagane...). Questo sirventese di Maurizio
Donte esibisce giustappunto la variante metrico-strofico-rimico-ritmica caudata
(deprivandola però del quinario finale e dunque di chiusa), e a mio avviso ha
(tra le sue ragioni di interesse artistico-poetico) non solo la particolare
orditura versificatoria ma anche la suggestiva ed efficace corrispondenza che
istituisce (come si verifica a esempio anche nell'àmbito della tecnica
compositiva cosiddetta del 'correlativo oggettivo') tra determinati dettagli
paesaggistico-cromatici e lo stato d'animo disforico del poeta o eventualmente
del suo io lirico (stato emotivo improntato a una disperazione e a una
disillusione dolorose dovute all' impossibile speranza di raggiungere la donna
amata,che nel componimento appare irrimediabilmente lontana o comunque irraggiungibile)
: stati d'animo disforici, negativi,dolorosi cui corrispondono evidentemente
elementi del paesaggio naturale di colore e di connotazione tristi come appunto
la 'nebbia',la 'sera' e 'l'aria [che] si fa nera' calanti sui monti e il
calare-tramontare del giorno. A tutto ciò si uniscono il sopraggiungere della
voce della 'dolce e cara [...] fanciulla' amata (ma irreparabilmente distante
e/o irraggiungibile),il suono (che si avvicina da lontano come un'eco) della
cetra e quindi (come indica notoriamente questo strumento musicale
tradizionalmente simbolo della poesia) della stessa poesia del poeta-io
lirico-amante, l'impossibilità di tradurre in realtà la speranza di
congiungersi all'amata,il conseguente crollo di questo vano sperare e la natura
inevitabilmente vana e inutile dell'amore,della passione amorosa che pervade
l'animo del poeta ma che (appunto) non può raggiungere il proprio oggetto. Le
immagini paesaggistico-ambientali,la dolorosa situazione emotivo-sentimentale
del poeta-amante dovuta a una condizione di lontananza e irraggiungibilità
della figura femminile amata,l'andare verso di lei nonché il tornare da lei
(entrambi sconsolati) della cetra-poesia amorosa del poeta-amatore e la
conseguente impossibilità per costui di realizzare pienamente il proprio
amore,la propria passione amorosa rinviano (sia pur parzialmente) ai paesaggi
naturali,allo schema dell' 'amor de lonh' ('amore da lontano'),alle immagini
meta-poetiche (implicate dai riferimenti del poeta alla propria cetra e/o alla
propria poesia e/o al proprio componimento poetico investiti della funzione di
recarsi presso la donna amata e di portarle testimonianza e fede dell'amore del
poeta-amante lontano) e al groviglio di sentimenti di speranza,illusione,
disillusione e sofferenza d'amore presenti in tanta lirica amorosa cortese
medioevale,'in primis' quella dei trovatori e (ancor più direttamente) dei
Siciliani,dei Siculo-toscani,degli Stilnovisti (Dante compreso) e di Petrarca :
si pensi in particolare alla celebre 'ballatetta' (ballata stravagante sul
piano metrico) 'Perch'i' non spero di tornar giammai' di Guido Cavalcanti e a
certe cupe e sconvolgenti immagini di paesaggio invernale presenti in certe
'Rime' dantesche 'petrose',oltre al leggendario e nostalgico 'amore da lontano'
che legò il poeta trovatore Jaufre Rudel (cfr. anche la celebre rielaborazione
poetica fattane da G. Carducci) a una principessa di Tripoli in Libano. Del
resto proprio i poeti delle Origini e dei primi secoli delle letterature
romanze medievali (precipuamente i trovatori in lingua 'd'oc' ma anche e
soprattutto i Siciliani,i Siculo-toscani,gli Stilnovisti e massimamente
Petrarca) sono i principali modelli poetici lirici
(linguistici,stlistici,metrici e tematici) ai quali ama richiamarsi la
poesia di Maurizio Donte.
Icaro, l'ultimo volo
Dal colmo della torre aprii la vela
ed alto m'involai
Con queste ali mie di penne e cera,
tese nel sole alla ricerca vana
di quell'eternità
cui tutti noi s'anela;
il giorno si stancò, poi venne sera,
ed oltre l'orizzonte
s'aprì nell'infinito
ruotar dell'universo,
il ricercar di giovinezza nuova.
