sabato 17 ottobre 2020

MAURIZIO DONTE: "COMMENTI ALLE SUE POESIE"

POESIE DI MAURIZIO DONTE E MIEI RELATIVI COMMENTI

 

Maurizio Donte,
collaboratore di Lèucade


Inno

#rimeextravaganti

 

Nell'aria intorno in cui riluce a sera

l'aura sognante del pensare amore,

ecco discende dove il cielo annera

l'ultima eco che stempera il dolore.

 

Non più mi illudo, né il mio cuore spera

in mari aperti tinti dal colore

in cui cercare un sogno che si avvera.

Non provo nulla, non ho alcun rancore,

 

vedo soltanto un velo all'orizzonte

di tarde nubi che il pensiero occlude,

e vado solo senza saper dove

 

sopra il sentiero steso là di fronte,

tra fossi e sterpi mentre si rinchiude

l'idea che avevo senza aver le prove.

 Maurizio Donte

 

Il sonetto è intessuto di echi fonico-ritmici,alla fine così come (almeno in qualche caso) all'interno dei versi : da rilevare al riguardo la lunga consonanza che unisce le rime in A e quelle in B ('sera'-'annera'-'spera'-'avvera' > 'amore'-'dolore'-'colore'-'rancore') ; la rima e la consonanza interne che legano 'cuore' (v. 5) rispettivamente alle rime in B e a quelle in A ; l'assonanza-paronomasia interna (v. 9) 'vedo'-'velo' e la parimenti interna consonanza (nello stesso verso) tra 'soltanto' e 'orizzonte', laddove le quattro parole anzidette ('vedo'-'soltanto'-'velo'-'orizzonte') figurano collocate nel verso secondo una 'dispositio' che ricorda quella della 'traiectio' ;la consonanza interna che lega 'pensare' (v. 2) alle rime in A e in B nonché a 'cuore' (v. 5),'pensiero' (v. 10) e 'sentiero' (v. 12) ; la rima interna 'pensiero'-'sentiero' ; l'assonanza interna 'ecco'-cielo'-'eco'-'vedo'-'velo'-'pensiero'-'sentiero'-'steso'-'avevo' ; la rima interna 'cielo'-'velo' ; la consonanza interna 'cielo'-'velo'-'solo' ; l'assonanza tra le rime in B (in '-ore') e le rime in C (in '-onte') e in E (in '-ove') ; la consonanza interna-paronomasia 'vedo'-'vado' ; l'assonanza interna 'sentiero'-'steso'...Variegata concertazione fonico-ritmica (appunto rimica, assonanzante e consonanzante nonché passibile, ovviamente,di ulteriori eventuali approfondimenti) nella quale le parole implicate hanno spesso anche un rilievo semantico e tematico centrale (è il caso perlomeno di termini come 'spera','amore','dolore','rancore','cuore','vedo','pensare','pensiero' e 'vado',in quanto indicativi della tormentata dimensione emotivo-sentimentale, mentale-riflessiva ed esistenziale dell'io poetico-lirico ; ma anche di parole quali 'sera','annera','colore','velo','orizzonte','cielo' ed 'eco', perché raffiguranti almeno alcuni degli elementi più rilevanti del paesaggio naturale cui assiste quell'io, paesaggio che a sua volta raffigura ed esprime - con alcuni dei suoi elementi iconico-visivi e fonico-acustici - la disillusa  situazione interiore - ormai priva appunto di illusioni,di speranze e di rancore - dell'io). Proprio questa articolata concertazione fonico-ritmica,se da un lato evidenza la struttura metrica solo apparentemente semplice e lineare ma in verità alquanto complessa del sonetto (il cui schema strofico-rimico - ABAB-ABAB-CDE-CDE - rientra nondimeno nella più ampia e consolidata casistica metrico-rimico-sonettistica italiana - e non solo - dai Siciliani al Novecento : schema non a caso alquanto prediletto,tra gli altri,dagli stessi 'Rerum vulgarium fragmenta'), dall'altro è essa stessa direttamente funzionale alla rappresentazione e all'espressione poetico-liriche appunto dello stato emotivo e riflessivo (improntato a un dolore d'Amore ormai stemperato,di cui resta solo un' "ultima eco",e caratterizzato altresì dalla mancanza di illusioni,di speranze e di "rancore" rispetto al "sogno" amoroso "che [non] si avvera" nonché  da un offuscamento-occlusione del pensiero che fa "chiudere" l'idea-sogno d'Amore concepita e sperata "senza [averne] le prove" di conferma) dell'io del poeta. La tecnica rappresentativo-iconico-poetica adottata dall'Autore è verosimilmente rapportabile a quella del 'correlativo-oggettivo',che (certo non ignota ai poeti italiani - e non solo - dei primi secoli e dei successivi,oltre a essere presente - tra gli altri - anche ai poeti greci e latini : penso solo a certi episodi e 'loci' delle ecloghe pastorale-bucoliche virgiliane...) largo impiego avrebbe trovato in particolare nei poeti dell'età contemporanea (non ultimi gli stessi Pascoli e Montale). Così il cielo che "annera","l'ultima eco che stempera il dolore",il "velo all'orizzonte/ di tarde nubi che il pensiero occlude" ed elementi naturale-paesaggistici altrettanto desolati e cupi come i "fossi" e gli "sterpi" (di sia pur molto vaga memoria linguistico-stilistico-intertestuale dantesca - penso a certi elementi espressivi e a determinate immagini fosche delle 'Rime petrose' ma anche,e correlativamente,a determinati elementi lessicali e luoghi dell''Inferno' come gli "sterpi" cui si allude nel canto XIII - dedicato a Pier Della Vigna e all'allucinato e sconvolgente paesaggio sterposo e desolato della 'selva degli impiccati-suicidi' - le fosse-bolge dell'ottavo cerchio infernale - e, conseguentemente, montaliana,se è vero che fin dall'iniziale 'osso di seppia' "Meriggiare pallido e assorto" il linguaggio poetico di Montale si richiama altresì,e non soltanto, a diversi degli aspetti lessicali e stilistici "bassi","concreti" e "realistici" - pertinenti come tali al 'sermo mediocris et humilis' ovvero allo stile insieme 'comicus' ed 'elegiacus' - delle 'Rime petrose' e dell''Inferno' danteschi...) non possono non esprimere e raffigurare (in forma di corrispettivo,di commento e di contrappunto iconico-visivo-cromatico-paesaggistici) giustappunto lo stato di disillusione, mancanza di speranza, offuscamento del pensiero e 'pietrificazione' ("Non provo nulla,non ho alcun rancore") dell'io poetico,non senza la presenza (del resto necessaria,inevitabile e per certi aspetti "dichiarata" in un'opera come "Il Canzoniere" di M. Donte) di echi petrarcheschi e petrarchistici (si pensi solo al verso "e vado solo senza saper dove", necessariamente memore,sia pure indirettamente,del celebre sonetto petrarchesco "Solo et pensoso i più deserti campi" e di altri luoghi testuali dei "Rerum vulgarium fragmenta') e di qualche suggestione crimatico-paesaggistico-emotiva (comunque molto vaga,sfumata e implicita) foscoliana (cfr. il sonetto 'Alla sera'), laddove in ogni caso detti indistinti e appena vagamente allusi richiami intertestuali (almeno petrarcheschi e foscoliani) vengono smistati,assimilati e rielaborati dalla scrittura dontesca in un discorso poetico-lirico comunque e sempre funzionale alla descrizione e all'approfondimento autoanalitici di uno stato interiore,emotivo e mentale-riflessivo tutto personale e individuale (ancorché pur sempre legato al 'pensiero d'Amore',alla 'fin'Amor',alla 'Minne',il 'pensiero d'Amore' dei Minnesänger, ossia i poeti lirici cortesi tedeschi dell'età medioevale).

