Roberto Casati
Appunti e carte ritrovate (1988-2020)
Recensione di Ada Pisco
In un
mondo dominato dall’egocentrismo, la lirica di Roberto Casati, custodita in Appunti e carte ritrovate (1988-2020),
pubblicato da Guido Miano Editore (2020), si mostra attratta da un altro
centro, fuori, oltre il sé. Non è una letteratura centripeta, quanto piuttosto
centrifuga. È
disponibile a specchiarsi, a interloquire, a entrare in relazione. E osserva.
La sua cifra è pertanto l’umiltà. Il tono rimane positivo, pur mentre coglie
che anche l’emozione più forte è fragile, fugace, sa di non potersi imporre con
la forza. E di fatti, così l’Autore esprime se stesso, come uno che passa
accanto nella folla, ma con il sorriso, è importante notarlo. È una presenza discreta, ma
c’è, non è sopraffatta dall’indifferenza, non consente all’astio né alla
tristezza di dominarlo.
Così
mi riconoscerai
confuso
tra quelli che ti passano accanto,
con la
voglia di fermare qui il sorriso,
come
una sorpresa fragile fra gli occhi (p. 17).
Il
sorriso richiama lo sguardo, perché accende il cuore. Il sentimento non è
avulso dalla vita, anzi le permette di palpitare.
Come
nelle pieghe si aspetta di essere trovato il poeta, così egli sa cercare negli
anfratti i significati che non si svelano immediatamente ai più. Seguirlo è
come scandagliare una roccia, non accontentandosi di ammirarla da lontano, non
preoccupandosi di scalarla, né di sfruttarla, quanto amando il conoscerne i
particolari, quelli più riposti. Il mistero conduce all’introspezione, e, di
conseguenza, la presenza cede volentieri il passo all’assenza di chi si ritira
da una dimensione per raggiungerne un’altra. Si può chiamare fuga, ma anche
viaggio, superamento, o magari gioco di curiosità. L’immaginazione non è
declamata a voce alta, ma s’intuisce come importante componente del quotidiano
e della sua resa in versi.
I
romantici potranno prendere facilmente confidenza con le atmosfere del libro.
Non mancano gli scenari più capaci di suggestionare il sentimento e di far
sognare, lontano da tutte le brutture e i limiti dell’ordinario. Il pensiero
guardingo e sognatore resta in agguato, pronto a saltare fuori, non appena le
luci diventino soffuse, non appena il quadro della mera razionalità abbassi la
guardia e conceda al desiderio di slanciarsi verso l’etere che non conosce
barriere. In questo modo è possibile imparare a vivere più vite, a rivestire i
panni impensati di ruoli soltanto vagheggiati. È la potenza della narrativa, l’arte di partire
dalla gestione ordinaria degli eventi chiamata routine per attingere alla
sapienza del racconto. Da un particolare come tanti il poeta riesce a prendere
per mano, a indicare un’altra direzione, a scostare il sipario e a mostrare
un’altra storia. Quanto meno è molto salutare, perché aiuta a prendere una
boccata d’aria e a viaggiare, anche quando non si può fisicamente, anche quando
si è costretti a rimanere nel perimetro delle quattro mura. Se non si può
salpare alla volta di mete agognate, si può sempre affidare al Nostro, e
seguirne i passi, rispettarne le indicazioni. Nel breve tempo delle sue rime
sciolte, svelte, leggibili, ci si sorprende altrove: il paesaggio appare
trasfigurato, tutto è mutato, si è semplicemente giunti altrove e si sta bene in
sua compagnia, è discreto, le sue descrizioni sono ampie, fanno entrare anche i
sogni di chi legge. E tutti insieme si viaggia. Talvolta si naufraga, specie se
c’è di mezzo l’amore, si è travolti. Le rime non accantonano il corpo, il suo
peso, il suo linguaggio. Luna, spiaggia, occhi ricorrono volentieri. Fa pensare
all’estate trascorsa bene, al sapore gioioso che lascia nell’intimo di chi
desidera sempre di custodirla in sé, di non farla trascorrere invano, serbando
almeno la traccia degli amori che ha invogliato.