Tra le nuvole aperte in cielo stese
e le ombre scure della terra amara,
salì nel vento, largo, il divenire
e il silenzio discese sul riflesso
delle onde azzurre e delle schiume in
mare.
Fu quella la visione
del rapido mutar del mio destino
che nacque avverso: dell'ultimo grido
teso all'inconoscibile
veniente; ed ombra fu l'anima morta,
o sarà luce quello che mi attende
sopra l'estrema linea
che demarca il mio tempo
dal divenir futuro?
Cadranno i verbi, fuorché il solo Essere:
oltre l'angoscia dell'oggi presente
viene forse l'Eterno,
quell'istante perfetto,
che per se stesso dura?
Maurizio Donte
A una lettura preliminare, la poesia mi
sembra una rielaborazione in chiave spirituale-religiosa cristiana del mito
classico-pagano di Icaro, con un conseguente rovesciamento (in chiave
positivo-speranzosa) dell'esito negativo e mortale della narrazione mitologica
icarica : mentre (com'è ben noto) il celebre personaggio mitico precipita e
soccombe a séguito dello sciogliersi al sole della cera che connette le ali
artificiali da lui costruite per soddisfare l'umano desiderio di volare
(espressione conscia e, insieme, inconscia del desiderio di conoscere e
scoprire l'ignoto,il mistero,gli aspetti e le situazioni più sconosciuti e
quindi più misteriosi della realtà),in questo componimento si assiste a un
rapido e inatteso mutare del destino avverso di morte dell'uomo e (in
particolare) della sua anima protesi in volo verso la conoscenza del Mistero :
il dischiudersi dell'orizzonte vespertino (nell'ora serale del tramonto,che
parrebbe come tale preludere al tramonto e quindi alla fine della vita e delle
speranze umane) e il conseguente anelito dell'anima verso la ricerca di una
'giovinezza nuova' (ossia di una nuova,giovane e sublime vita spirituale)
simboleggiano la finale speranza della stessa anima di protendersi e di
accedere (dopo la morte del corpo) a una nuova vita spirituale segnata 'in
aeternum' dalla presenza dell'Essere Eterno e dunque di Dio : dimensione
spirituale in cui,per conseguenza,non potrà essere che il 'Verbum' divino ('In
principio erat Verbum'),esprimente come tale l'essere (l'essenza ontologica) e
la volontà dell'Essere Supremo (appunto l'Essere Assoluto, Universale ed
Eterno) ; dimensione spirituale nella quale, infine,non potrà essere che
l'Eterno,l'Eternità, il Presente-Istante perfetto, assoluto e immortale,il
Tempo senza tempo dell'Eternità...
Un altro aspetto peculiare della poesia
lirica (amorosa ma anche spirituale-religioso-morale-riflessiva) di M. Donte è
il suo svilupparsi in rapporto alla musica e al canto. Ovviamente i rapporti
tra poesia (lirica ma anche epica e non solo) da un lato e musica e canto
dall'altro sono antichissimi,e risalgono verosimilmente alle origini stesse
della poesia (del resto 'ab initio' nata,eseguita,memorizzata e trasmessa
probabilmente in forme orali,oltre a essere spesso cantata e corredata di
accompagnamento musicale). Peraltro,la stessa poesia (non solo quella lirica),
specialmente quando ricorra a strutture metriche e ritmiche regolari o
semiregolari, spesso e volentieri esalta e tende a esaltare (mediante attenti e
ricercati strumenti ed espedienti non solo metrici,rimici,ritmici,ecc. ma anche
lessicali, morfologici,fonetici,sintattici,ecc. ecc.) i proprii valori
squisitamente fonici,acustici, musicali,cantabili, così da imitare,emulare e
riprodurre in qualche misura arti "sorelle" come appunto il canto
(l''ars canora') e la musica. Gli esempii di "ut musica poësis" sono
quasi infiniti e ovviamente non pertengono solo alla tradizione
versificatoria,metrica e poetica (non unicamente lirica, d'altronde)
occidentale. Diversi dei sonetti,dei madrigali e degli altri testi poetici
metricamente impostati di M. Donte si accompagnano a 'testi' canori e/o
musicali, ovvero a canzoni e/o a brani musicali (perlopiù classici ma anche
contemporanei). Del resto uno storicamente stretto rapporto con il canto e con