 

Sirventese II

 

Va via la nebbia e si ritorna a sera:

scende sui monti e l'aria si fa nera, 

ma la speranza mia giammai s'avvera. 

Voce mi culla

 

della sì dolce e cara mia fanciulla:

tanto mi piace, eppur non spero nulla,

sempre m'illudo e questo mi trastulla

e di lontano

 

viene e risuona la mia cetra piano,

e intanto cala il giorno, a mano, a mano

e dall'amor per lei son preso invano.

 

Maurizio Donte

 

Il sirventese o serventese, genere metrico-poetico di importazione trobadorico-occitanico-provenzale (il termine deriva all'italiano appunto dal vocabolo occitano 'sirventes', a sua volta legato etimologicamente alle parole 'servo' e 'servire' ; nella poesia medievale in lingua 'd'oc' detto genere versificatorio-poetico veniva o poteva essere destinato a temi e motivi soprattutto politico-civili o morale-didascalici, quantunque non mancasse la sua destinazione anche a contenuti di diversa tipologia),non ha incontrato una grande fortuna nell'àmbito della poesia e della metrica italiane,e ciò a differenza da due generi metrici anch'essi d'importazione occitanico-provenzale divenuti nondimeno già nel secolo XIII due delle forme versificatorie canoniche, istituzionali e fondamentali della nostra poesia come la canzone (derivata - a partire dai Siciliani - dalla 'canso' in lingua 'd'oc', termine a sua volta proveniente dal latino medievale 'cantio') e la ballata o 'canzone a ballo' (quest'ultima derivata dalla 'balada', peraltro ben presto assai diffusa anche nella lirica oitanica dei trovieri e poi in quella francese moderna e contemporanea). Nella poesia italiana il sirventese ha in effetti prodotto ben pochi testi, peraltro caratterizzati da una certa varietà di schemi metrico-strofico-rimici,i più conclamati tra i quali sembrano essere la strofa tetrastica (o quartina) di endecasillabi oppure quella (eterometrica) costituita da tre endecasillabi monorimi seguìti da un quinario e dunque strutturata secondo lo schema AAAb, laddove la strofa successiva si lega alla precedente per via della rima che unisce il quinario della prima ai tre endecasillabi della seconda : concatenazione rimica che continua nelle strofe successive,ragion percui tale variante metrico-ritmica del sirventese italiano (nota precisamente come 'sirventese caudato',ove il verso di coda di ciascuna strofa è appunto il pentasillabo finale) esibisce lo schema AAAb - BBBc - CCCd - [...] - YYYz, laddove il verso explicitario e conclusivo rimane o dovrebbe restare irrelato e quindi non rimato. Consimile variante metrica del nostro sirventese interessa più che altro perché fu verosimilmente tenuta presente dallo stesso Dante (al pari dello schema rimico concatenato delle terzine del sonetto : CDC - DCD) nel ricavare e (a quanto pare) inventare la struttura metrico-rimico-ritmica del suo 'sacrato poema' ovvero (com'è ben noto) la 'terzina incatenata' o 'terzina dantesca' o 'terza rima',schema strofico e rimico nella cui creazione lo scrittore fiorentino dovette tenere presenti (oltre alla risaputa simbologia numerica religiosa cristiana alludente al dogma della Trinità e pertanto facente del numero tre e dei suoi multipli uno dei simboli della Divina Perfezione,e oltre alla scansione triadica del sillogismo ternario di aristotelica e neoaristotelico-scolastica derivazione) proprio lo schema rimico concatenato delle terzine sonettistiche e quello relativo alla quanto mai desueta variante metrico-ritmica del sirventese caudato (a dimostrazione del fatto che anche sul piano delle strutture espressive -  linguistiche e plurilinguistiche, stilistiche e pluristilistiche così come metriche e ritmiche - la 'Divina Commedia' persegue un approccio di fusione sincretistica tra molteplici e differenti componenti : sincretismo in effetti da essa perseguìto anche sul piano dei