Sarebbe
sbagliato sottovalutare queste composizioni poetiche in base soltanto alla
durata e alla semplicità del linguaggio, che invita chiunque ad avvicinarsi
alla lettura. Scorrendo le pagine, acquisendo un minimo di familiarità, si
consolida l’impressione che i livelli di interpretazione sono stratificati.
Così pure l’apertura sul mondo vissuto, che funge da miniera di spunti per
l’ispirazione. Si dice, ma non troppo. Si mostra, ma si nasconde. Sappiamo
quanto questo chiaroscuro sia amato dai poeti della nostra contemporaneità. Riguardo
a Casati la lingua non diventa mai barriera, mantiene disponibile il proprio
uscio, pronto ad accogliere chiunque. Vedere tutta la casa è un altro discorso.
Sembra di più un gioco di reciprocità, che come invoglia ad entrare, poi induce
a riflettere sulla propria dimora, sulle sensazioni che riaffiorano, facilitate
dai versi. S’incontra il poeta, ma in fondo si incontra meglio se stessi, si
conquista l’opportunità del raccoglimento in compagnia con il proprio immaginario.
Gli squarci che provengono dalla poesia sono pertanto più simili alla bacchetta
del maestro di musica, richiamano all’overture e fanno partire la musica, da
quel punto in poi ciascuno appone le dita sul proprio strumento e tesse con
questo e con questo soltanto un dialogo, che si amplifica nello scenario, ma
che, al tempo stesso non perde nulla della propria unicità. Le orecchie,
analogamente a quelle del poeta, raccolgono dallo sfondo gli echi, senza
perdere la concentrazione sulla melodia.
Il pieno
di vita è più protagonista della sua mancanza, sebbene questa non possa
mancare. Bella l’immagine del cuore bruciato, ribadito anche in questo luogo:
L’assenza
è
un
cuore bruciato dal silenzio,
dove
l’esilio delle parole
è
un’abitudine ferma agli angoli … (p. 25).
I
colori sono sottolineati molte volte, possiamo accoglierlo come suggerimento
alla nostra sensibilità di curarli e di notarli. L’immagine parla una lingua
sua e farla risaltare attraverso i colori che la lasciano catturare è un po’
come trattenerla nel ricordo per quella che è, per come si è manifestata, ed è
anche la volontà di riconoscerne la vitalità, apprezzarne la forza, non
rassegnarsi all’indolenza mai.
E di
fatti la passione è altra grande protagonista di queste pagine, quella che fa
sentire vivi, ma che a volte si limita a sconvolgere: si sa benissimo, quanto
possa essere dolorosa, velenosa persino, eppure non la si scaccia, è parte
integrante di questa mappa nautica, così desiderosa di sostare presso i lidi
prediletti, senza sprecare inutilmente del tempo con tutto quanto è scialbo e
insignificante.
Pian
piano si arriva a capire persino il segreto più importante o fra i più
importanti, poiché su tutto domina il mistero insondabile del sentimento. Il
viaggio vero e proprio è quello che si compie dentro di sé, specie quando si è
disponibili a prendere il largo, ad allontanarsi dal molo, sospinti dal vento e
dalla forza più energica di tutte. Certamente è onesto l’Autore quando
riconosce che è possibile accorgersi di non essere mai realmente partiti:
Tu sei
il mio amore,
il
viaggio che da sempre ho cercato,
dimenticandomi
poi di partire (p. 43).
Compaiono
nomi di luoghi, tappe del viaggio, ma non raccontano nulla di sé, accolgono
nella loro neutralità. A fare la differenza è l’esperienza, che nel viaggio
combacia con la metafora perfetta, come in un incastro a scatole cinesi, si
qualifica come metafora a strati, che, a propria volta, sussurra del tempo, che
scorre veloce, del desiderio impetuoso di vita, dello sguardo che si spinge
oltre, delle mete che rimangono soltanto vagheggiate…
Ada Prisco
Roberto Casati, Appunti e carte ritrovate, pref. Nazario Pardini, Guido Miano
Editore, Milano 2020, pp. 88, isbn 978-88-31497-31-2.
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