la musica non possono non avere,tra i suoi testi,i madrigali liberi (di
esplicito gusto tassesco, tanto che lo stesso Autore li definisce 'Madrigali
tassiani'),costituiti (in accordo con un'ampia e plurisecolare tradizione
madrigalistica che in Italia parte almeno da qualche esemplare testuale degli
'Amorum libri tres' di M. M. Boiardo e giunge al '500,prolungandosi ampiamente
fino al '600,al '700 e al primo '800,non dimenticando tuttavia i cinque
'Madrigali a Dio' presenti nella raccolta 'L'usignolo della Chiesa Cattolica'
di P. P. Pasolini) dalle libere combinazione e alternanza eterometriche di
endecasillabi e settenarii variamente rimati (con ampia possibilità di lasciare
diversi versi irrelati e quindi non rimati),con o senza la frequente (almeno
nella struttura metrica del madrigale libero cinque-sei-settecentesco) coppia
(o 'couplet') finale di versi (endecasillabo + settenario oppure settenario +
endecasillabo o endecasillabo + endecasillabo o infine settenario + settenario)
a rima baciata,costituente una sorta di chiusa poetica. Genere metrico,quello
madrigalesco,che 'ab origine' nasce e si sviluppa (nel secolo XIV) a stretto
contatto con il canto e con la musica,in particolare con gli stili canori e
musicali dell''ars nova' : tra i primi madrigalisti figurano lo stesso F.
Petrarca,F. Sacchetti (che nel 'Libro delle Rime' dà ampio spazio a questo
breve genere metrico più di quanto non avvenga nei 'Rerum vulgarium
fragmenta',in cui ne figurano solo 4 esemplari, peraltro - in coerenza con la
predilezione petrarchesca per le forme metriche perfettamente regolari e
simmetriche - in schemi pienamente regolari e unicamente endecasillabici,senza
quindi l'alternanza eterometrica di endecasillabi e settenarii che solitamente
distingue gli schemi rimici, abbastanza variati,dei terzetti strofici o
tristici e dei distici costituenti la forma metrica più antica e quindi arcaica
e originaria del madrigale italiano...) e altri poeti del Trecento. Nel
Cinquecento prende ampio piede il madrigale 'libero',sviluppandosi a strettissimo
contatto con la musica e con il canto, trovando varii cultori (il massimo dei
quali fu sicuramente lo stesso T. Tasso ; ma non bisogna dimenticare autori
come Giovan Battista Strozzi il Vecchio e Giovan Battista Strozzi il Giovane,
peraltro parenti e molti altri) e persino studiosi in grado di elaborarne una
teoria cririco-letteraria. Nel Seicento e nel Settecento tale variante
madrigalesca si lega variamente alle poetiche,al gusto estetico e alla poesia
barocchi,barocco-rococò,classicistico-petrarchistici,classicistico-barocchi, classicistico-arcadici,ecc..
Appunto richiamandosi (sia pur solo
formalmente) a questa plurisecolare tradizione madrigalistica,e in particolare
rifacendosi al modello del madrigale libero tassesco,ma anche utilizzando la maggior
parte degli altri generi metrici consolidati della nostra tradizione
versificatoria e poetica (oltre al sonetto è il caso della canzone regolare di
impianto strofico-rimico petrarchesco - affidata ad ampie e solenni stanze o
strofe perlopiù di endecasillabi e settenarii -, talvolta riproposta altresì in
forme alquanto desuete e originali come quella della
'canzone-frottola',caratterizzata da endecasillabi 'frottolati' ovvero
frequentemente distinti dalla presenza della rimalmezzo,e in diversi altri casi
infarcita di un fittissimo gioco di rimalmezzo e di rime interne degno del
'trobar clus' presente in tante canzoni dei Siciliani,dei Suculo-toscani - 'in
primis' Guittone D'Arezzo -,degli Stilnovisti e degli stessi Dante - anche
'petroso' - e Petrarca ; ma bisogna ricordare parimenti l'uso assai sapiente e
virtuosistico della sestina lirica o 'canzone sestina' - che l'Autore riprende
soprattutto da Petrarca e sperimenta altresì nella sua variante doppia
petrarchesca,alla quale si affianca quella - parzialmente diversa - praticata
da Dante nell'àmbito delle 'Rime petrose' ; e ancóra l'impiego