modelli,delle fonti e delle presupposizioni culturali - scientifiche,tecniche,religiose, filosofiche, storiche,ecc. - ,che in essa sono effettivamente tanto biblico-ebraico-cristiane quanto classico-pagane...). Questo sirventese di Maurizio Donte esibisce giustappunto la variante metrico-strofico-rimico-ritmica caudata (deprivandola però del quinario finale e dunque di chiusa), e a mio avviso ha (tra le sue ragioni di interesse artistico-poetico) non solo la particolare orditura versificatoria ma anche la suggestiva ed efficace corrispondenza che istituisce (come si verifica a esempio anche nell'àmbito della tecnica compositiva cosiddetta del 'correlativo oggettivo') tra determinati dettagli paesaggistico-cromatici e lo stato d'animo disforico del poeta o eventualmente del suo io lirico (stato emotivo improntato a una disperazione e a una disillusione dolorose dovute all' impossibile speranza di raggiungere la donna amata,che nel componimento appare irrimediabilmente lontana o comunque irraggiungibile) : stati d'animo disforici, negativi,dolorosi cui corrispondono evidentemente elementi del paesaggio naturale di colore e di connotazione tristi come appunto la 'nebbia',la 'sera' e 'l'aria [che] si fa nera' calanti sui monti e il calare-tramontare del giorno. A tutto ciò si uniscono il sopraggiungere della voce della 'dolce e cara [...] fanciulla' amata (ma irreparabilmente distante e/o irraggiungibile),il suono (che si avvicina da lontano come un'eco) della cetra e quindi (come indica notoriamente questo strumento musicale tradizionalmente simbolo della poesia) della stessa poesia del poeta-io lirico-amante, l'impossibilità di tradurre in realtà la speranza di congiungersi all'amata,il conseguente crollo di questo vano sperare e la natura inevitabilmente vana e inutile dell'amore,della passione amorosa che pervade l'animo del poeta ma che (appunto) non può raggiungere il proprio oggetto. Le immagini paesaggistico-ambientali,la dolorosa situazione emotivo-sentimentale del poeta-amante dovuta a una condizione di lontananza e irraggiungibilità della figura femminile amata,l'andare verso di lei nonché il tornare da lei (entrambi sconsolati) della cetra-poesia amorosa del poeta-amatore e la conseguente impossibilità per costui di realizzare pienamente il proprio amore,la propria passione amorosa rinviano (sia pur parzialmente) ai paesaggi naturali,allo schema dell' 'amor de lonh' ('amore da lontano'),alle immagini meta-poetiche (implicate dai riferimenti del poeta alla propria cetra e/o alla propria poesia e/o al proprio componimento poetico investiti della funzione di recarsi presso la donna amata e di portarle testimonianza e fede dell'amore del poeta-amante lontano) e al groviglio di sentimenti di speranza,illusione, disillusione e sofferenza d'amore presenti in tanta lirica amorosa cortese medioevale,'in primis' quella dei trovatori e (ancor più direttamente) dei Siciliani,dei Siculo-toscani,degli Stilnovisti (Dante compreso) e di Petrarca : si pensi in particolare alla celebre 'ballatetta' (ballata stravagante sul piano metrico) 'Perch'i' non spero di tornar giammai' di Guido Cavalcanti e a certe cupe e sconvolgenti immagini di paesaggio invernale presenti in certe 'Rime' dantesche 'petrose',oltre al leggendario e nostalgico 'amore da lontano' che legò il poeta trovatore Jaufre Rudel (cfr. anche la celebre rielaborazione poetica fattane da G. Carducci) a una principessa di Tripoli in Libano. Del resto proprio i poeti delle Origini e dei primi secoli delle letterature romanze medievali (precipuamente i trovatori in lingua 'd'oc' ma anche e soprattutto i Siciliani,i Siculo-toscani,gli Stilnovisti e massimamente Petrarca) sono i principali modelli poetici lirici (linguistici,stlistici,metrici e tematici) ai quali ama richiamarsi la poesia di Maurizio Donte.

 

 Icaro, l'ultimo volo

Dal colmo della torre aprii la vela

ed alto m'involai

 

Con queste ali mie di penne e cera,

 

tese nel sole alla ricerca vana

 

di quell'eternità

 

cui tutti noi s'anela;

 

il giorno si stancò, poi venne sera,

 

ed oltre l'orizzonte

 

s'aprì nell'infinito

 

ruotar dell'universo,

 

il ricercar di giovinezza nuova.

 

Tra le nuvole aperte in cielo stese

 

e le ombre scure della terra amara,

 

salì nel vento, largo, il divenire

 

e il silenzio discese sul riflesso

 

delle onde azzurre e delle schiume in mare.

 

Fu quella la visione

 

del rapido mutar del mio destino

 

che nacque avverso: dell'ultimo grido

 

teso all'inconoscibile

 

veniente; ed ombra fu l'anima morta,

 

o sarà luce quello che mi attende

 

sopra l'estrema linea

 

che demarca il mio tempo

 

dal divenir futuro?

 

Cadranno i verbi, fuorché il solo Essere:

 

oltre l'angoscia dell'oggi presente

 

viene forse l'Eterno,

 

quell'istante perfetto,

 

che per se stesso dura?


Maurizio Donte

 

A una lettura preliminare, la poesia mi sembra una rielaborazione in chiave spirituale-religiosa cristiana del mito classico-pagano di Icaro, con un conseguente rovesciamento (in chiave positivo-speranzosa) dell'esito negativo e mortale della narrazione mitologica icarica : mentre (com'è ben noto) il celebre personaggio mitico precipita e soccombe a séguito dello sciogliersi al sole della cera che connette le ali artificiali da lui costruite per soddisfare l'umano desiderio di volare (espressione conscia e, insieme, inconscia del desiderio di conoscere e scoprire l'ignoto,il mistero,gli aspetti e le situazioni più sconosciuti e quindi più misteriosi della realtà),in questo componimento si assiste a un rapido e inatteso mutare del destino avverso di morte dell'uomo e (in particolare) della sua anima protesi in volo verso la conoscenza del Mistero : il dischiudersi dell'orizzonte vespertino (nell'ora serale del tramonto,che parrebbe come tale preludere al tramonto e quindi alla fine della vita e delle speranze umane) e il conseguente anelito dell'anima verso la ricerca di una 'giovinezza nuova' (ossia di una nuova,giovane e sublime vita spirituale) simboleggiano la finale speranza della stessa anima di protendersi e di accedere (dopo la morte del corpo) a una nuova vita spirituale segnata 'in aeternum' dalla presenza dell'Essere Eterno e dunque di Dio : dimensione spirituale in cui,per conseguenza,non potrà essere che il 'Verbum' divino ('In principio erat Verbum'),esprimente come tale l'essere (l'essenza ontologica) e la volontà dell'Essere Supremo (appunto l'Essere Assoluto, Universale ed Eterno) ; dimensione spirituale nella quale, infine,non potrà essere che l'Eterno,l'Eternità, il Presente-Istante perfetto, assoluto e immortale,il Tempo senza tempo dell'Eternità...