dell'odicina-canzonetta "anacreontico"-chiabreresca in quartine di
agili settenarii e di gusto esplicitamente arcadizzante, struttura che l'Autore
talvolta innova con apporti personali ; e infine,tra l'altro,l'uso tanto di un
genere metrico dalla struttura quanto mai varia e piuttosto desueto nella
nostra poesia come il sirventese o serventese caudato quanto di un gioco
testuale-metrico-poetico assai originale consistente in singoli testi
sdoppiabili in un sonetto regolare e in un componimento - al limite un
madrigale - in due quartine con rime altrettanto regolari...), Maurizio Donte
costruisce una poesia petrarcheggiante assai cólta e raffinata,che per un verso
intende "emulare" e imitare le evoluzioni del canto e della musica
(come avviene soprattutto - ma non solo - nei madrigali liberi e nelle
odicine-canzonette di gusto "anacreontico",chiabreresco e arcadico) e
dall'altro (oppure contemporaneamente) assimila e rielabora stilemi, strutture
sintattiche, metriche e ritmiche,immagini,
significati,motivi,temi,schemi e varii altri strumenti espressivi,
stilistici,retorici,metrici ecc. non solo petrarcheschi e petrarchistici ma
relativi altresì alla nostra poesia dei primi secoli (è il caso a esempio dello
schema dell''amore di lontano', dell''amor de lohn', peraltro già presente
nella precedente poesia lirica occitanico-provenzale-trobadorica ; è parimenti
il caso di Siciliani, Suculo-toscani, Stilnovisti,lo stesso Dante) e ancóra del
periodo compreso tra '400 e '900, rendendo tutti questi elementi e modelli
formali e contenutistici funzionali a un sentire,a una sensibilità
umana,emotiva, spirituale e poetica necessariamente e inquietamente
moderno-contemporanea,come tale aperta non solo ai turbamenti,alle
sofferenze,alle illusioni,alle disillusioni e alle gioie di Amore,ma anche ai
problemi assai tormentati della vita spirituale e religiosa e del rapporto
dell'uomo con il Divino nonché alle questioni altrettanto dolorose del nostro
travagliato presente.
Salmo
ABBA ABBA CDC DCD
Padre del Cielo ascolta la mia voce
che eleva a Te, mia Eterna Luce , il canto
per chi rimane doloroso in pianto:
soffre il creato, vedi, nel feroce
abbraccio di chi odia in Te la
Croce,
né del Vangelo Tuo si fa mai vanto:
unica Via di luminoso incanto
quando la vita trova la sua foce
in mezzo a un mare privo di
speranza,
se non sei Tu sostegno nel dolore,
nella Tenebra oscura che si avanza.
Che nasca allora la fiducia in
cuore,
ritrovi in Te la Fede, tua Sostanza,
sorrida al Regno aperto dal Tuo
Amore.
Maurizio Donte
Intenso sonetto-salmo di preghiera a Dio
che conferma l'almeno parziale nascere e svilupparsi dell'ispirazione e della
genesi di certa poesia di Maurizio Donte (in particolare quella di tematica
esistenziale-spirituale-religiosa,oltre che di quella a carattere
emotivo-lirico-paesaggistico) in rapporto ora con la musica classica (in questo
caso di argomento appunto religioso) ora con quella classico-moderna dell'età
contemporanea e del presente perlomeno recente. La stessa struttura di
preghiera, l'invocazione iniziale al Padre del Cielo,la richiesta-speranza che
rinascano nel cuore dell'uomo la fiducia, la Fede in Dio e la conseguente
fiducia nel Regno Celeste aperto dall'Amore Divino alle anime che a Esso si
aprono (affinché l'essere umano si liberi dall'odio e dalla ferocia rivolti
contro i suoi simili e, quindi,contro Dio stesso e contro Gesù Cristo sulla
Croce) collegano strutturalmente,tematicamente e intertestualmente questa
sonetto in forma di preghiera-salmo alla non meno splendida,alta e solenne
poesia-preghiera elevata alla Vergine Maria affinché liberi la travagliata
umanità dalle guerre,dal dolore,dallo sfacelo,dal male, laddove entrambi i
testi di tematica e di ispirazione precipuamente religiose dimostrano il
carattere solo apparentemente straniato e avulso dalla storia (e in particolare
dal presente e dai suoi dolorosi problemi e drammi) della lirica di M. Donte.