 

Un altro aspetto peculiare della poesia lirica (amorosa ma anche spirituale-religioso-morale-riflessiva) di M. Donte è il suo svilupparsi in rapporto alla musica e al canto. Ovviamente i rapporti tra poesia (lirica ma anche epica e non solo) da un lato e musica e canto dall'altro sono antichissimi,e risalgono verosimilmente alle origini stesse della poesia (del resto 'ab initio' nata,eseguita,memorizzata e trasmessa probabilmente in forme orali,oltre a essere spesso cantata e corredata di accompagnamento musicale). Peraltro,la stessa poesia (non solo quella lirica), specialmente quando ricorra a strutture metriche e ritmiche regolari o semiregolari, spesso e volentieri esalta e tende a esaltare (mediante attenti e ricercati strumenti ed espedienti non solo metrici,rimici,ritmici,ecc. ma anche lessicali, morfologici,fonetici,sintattici,ecc. ecc.) i proprii valori squisitamente fonici,acustici, musicali,cantabili, così da imitare,emulare e riprodurre in qualche misura arti "sorelle" come appunto il canto (l''ars canora') e la musica. Gli esempii di "ut musica poësis" sono quasi infiniti e ovviamente non pertengono solo alla tradizione versificatoria,metrica e poetica (non unicamente lirica, d'altronde) occidentale. Diversi dei sonetti,dei madrigali e degli altri testi poetici metricamente impostati di M. Donte si accompagnano a 'testi' canori e/o musicali, ovvero a canzoni e/o a brani musicali (perlopiù classici ma anche contemporanei). Del resto uno storicamente stretto rapporto con il canto e con la musica non possono non avere,tra i suoi testi,i madrigali liberi (di esplicito gusto tassesco, tanto che lo stesso Autore li definisce 'Madrigali tassiani'),costituiti (in accordo con un'ampia e plurisecolare tradizione madrigalistica che in Italia parte almeno da qualche esemplare testuale degli 'Amorum libri tres' di M. M. Boiardo e giunge al '500,prolungandosi ampiamente fino al '600,al '700 e al primo '800,non dimenticando tuttavia i cinque 'Madrigali a Dio' presenti nella raccolta 'L'usignolo della Chiesa Cattolica' di P. P. Pasolini) dalle libere combinazione e alternanza eterometriche di endecasillabi e settenarii variamente rimati (con ampia possibilità di lasciare diversi versi irrelati e quindi non rimati),con o senza la frequente (almeno nella struttura metrica del madrigale libero cinque-sei-settecentesco) coppia (o 'couplet') finale di versi (endecasillabo + settenario oppure settenario + endecasillabo o endecasillabo + endecasillabo o infine settenario + settenario) a rima baciata,costituente una sorta di chiusa poetica. Genere metrico,quello madrigalesco,che 'ab origine' nasce e si sviluppa (nel secolo XIV) a stretto contatto con il canto e con la musica,in particolare con gli stili canori e musicali dell''ars nova' : tra i primi madrigalisti figurano lo stesso F. Petrarca,F. Sacchetti (che nel 'Libro delle Rime' dà ampio spazio a questo breve genere metrico più di quanto non avvenga nei 'Rerum vulgarium fragmenta',in cui ne figurano solo 4 esemplari, peraltro - in coerenza con la predilezione petrarchesca per le forme metriche perfettamente regolari e simmetriche - in schemi pienamente regolari e unicamente endecasillabici,senza quindi l'alternanza eterometrica di endecasillabi e settenarii che solitamente distingue gli schemi rimici, abbastanza variati,dei terzetti strofici o tristici e dei distici costituenti la forma metrica più antica e quindi arcaica e originaria del madrigale italiano...) e altri poeti del Trecento. Nel Cinquecento prende ampio piede il madrigale 'libero',sviluppandosi a strettissimo contatto con la musica e con il canto, trovando varii cultori (il massimo dei quali fu sicuramente lo stesso T. Tasso ; ma non bisogna dimenticare autori come Giovan Battista Strozzi il Vecchio e Giovan Battista Strozzi il Giovane, peraltro parenti e molti altri) e persino studiosi in grado di elaborarne una teoria cririco-letteraria. Nel Seicento e nel Settecento tale variante madrigalesca si lega variamente alle poetiche,al gusto estetico e alla poesia barocchi,barocco-rococò,classicistico-petrarchistici,classicistico-barocchi, classicistico-arcadici,ecc..

 

Appunto richiamandosi (sia pur solo formalmente) a questa plurisecolare tradizione madrigalistica,e in particolare rifacendosi al modello del madrigale libero tassesco,ma anche utilizzando la maggior parte degli altri generi metrici consolidati della nostra tradizione versificatoria e poetica (oltre al sonetto è il caso della canzone regolare di impianto strofico-rimico petrarchesco - affidata ad ampie e solenni stanze o strofe perlopiù di endecasillabi e settenarii -, talvolta riproposta altresì in forme alquanto desuete e originali come quella della 'canzone-frottola',caratterizzata da endecasillabi 'frottolati' ovvero frequentemente distinti dalla presenza della rimalmezzo,e in diversi altri casi infarcita di un fittissimo gioco di rimalmezzo e di rime interne degno del 'trobar clus' presente in tante canzoni dei Siciliani,dei Suculo-toscani - 'in primis' Guittone D'Arezzo -,degli Stilnovisti e degli stessi Dante - anche 'petroso' - e Petrarca ; ma bisogna ricordare parimenti l'uso assai sapiente e virtuosistico della sestina lirica o 'canzone sestina' - che l'Autore riprende soprattutto da Petrarca e sperimenta altresì nella sua variante doppia petrarchesca,alla quale si affianca quella - parzialmente diversa - praticata da Dante nell'àmbito delle 'Rime petrose' ; e ancóra l'impiego dell'odicina-canzonetta "anacreontico"-chiabreresca in quartine di agili settenarii e di gusto esplicitamente arcadizzante, struttura che l'Autore talvolta innova con apporti personali ; e infine,tra l'altro,l'uso tanto di un genere metrico dalla struttura quanto mai varia e piuttosto desueto nella nostra poesia come il sirventese o serventese caudato quanto di un gioco testuale-metrico-poetico assai originale consistente in singoli testi sdoppiabili in un sonetto regolare e in un componimento - al limite un madrigale - in due quartine con rime altrettanto regolari...), Maurizio Donte costruisce una poesia petrarcheggiante assai cólta e raffinata,che per un verso intende "emulare" e imitare le evoluzioni del canto e della musica (come avviene soprattutto - ma non solo - nei madrigali liberi e nelle odicine-canzonette di gusto "anacreontico",chiabreresco e arcadico) e dall'altro (oppure contemporaneamente) assimila e rielabora stilemi, strutture sintattiche, metriche e ritmiche,immagini, significati,motivi,temi,schemi e varii altri strumenti espressivi, stilistici,retorici,metrici ecc. non solo petrarcheschi e petrarchistici ma relativi altresì alla nostra poesia dei primi secoli (è il caso a esempio dello schema dell''amore di lontano', dell''amor de lohn', peraltro già presente nella precedente poesia lirica occitanico-provenzale-trobadorica ; è parimenti il caso di Siciliani, Suculo-toscani, Stilnovisti,lo stesso Dante) e ancóra del periodo compreso tra '400 e '900, rendendo tutti questi elementi e modelli formali e contenutistici funzionali a un sentire,a una sensibilità umana,emotiva, spirituale e poetica necessariamente e inquietamente moderno-contemporanea,come tale aperta non solo ai turbamenti,alle sofferenze,alle illusioni,alle disillusioni e alle gioie di Amore,ma anche ai problemi assai tormentati della vita spirituale e religiosa e del rapporto dell'uomo con il Divino nonché alle questioni altrettanto dolorose del nostro travagliato presente.

 

Salmo

ABBA ABBA CDC DCD

 

Padre del Cielo ascolta la mia voce

che eleva a Te, mia Eterna Luce , il canto

per chi rimane doloroso in pianto:

soffre il creato, vedi, nel feroce

 

abbraccio di chi odia in Te la Croce, 

né del Vangelo Tuo si fa mai vanto:

unica Via di luminoso incanto

quando la vita trova la sua foce

 

in mezzo a un mare privo di speranza, 

se non sei Tu sostegno nel dolore, 

nella Tenebra oscura che si avanza. 

 

Che nasca allora la fiducia in cuore, 

ritrovi in Te la Fede, tua Sostanza, 

sorrida al Regno aperto dal Tuo Amore. 