Come nei 'Rerum vulgarium fragmenta' petrarcheschi penetrano echi (alquanto
sfumati e smistati) del periodo storico contemporaneo all'Autore (periodo
travagliato dalla peste e dalle numerose morti e devastazioni da essa causate ;
dalla crisi politico-civile italiana ; dalla vergognosa corruzione d'ordine
materiale e morale dilagante nella Curia papale avignonese e nel resto della
comunità ecclesiastica cristiana cattolica romana d'Italia e del resto d'Europa
; ecc. : laddove la morte di Laura De Noves a causa della pestilenza viene
appena evocata in alcuni testi del 'Canzoniere',tra cui la ballata 'Amor,
quando fiorìa' ; la divisa e dolorosa situazione italiana trova espressione in
alcuni componimenti di grande intensità emotiva come la celeberrima canzone
'Italia mia, benché 'l parlar sia indarno',poi modello testuale di tanta poesia
lirico-civile italiana,per esempio dell'arcade Alessandro Guidi e dello stesso
G. Leopardi ; la corruzione insita nella 'cattività avignonese' della Sede
Pontificia viene violentemente e sdegnosamente fustigata in tre celebri sonetti
succedanei...), così nel 'Canzoniere' di M. Donte (in linea con il modello
altamente aulico,nobile e idealizzante della lirica petrarchesca e,
quindi,petrarchistica) i problemi e i drammi del presente storico penetrano in
forma mediata e filtrata (ossia deprivati dei loro aspetti più triviali,laidi,
volgari), e a essi l'io poetico-lirico oppone la sua speranzosa e
fiduciosa, ancorché lacerata e dolorosa,fede e speranza (come si conviene
inevitabilmente al sofferente 'zeitgeist' della contemporaneità,nel quale le
antiche e plurisecolari certezze religiose sono erose dal dubbio,dalla
perplessità, dalla miscredenza, dall'ateismo, dalla stessa eclissi di Dio,dalla
lacerante 'teologia negativa' espressa così intensamente da certa poesia contemporanea
- vedi solo lo straordinario esempio dell'ateistica e dolente poesia teosofica
di G. Caproni...-,dall'assurdità,dal nonsenso,dal tragico e persino dalla
follia ormai immanenti nel vertiginoso "colloquio" dell'uomo
contemporaneo con un Dio che ha assunto sempre più i connotati appunto
dell'Assurdo e del Nulla...) in Dio e nella mediazione della Vergine Maria Sua
Madre e Sua Figlia, affinché illuminino con la Loro Luce la vita e lo spirito
dell'uomo e li indirizzino,proprio contro il male e la sofferenza dilagante nel
mondo, all'Amore Divino,al Sommo Bene.
Da un lato la rappresentazione del Bello
(attuata affidandosi a uno stile aulicamente ed elevatamente monolinguistico e
monostilistico e quindi rapportabile al 'sermo aulicus' della tradizione espressiva
e retorica classica e a quello 'tragicus' delle retoriche e delle 'artes
poetriae' medioevali : linguaggio che, appunto in coerenza con quello nobile e
culto della poesia petrarchesca e di quella petrarchistica,rifugge da ogni
compromissione con parole,sintagmi e stilemi esprimenti gli aspetti laidi,rozzi
e triviali della realtà, del mondo, dell'uomo e della vita ma evita
accuratamente anche compromissioni con forestierismi di non conclamata presenza
letteraria aulica nonché dialettismi,solecismi,colloquialismi e altresì
elementi stilistici di livello marcatamente medio - 'medianus' o 'comicus' - e
soprattutto basso - 'humilis' o 'elegiacus' secondo le rispettive tripartizioni
stilistiche e retoriche appunto classica e medioevale - ; perseguìta altresì
rappresentando una passione amorosa dolente e malinconica ma pur sempre nobile
e sostenuta,tale quindi da non scadere nel patetico,nel vacuo sentimentale e
meno che mai nel lezioso e nello smanceroso : passione amorosa che,pur
richiamandosi di necessità a immagini,motivi,suggestioni e forme espressive del
modello petrarchesco, in diversi casi trova espressione poetica - al pari di
varii stati d'animo di malinconia, contemplazione, approfondimento spirituale
autoanalitico,suggestione immaginativo-fantastica,ecc. - altresì mediante la