 

Maurizio Donte

 

Intenso sonetto-salmo di preghiera a Dio che conferma l'almeno parziale nascere e svilupparsi dell'ispirazione e della genesi di certa poesia di Maurizio Donte (in particolare quella di tematica esistenziale-spirituale-religiosa,oltre che di quella a carattere emotivo-lirico-paesaggistico) in rapporto ora con la musica classica (in questo caso di argomento appunto religioso) ora con quella classico-moderna dell'età contemporanea e del presente perlomeno recente. La stessa struttura di preghiera, l'invocazione iniziale al Padre del Cielo,la richiesta-speranza che rinascano nel cuore dell'uomo la fiducia, la Fede in Dio e la conseguente fiducia nel Regno Celeste aperto dall'Amore Divino alle anime che a Esso si aprono (affinché l'essere umano si liberi dall'odio e dalla ferocia rivolti contro i suoi simili e, quindi,contro Dio stesso e contro Gesù Cristo sulla Croce) collegano strutturalmente,tematicamente e intertestualmente questa sonetto in forma di preghiera-salmo alla non meno splendida,alta e solenne poesia-preghiera elevata alla Vergine Maria affinché liberi la travagliata umanità dalle guerre,dal dolore,dallo sfacelo,dal male, laddove entrambi i testi di tematica e di ispirazione precipuamente religiose dimostrano il carattere solo apparentemente straniato e avulso dalla storia (e in particolare dal presente e dai suoi dolorosi problemi e drammi) della lirica di M. Donte. Come nei 'Rerum vulgarium fragmenta' petrarcheschi penetrano echi (alquanto sfumati e smistati) del periodo storico contemporaneo all'Autore (periodo travagliato dalla peste e dalle numerose morti e devastazioni da essa causate ; dalla crisi politico-civile italiana ; dalla vergognosa corruzione d'ordine materiale e morale dilagante nella Curia papale avignonese e nel resto della comunità ecclesiastica cristiana cattolica romana d'Italia e del resto d'Europa ; ecc. : laddove la morte di Laura De Noves a causa della pestilenza viene appena evocata in alcuni testi del 'Canzoniere',tra cui la ballata 'Amor, quando fiorìa' ; la divisa e dolorosa situazione italiana trova espressione in alcuni componimenti di grande intensità emotiva come la celeberrima canzone 'Italia mia, benché 'l parlar sia indarno',poi modello testuale di tanta poesia lirico-civile italiana,per esempio dell'arcade Alessandro Guidi e dello stesso G. Leopardi ; la corruzione insita nella 'cattività avignonese' della Sede Pontificia viene violentemente e sdegnosamente fustigata in tre celebri sonetti succedanei...), così nel 'Canzoniere' di M. Donte (in linea con il modello altamente aulico,nobile e  idealizzante della lirica petrarchesca e, quindi,petrarchistica) i problemi e i drammi del presente storico penetrano in forma mediata e filtrata (ossia deprivati dei loro aspetti più triviali,laidi, volgari), e a essi l'io poetico-lirico oppone la sua  speranzosa e fiduciosa, ancorché lacerata e dolorosa,fede e speranza (come si conviene inevitabilmente al sofferente 'zeitgeist' della contemporaneità,nel quale le antiche e plurisecolari certezze religiose sono erose dal dubbio,dalla perplessità, dalla miscredenza, dall'ateismo, dalla stessa eclissi di Dio,dalla lacerante 'teologia negativa' espressa così intensamente da certa poesia contemporanea - vedi solo lo straordinario esempio dell'ateistica e dolente poesia teosofica di G. Caproni...-,dall'assurdità,dal nonsenso,dal tragico e persino dalla follia ormai immanenti nel vertiginoso "colloquio" dell'uomo contemporaneo con un Dio che ha assunto sempre più i connotati appunto dell'Assurdo e del Nulla...) in Dio e nella mediazione della Vergine Maria Sua Madre e Sua Figlia, affinché illuminino con la Loro Luce la vita e lo spirito dell'uomo e li indirizzino,proprio contro il male e la sofferenza dilagante nel mondo, all'Amore Divino,al Sommo Bene.