tecnica poetica del 'correlativo oggettivo',intesa a stabilire appunto
connessioni,analogie e corrispondenze tra la natura, l'ambiente e il paesaggio
da un lato e gli stati interiori ed emotivi dell'io poetico dall'altro ; corroborata
dal costante richiamo dell'ispirazione poetica alle suggestioni indefinite e
indefinibili derivanti dall'ascolto della musica e del canto classici e
classico-moderni,che la poesia di M. Donte intende in diversi casi quasi
emulare e rispecchiare, così che la rappresentazione poetica dei varii stati
d'animo finisce per svilupparsi anche come una sorta di 'ekphrasis'
musicale-iconico-immaginativo-poetica delle misteriose e indefinibili
sensazioni ed emozioni suscitate dal rapporto con la musica e l''ars canora' ;
attuata parimenti rielaborando le figure,le vicende e le leggende della poesia
celtico-gaelico-ossianica dello scozzese James Macpherson e del suo originale
traduttore-rielaboratore italiano Melchiorre Cesarotti - laddove i 'Canti di
Ossian', poeta-bardo leggendario del III sec. d. C.,rielaborati dal poliglotta
poeta, traduttore e studioso padovano offrono alla rielaborazione poetica di M.
Donte non solo un proficuo e musicale esempio di polimetria affidata a
differenti misure versali e a un libero gioco di rime ma anche e soprattutto
indefinite e misteriose suggestioni preromantiche umbratili,serali,notturne,
sepolcrali,nictomorfe e altresì emotive,immaginative,forse persino
inconscie,che nella sua poesia anche lirico-amorosa e lirico-spirituale-religiosa
si fondono con immagini e suggestioni, ormai pienamente romantiche,di memoria e
di derivazione specialmente foscoliana ; compiuta riscrivendo parimenti
l'altrettanto suggestivo e barbarico mondo mitologico-eroico-epico-poetico
germanico delle canzoni dell'Edda così come presente nell'antico poema
'Beowulf',d'area antico-anglosassone e risalente all'inizio del Medioevo ;
attuata anche recuperando direttamente la magistrale lezione
esistenziale,sacrale,civile e "mitica" del carme foscoliano 'Dei Sepolcri',cui
si richiama un componimento in endecasillabi sciolti di M. Donte,continuando in
tal modo una linea di poesia di ispirazione sepolcrale-foscoliana che,dopo
appunto il capolavoro del Foscolo,ha trovato in Italia un continuatore solo nel
carme 'Ai Lari' facente parte dei 'Canti d'Oriente e d'Occidente' di Giuseppe
Conte), dall'altro lato la rappresentazione del Sacro,del Sommo Bene e
dell'Amore Divino (evocati e pregati appunto contro il male,le guerre,la
ferocia e l'odio dilaganti nel mondo contemporaneo) elevano tutta la poesia di
M. Donte (memore in ciò anche dell'esempio de 'Le Grazie' dello stesso U.
Foscolo) appunto contro la negatività del mondo, della realtà e
dell'umanità,ragion percui la sua è una poesia solo apparentemente distaccata e
avulsa dai problemi e dai drammi perenni e pancronici della vita umana così
come da quelli specifici del nostro presente,contro la negatività e la feroce
disumanità del quale egli oppone la funzione foscolianamente
eternatrice,sublimante, preservante e memoriale svolta dalla Poesia a favore
della Bellezza ma anche dei princìpi sacrali e religiosi e dei più
autentici valori umani di fraternità, aggregazione, solidarietà, compassione e
'pietas' : appunto i princìpi sacrali,morali e spirituali che allontanano l''humanitas'
dalla 'feritas' e la innalzano ed esaltano alla 'Divinitas'.
Appunto in accordo con la 'pietas' di cui sopra,di matrice foscoliana (e non solo) è,in questa poesia, anche il lungo e reiterato colloquio con le anime-ombre dei cari trapassati,in particolare con l'amatissima figura paterna,fatta oggetto di un intenso e commovente colloquio in diversi testi poetici epicedici (specialmente canzoni di impianto metrico petrarcheggiante e sonetti).
Gianluca Jurij Posteraro
Grazie Professore, gentilissimo
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