Da un lato la rappresentazione del Bello (attuata affidandosi a uno stile aulicamente ed elevatamente monolinguistico e monostilistico e quindi rapportabile al 'sermo aulicus' della tradizione espressiva e retorica classica e a quello 'tragicus' delle retoriche e delle 'artes poetriae' medioevali : linguaggio che, appunto in coerenza con quello nobile e culto della poesia petrarchesca e di quella petrarchistica,rifugge da ogni compromissione con parole,sintagmi e stilemi esprimenti gli aspetti laidi,rozzi e triviali della realtà, del mondo, dell'uomo e della vita ma evita accuratamente anche compromissioni con forestierismi di non conclamata presenza letteraria aulica nonché dialettismi,solecismi,colloquialismi e altresì elementi stilistici di livello marcatamente medio - 'medianus' o 'comicus' - e soprattutto basso - 'humilis' o 'elegiacus' secondo le rispettive tripartizioni stilistiche e retoriche appunto classica e medioevale - ; perseguìta altresì rappresentando una passione amorosa dolente e malinconica ma pur sempre nobile e sostenuta,tale quindi da non scadere nel patetico,nel vacuo sentimentale e meno che mai nel lezioso e nello smanceroso : passione amorosa che,pur richiamandosi di necessità a immagini,motivi,suggestioni e forme espressive del modello petrarchesco, in diversi casi trova espressione poetica - al pari di varii stati d'animo di malinconia, contemplazione, approfondimento spirituale autoanalitico,suggestione immaginativo-fantastica,ecc. - altresì mediante la tecnica poetica del 'correlativo oggettivo',intesa a stabilire appunto connessioni,analogie e corrispondenze tra la natura, l'ambiente e il paesaggio da un lato e gli stati interiori ed emotivi dell'io poetico dall'altro ; corroborata dal costante richiamo dell'ispirazione poetica alle suggestioni indefinite e indefinibili derivanti dall'ascolto della musica e del canto classici e classico-moderni,che la poesia di M. Donte intende in diversi casi quasi emulare e rispecchiare, così che la rappresentazione poetica dei varii stati d'animo finisce per svilupparsi anche come una sorta di 'ekphrasis' musicale-iconico-immaginativo-poetica delle misteriose e indefinibili sensazioni ed emozioni suscitate dal rapporto con la musica e l''ars canora' ; attuata parimenti rielaborando le figure,le vicende e le leggende della poesia celtico-gaelico-ossianica dello scozzese James Macpherson e del suo originale traduttore-rielaboratore italiano Melchiorre Cesarotti - laddove i 'Canti di Ossian', poeta-bardo leggendario del III sec. d. C.,rielaborati dal poliglotta poeta, traduttore e studioso padovano offrono alla rielaborazione poetica di M. Donte non solo un proficuo e musicale esempio di polimetria affidata a differenti misure versali e a un libero gioco di rime ma anche e soprattutto indefinite e misteriose suggestioni preromantiche umbratili,serali,notturne, sepolcrali,nictomorfe e altresì emotive,immaginative,forse persino inconscie,che nella sua poesia anche lirico-amorosa e lirico-spirituale-religiosa si fondono con immagini e suggestioni, ormai pienamente romantiche,di memoria e di derivazione specialmente foscoliana ; compiuta riscrivendo parimenti l'altrettanto suggestivo e barbarico mondo mitologico-eroico-epico-poetico germanico delle canzoni dell'Edda così come presente nell'antico poema 'Beowulf',d'area antico-anglosassone e risalente all'inizio del Medioevo ; attuata anche recuperando direttamente la magistrale lezione esistenziale,sacrale,civile e "mitica" del carme foscoliano 'Dei Sepolcri',cui si richiama un componimento in endecasillabi sciolti di M. Donte,continuando in tal modo una linea di poesia di ispirazione sepolcrale-foscoliana che,dopo appunto il capolavoro del Foscolo,ha trovato in Italia un continuatore solo nel carme 'Ai Lari' facente parte dei 'Canti d'Oriente e d'Occidente' di Giuseppe Conte), dall'altro lato la rappresentazione del Sacro,del Sommo Bene e dell'Amore Divino (evocati e pregati appunto contro il male,le guerre,la ferocia e l'odio dilaganti nel mondo contemporaneo) elevano tutta la poesia di M. Donte (memore in ciò anche dell'esempio de 'Le Grazie' dello stesso U. Foscolo) appunto contro la negatività del mondo, della realtà e dell'umanità,ragion percui la sua è una poesia solo apparentemente distaccata e avulsa dai problemi e dai drammi perenni e pancronici della vita umana così come da quelli specifici del nostro presente,contro la negatività e la feroce disumanità del quale egli oppone la funzione foscolianamente eternatrice,sublimante, preservante e memoriale svolta dalla Poesia a favore della Bellezza ma anche dei  princìpi sacrali e religiosi e dei più autentici valori umani di fraternità, aggregazione, solidarietà, compassione e 'pietas' : appunto i princìpi sacrali,morali e spirituali che allontanano l''humanitas' dalla 'feritas' e la innalzano ed esaltano alla 'Divinitas'.

Appunto in accordo con la 'pietas' di cui sopra,di matrice foscoliana (e non solo) è,in questa poesia, anche il lungo e reiterato colloquio con le anime-ombre dei cari trapassati,in particolare con l'amatissima figura paterna,fatta oggetto di un intenso e commovente colloquio in diversi testi poetici epicedici (specialmente canzoni di impianto metrico petrarcheggiante e sonetti). 

Gianluca Jurij Posteraro

 

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